Siga este enlace para ver otros tipos de publicaciones sobre el tema: M-FIL/04: ESTETICA.

Tesis sobre el tema "M-FIL/04: ESTETICA"

Crea una cita precisa en los estilos APA, MLA, Chicago, Harvard y otros

Elija tipo de fuente:

Consulte los 50 mejores tesis para su investigación sobre el tema "M-FIL/04: ESTETICA".

Junto a cada fuente en la lista de referencias hay un botón "Agregar a la bibliografía". Pulsa este botón, y generaremos automáticamente la referencia bibliográfica para la obra elegida en el estilo de cita que necesites: APA, MLA, Harvard, Vancouver, Chicago, etc.

También puede descargar el texto completo de la publicación académica en formato pdf y leer en línea su resumen siempre que esté disponible en los metadatos.

Explore tesis sobre una amplia variedad de disciplinas y organice su bibliografía correctamente.

1

De, Bernard Manfredi <1994&gt. "Musica Trap: estetica e critica". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2019. http://hdl.handle.net/10579/14112.

Texto completo
Resumen
L'elaborato si concentra sul nuovo volto della musica popolare degli anni Dieci. Con un percorso storiografico e tassonomico, si cerca di identificare le caratteristiche di un genere recente e dalla popolarità crescente. Si procede inoltre ad una critica sul tipo di ascoltatore che questo tipo di musica "vuole" e produce.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
2

Franceschini, Andrea. "Ecologia dell'architettura. Verso una nuova antropologia filosofica dell'abitare". Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2018. https://hdl.handle.net/11572/367612.

Texto completo
Resumen
Il presente studio rappresenta un contributo di ricerca all’elaborazione di una teoria ecologica dell’architettura. L’idea di “ecologia†che verrà sviluppata in esso è filosofica e sistemica, perché esprime una visione integrale, biologica e relazionale dell’essere umano, oltre che dell’architettura.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
3

Gosi, Francesca Alessandra Benedetta <1989&gt. ""Dall'ontologia dell'opera d'arte ad una estetica come antropologia"". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2017. http://hdl.handle.net/10579/10386.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
4

Fresa, Margherita <1995&gt. "Il mostro: forme del perturbante tra estetica e arte contemporanea". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/17273.

Texto completo
Resumen
Questa ricerca parte dall’analisi del concetto di Unheimlich con lo scopo di fare emergere il peculiare legame tra la figura del mostro e il sentimento perturbante, utilizzando tale base teorica come chiave interpretativa per alcune opere di arte contemporanea a soggetto mostruoso. Il lavoro si apre con l’indagine linguistica della parola Unheimlich e l’analisi dei testi di E. Jentsch Sulla psicologia dell’Unheimlich, primo saggio dedicato al perturbante, e di S. Freud Il perturbante, più importante trattazione sull’argomento, segue lo studio della teoria di M. Mori, l’Uncanny Valley. Ciò che si intende affermare è che il perturbante è un concetto sempre attuale, che può emergere all’interno negli ambiti più disparati ogni volta che i confini tra ciò che è familiare e ciò che è estraneo vacillano. Successivamente si definisce cos’è un mostro e si evidenzia come l’incontro con esso metta in gioco il limite tra identità e alterità, talvolta oltrepassandolo e come nel cogliere qualcosa di familiare in una creatura spaventosa si scateni l’effetto perturbante. Infine, si vuole affermare che il concetto di Unheimlich può rivelarsi una categoria interpretativa utile per comprendere alcune opere d’arte che coinvolgono e spaventano allo stesso tempo. Vengono presi in considerazione alcuni casi: la mostra The Uncanny ideata dall’artista Mike Kelley, le opere dell’artista Ron Mueck, come esempio di mostro umano; le opere dell’artista Patricia Piccinini per il mostro animale; le opere dell’artista Mariko Mori, per il mostro tecnologico.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
5

Raveggi, Alessandro <1980&gt. "Ricezione e Finzione. Una teoria della lettura tra struttura e risposta estetica". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/836/1/Tesi_Raveggi_Alessandro.pdf.

Texto completo
Resumen
Attraverso l’analisi di teorie della lettura “centripete” e “centrifughe”, tra fenomenologia, semiotica e teoria della risposta estetica, questa ricerca punta a definire la lettura come un’esperienza estetica di una variabile e plurale letterarietà, o per essere più precisi, come una relazione estetica ad una funzione nel linguaggio, che di volta in volta diviene immanente e trascendente rispetto al linguaggio, immanente nella percepibilità espressiva del segno e trascendente nella sua ristretta finzionalità o fittività, aperta alla dimensione del senso. Così, la letterarietà è vista, dal punto di vista di una teoria della lettura, come una funzione che nega o sovverte il linguaggio ordinario, inteso come contesto normale, ma anche una funzione che permette il supplemento di senso del linguaggio. Ciò rende la definizione di cosa sia letteratura e di quali testi siano considerabili come letterari come una definizione dipendente dalla lettura, ed anche mette in questione la classica dicotomia tra linguaggio standard e linguaggio deviante, di secondo grado e figurativo, comportamento che distinguerebbe la letteratura. Questi quattro saggi vorrebbero dimostrare che la lettura, come una pratica estetica, è l’espressione di una oscillazione tra una Finzione variabile nei suoi effetti ed una Ricezione, la quale è una risposta estetica controllata dal testo, ma anche una relazione estetica all’artefatto a natura verbale. Solo in questo modo può essere compresa la caratteristica paradossale della lettura, il suo stare tra una percezione passiva ed un’attiva esecuzione, tra un’attenzione aspettuale ed una comprensione intenzionale. Queste modalità si riflettono anche sulla natura dialettica della lettura, come una dialettica di apertura e chiusura, ma anche di libertà e fedeltà, risposta ad uno stimolo che può essere interpretato come una domanda, e che presenta la lettura stessa come una premessa dell’interpretazione, come momento estetico. Così una teoria della lettura dipende necessariamente da una teoria dell’arte che si presenta come funzionale, relativa più al Quando vi è arte?/Come funziona? piuttosto che al Che cosa è Arte?, che rende questo secondo problema legato al primo. Inoltre, questo Quando dell’Arte, che definisce l’opera d’arte come un’arte- all’-opera, dipende a sua volta, in un campo letterario, dalla domanda Quando vi è esperienza estetica letteraria? e dalla sue condizioni, quelle di finzione e ricezione.
Throughout the analysis of “centripetal” and “centrifugal” reading theories, among Phenomenology, Semiotics and Aesthetic response Theory, this research aims to define reading as an aesthetic experience of a variable and plural literariness, or to be more precise, as an aesthetic relation of a function in language, that from time to time becomes immanent and transcendent regarding to language, immanent in the expressive perceptibility of the sign and transcendent within its own restricted fictionality or fictiveness, opened to a dimension of sense. Thus, literariness is seen, from the point of view of a reading theory, as a function that denies or subverts the ordinary language, intended as a normal context, but also one that allows language’s supplement of sense. That makes the definition of what is literature and of which texts are considered literary ones depending on reading, and also it questions the classical dichotomy of standard and deviant language, secondary and figurative behavior that would distinguish literature. These four essays would to demonstrate that reading, as an aesthetic practice, is the expression of an oscillation between a variable Fiction in its own effects and a Reception, which is an aesthetic response controlled by the text, but also an aesthetic relation to the verbal artifact. Only in this way reading’s paradoxical characteristic can be understood, between a passive perception and an active performance, between an aspectual attention and an intentional comprehension. These modalities also reflect themselves on the dialectic nature of reading, as a dialectic of opening and closure, but also of freedom and fidelity, response to a stimulus that could be interpreted as a question and that presents reading as a preamble of interpretation, as its aesthetic moment. Hence, a reading theory necessarily depends on a theory of arts that presents itself as a functional one, relative to the When is Art?/How does it work? rather than to the What is Art? question and that makes this second problem bound to the first. Moreover, this When is Art, that defines a work of art as art-at-work, depends, in a literary field, on the When is the literary aesthetic experience? question and on its conditions, those of fiction and reception.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
6

Raveggi, Alessandro <1980&gt. "Ricezione e Finzione. Una teoria della lettura tra struttura e risposta estetica". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/836/.

Texto completo
Resumen
Attraverso l’analisi di teorie della lettura “centripete” e “centrifughe”, tra fenomenologia, semiotica e teoria della risposta estetica, questa ricerca punta a definire la lettura come un’esperienza estetica di una variabile e plurale letterarietà, o per essere più precisi, come una relazione estetica ad una funzione nel linguaggio, che di volta in volta diviene immanente e trascendente rispetto al linguaggio, immanente nella percepibilità espressiva del segno e trascendente nella sua ristretta finzionalità o fittività, aperta alla dimensione del senso. Così, la letterarietà è vista, dal punto di vista di una teoria della lettura, come una funzione che nega o sovverte il linguaggio ordinario, inteso come contesto normale, ma anche una funzione che permette il supplemento di senso del linguaggio. Ciò rende la definizione di cosa sia letteratura e di quali testi siano considerabili come letterari come una definizione dipendente dalla lettura, ed anche mette in questione la classica dicotomia tra linguaggio standard e linguaggio deviante, di secondo grado e figurativo, comportamento che distinguerebbe la letteratura. Questi quattro saggi vorrebbero dimostrare che la lettura, come una pratica estetica, è l’espressione di una oscillazione tra una Finzione variabile nei suoi effetti ed una Ricezione, la quale è una risposta estetica controllata dal testo, ma anche una relazione estetica all’artefatto a natura verbale. Solo in questo modo può essere compresa la caratteristica paradossale della lettura, il suo stare tra una percezione passiva ed un’attiva esecuzione, tra un’attenzione aspettuale ed una comprensione intenzionale. Queste modalità si riflettono anche sulla natura dialettica della lettura, come una dialettica di apertura e chiusura, ma anche di libertà e fedeltà, risposta ad uno stimolo che può essere interpretato come una domanda, e che presenta la lettura stessa come una premessa dell’interpretazione, come momento estetico. Così una teoria della lettura dipende necessariamente da una teoria dell’arte che si presenta come funzionale, relativa più al Quando vi è arte?/Come funziona? piuttosto che al Che cosa è Arte?, che rende questo secondo problema legato al primo. Inoltre, questo Quando dell’Arte, che definisce l’opera d’arte come un’arte- all’-opera, dipende a sua volta, in un campo letterario, dalla domanda Quando vi è esperienza estetica letteraria? e dalla sue condizioni, quelle di finzione e ricezione.
Throughout the analysis of “centripetal” and “centrifugal” reading theories, among Phenomenology, Semiotics and Aesthetic response Theory, this research aims to define reading as an aesthetic experience of a variable and plural literariness, or to be more precise, as an aesthetic relation of a function in language, that from time to time becomes immanent and transcendent regarding to language, immanent in the expressive perceptibility of the sign and transcendent within its own restricted fictionality or fictiveness, opened to a dimension of sense. Thus, literariness is seen, from the point of view of a reading theory, as a function that denies or subverts the ordinary language, intended as a normal context, but also one that allows language’s supplement of sense. That makes the definition of what is literature and of which texts are considered literary ones depending on reading, and also it questions the classical dichotomy of standard and deviant language, secondary and figurative behavior that would distinguish literature. These four essays would to demonstrate that reading, as an aesthetic practice, is the expression of an oscillation between a variable Fiction in its own effects and a Reception, which is an aesthetic response controlled by the text, but also an aesthetic relation to the verbal artifact. Only in this way reading’s paradoxical characteristic can be understood, between a passive perception and an active performance, between an aspectual attention and an intentional comprehension. These modalities also reflect themselves on the dialectic nature of reading, as a dialectic of opening and closure, but also of freedom and fidelity, response to a stimulus that could be interpreted as a question and that presents reading as a preamble of interpretation, as its aesthetic moment. Hence, a reading theory necessarily depends on a theory of arts that presents itself as a functional one, relative to the When is Art?/How does it work? rather than to the What is Art? question and that makes this second problem bound to the first. Moreover, this When is Art, that defines a work of art as art-at-work, depends, in a literary field, on the When is the literary aesthetic experience? question and on its conditions, those of fiction and reception.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
7

Arenas, Dolz Francisco <1978&gt. "Il concetto di deliberazione nella filosofia di Aristotele: etica, retorica ed ermeneutica". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/172/1/TESI_arenas.pdf.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
8

Arenas, Dolz Francisco <1978&gt. "Il concetto di deliberazione nella filosofia di Aristotele: etica, retorica ed ermeneutica". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/172/.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
9

Cattaneo, Francesco <1978&gt. "Forme del conflitto: la filosofia di Heidegger degli anni Trenta tra politica e arte". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/174/1/Forme_del_conflitto_-_Francesco_Cattaneo.pdf.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
10

Cattaneo, Francesco <1978&gt. "Forme del conflitto: la filosofia di Heidegger degli anni Trenta tra politica e arte". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/174/.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
11

Cecchi, Dario <1979&gt. "Agire e giudicare. Hannah Arendt interprete di Kant". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/175/1/dario_cecchi_tesi.pdf.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
12

Cecchi, Dario <1979&gt. "Agire e giudicare. Hannah Arendt interprete di Kant". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/175/.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
13

Ruco, Alessia <1978&gt. "Alle origini dell'antropologia filosofica di Helmuth Plessner: problemi di estesiologia". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/179/1/Definitiva.Tesi.pdf..pdf.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
14

Ruco, Alessia <1978&gt. "Alle origini dell'antropologia filosofica di Helmuth Plessner: problemi di estesiologia". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/179/.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
15

Giacomelli, Marco Enrico <1976&gt. "Rene' Daumal (1908-1944). Studio storico-critico". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/181/1/Marco_Enrico_GIACOMELLI.pdf.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
16

Giacomelli, Marco Enrico <1976&gt. "Rene' Daumal (1908-1944). Studio storico-critico". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/181/.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
17

Gorzanelli, Ivano <1975&gt. "Schiller e Nietzsche: l'antropologia del discorso estetico. Critica della cultura, storia e istituzioni". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/498/1/TesiIvanoGorzanelli.pdf.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
18

Gorzanelli, Ivano <1975&gt. "Schiller e Nietzsche: l'antropologia del discorso estetico. Critica della cultura, storia e istituzioni". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/498/.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
19

Marino, Stefano <1976&gt. "La filosofia di Hans-Georg Gadamer e il problema del disagio della modernità. Ermeneutica, estetica, etica e politica". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/835/1/Tesi_Marino_Stefano.pdf.

Texto completo
Resumen
L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.
The philosophical hermeneutics of Hans-Georg Gadamer – one of the cornerstones in the 20th century philosophy – certainly represents a compound, prismatic and articulated thought, i.e. a philosophy made up of several different dimensions entwined with each other. A simple look at Gadamer’s major work Wahrheit und Methode (1960) can already clarify this point, since the book displays a theory of understanding which takes account of three different dimensions of human experience – art, history and language – obviously conceived as mutually related. But this picture gets a lot more complicated if one takes into consideration the many books and articles Gadamer wrote before and after his magnum opus which testify the presence of other interests and topics in his thought. Nevertheless the complexity of Gadamer’s philosophical hermeneutics has not always been recognized by his interpreters, who often concentrated only upon Wahrheit und Methode (in particular upon the problems of the Geisteswissenschaften) and gave no attention to other subjects (in particular the ethical and political dimension of his hermeneutical philosophy). Moreover it seems to me that many interpreters didn’t pay enough attention to the fundamental unity – which of course doesn’t mean “sistematicity” – that reigns in Gadamer’s philosophy despite its pluralist and heterogeneous character. My point is that the many dimensions of Gadamer’s philosophical hermeneutics – aesthetics and human sciences, language philosophy and moral philosophy, dialogue with the Greeks and critical confrontation with modern thought, reflections upon anthropological problems and observations concerning our actual sociopolitical, scientific and technological condition – actually represent the different sides of one thought centered on what we could define the malaise of modernity. In other words, it seems to me that the whole of Gadamer’s philosophy originates from the consciousness raising of the critical situation in which our world finds itself today: a deep crisis which, according to Gadamer, branches out into manifold directions and various dimensions of human life. My interpretation tries then to give an account of both the pars destruens and pars costruens of Gadamer’s philosophy, namely of his attempt to investigate and take a hard look at this critical dimensions of human existence in order to let out the point at issue and propose remedies, alternatives and possible solutions.. In the first section – entitled Phenomenology of modernity: the various symptoms of the crisis – I explain how a great part of the 20th century philosophy has been concerned with the idea and the feeling of a crisis of our culture and our civilization. In my view Gadamer’s hermeneutics too takes part in this global philosophical discourse. I try then to show and illustrate the various symptoms of this crisis analyzed by Gadamer, such as: socioeconomic pathologies of our bureaucratic societies; world-wide growth of the Western way of life to the detriment of other cultures; crisis of our values and beliefs (and consequent spread of relativism, skepticism and nihilism); growing inability to have meaningful relations with art, poetry and culture; finally, problems concerning the proliferation of weapons of mass destruction, the risk of an ecological crisis, and the disturbing, unpredictable consequences of some recent scientific discoveries (above all in the field of genetics). Once outlined Gadamer’s critical view of our age, in the second section – entitled Diagnosis of the malaise of modernity: the spread of instrumental and techno-scientific reason – I try to show how, according to Gadamer, a common root lies at the base of the many symptoms of the crisis, namely the birth of modern science and its close, intrinsic relationship with technique and with a specific form of rationality that Gadamer – with reference to the analysis developed by such thinkers as Max Weber, Martin Heidegger and the so-called Frankfurt School – calls «instrumental reason» or «calculating thinking». I try then to give an account of the gadamerian conception of techno-science, meanwhile highlighting some aspects: first, how Gadamer’s philosophical hermeneutics should not be interpreted as an antiscientific thought but rather as an antiscientistic thought (which of course is something quite different); second, how Gadamer’s reconstruction of the malaise of modernity never ends up in a “totalizing” critique of reason, nor in some sort of negativistic and pessimistic philosophy of history centered on the idea of an inescapable course of the events guided by a polluted, “irrational” rationality; third, how Gadamer – despite all the inveterate interpretations that read his philosophy as a form of authoritarian, traditionalist and antienlightenment thought – never aimed to reject the modern scientific Enlightenment tout court but rather to “correct” some of its tendencies and so to regain a wider and more comprehensive concept of reason. After having analyzed in the first two sections the pars destruens of Gadamer’s philosophy, in the third and last section of my work – entitled Therapy of the crisis of modernity: the rediscovery of experience and practical knowledge – I take into consideration the pars costruens of his thought, which according to my interpretation consists of a rediscovery of what he calls «a different kind of knowledge», i.e. of a rehabilitation of the all those forms of pre- and extra-scientific experience that constitute the «hermeneutical dimension» of human life. My analysis of Gadamer’s conception of understanding and experience – seen as forms of «practical knowledge» different in principle from theoretical and technical knowledge – leads then to a global interpretation of philosophical hermeneutics as practical philosophy, i.e. as a philosophical elucidation of the prescientific, intersubjective and “of commonsense” reasoning which characterizes our «life-world» and our practical life. But obviously this analysis also implies a special consideration of the ethical and political implications of Gadamer’s thought. In particular, I try to examine Gadamer’s conception of ethics – taking account of his relation with Plato’s, Aristotle’s, Kant’s and Hegel’s moral theories – and finally I sketch an outline of his philosophical hermeneutics as a philosophy of freedom, dialogue and solidarity.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
20

Marino, Stefano <1976&gt. "La filosofia di Hans-Georg Gadamer e il problema del disagio della modernità. Ermeneutica, estetica, etica e politica". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/835/.

Texto completo
Resumen
L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.
The philosophical hermeneutics of Hans-Georg Gadamer – one of the cornerstones in the 20th century philosophy – certainly represents a compound, prismatic and articulated thought, i.e. a philosophy made up of several different dimensions entwined with each other. A simple look at Gadamer’s major work Wahrheit und Methode (1960) can already clarify this point, since the book displays a theory of understanding which takes account of three different dimensions of human experience – art, history and language – obviously conceived as mutually related. But this picture gets a lot more complicated if one takes into consideration the many books and articles Gadamer wrote before and after his magnum opus which testify the presence of other interests and topics in his thought. Nevertheless the complexity of Gadamer’s philosophical hermeneutics has not always been recognized by his interpreters, who often concentrated only upon Wahrheit und Methode (in particular upon the problems of the Geisteswissenschaften) and gave no attention to other subjects (in particular the ethical and political dimension of his hermeneutical philosophy). Moreover it seems to me that many interpreters didn’t pay enough attention to the fundamental unity – which of course doesn’t mean “sistematicity” – that reigns in Gadamer’s philosophy despite its pluralist and heterogeneous character. My point is that the many dimensions of Gadamer’s philosophical hermeneutics – aesthetics and human sciences, language philosophy and moral philosophy, dialogue with the Greeks and critical confrontation with modern thought, reflections upon anthropological problems and observations concerning our actual sociopolitical, scientific and technological condition – actually represent the different sides of one thought centered on what we could define the malaise of modernity. In other words, it seems to me that the whole of Gadamer’s philosophy originates from the consciousness raising of the critical situation in which our world finds itself today: a deep crisis which, according to Gadamer, branches out into manifold directions and various dimensions of human life. My interpretation tries then to give an account of both the pars destruens and pars costruens of Gadamer’s philosophy, namely of his attempt to investigate and take a hard look at this critical dimensions of human existence in order to let out the point at issue and propose remedies, alternatives and possible solutions.. In the first section – entitled Phenomenology of modernity: the various symptoms of the crisis – I explain how a great part of the 20th century philosophy has been concerned with the idea and the feeling of a crisis of our culture and our civilization. In my view Gadamer’s hermeneutics too takes part in this global philosophical discourse. I try then to show and illustrate the various symptoms of this crisis analyzed by Gadamer, such as: socioeconomic pathologies of our bureaucratic societies; world-wide growth of the Western way of life to the detriment of other cultures; crisis of our values and beliefs (and consequent spread of relativism, skepticism and nihilism); growing inability to have meaningful relations with art, poetry and culture; finally, problems concerning the proliferation of weapons of mass destruction, the risk of an ecological crisis, and the disturbing, unpredictable consequences of some recent scientific discoveries (above all in the field of genetics). Once outlined Gadamer’s critical view of our age, in the second section – entitled Diagnosis of the malaise of modernity: the spread of instrumental and techno-scientific reason – I try to show how, according to Gadamer, a common root lies at the base of the many symptoms of the crisis, namely the birth of modern science and its close, intrinsic relationship with technique and with a specific form of rationality that Gadamer – with reference to the analysis developed by such thinkers as Max Weber, Martin Heidegger and the so-called Frankfurt School – calls «instrumental reason» or «calculating thinking». I try then to give an account of the gadamerian conception of techno-science, meanwhile highlighting some aspects: first, how Gadamer’s philosophical hermeneutics should not be interpreted as an antiscientific thought but rather as an antiscientistic thought (which of course is something quite different); second, how Gadamer’s reconstruction of the malaise of modernity never ends up in a “totalizing” critique of reason, nor in some sort of negativistic and pessimistic philosophy of history centered on the idea of an inescapable course of the events guided by a polluted, “irrational” rationality; third, how Gadamer – despite all the inveterate interpretations that read his philosophy as a form of authoritarian, traditionalist and antienlightenment thought – never aimed to reject the modern scientific Enlightenment tout court but rather to “correct” some of its tendencies and so to regain a wider and more comprehensive concept of reason. After having analyzed in the first two sections the pars destruens of Gadamer’s philosophy, in the third and last section of my work – entitled Therapy of the crisis of modernity: the rediscovery of experience and practical knowledge – I take into consideration the pars costruens of his thought, which according to my interpretation consists of a rediscovery of what he calls «a different kind of knowledge», i.e. of a rehabilitation of the all those forms of pre- and extra-scientific experience that constitute the «hermeneutical dimension» of human life. My analysis of Gadamer’s conception of understanding and experience – seen as forms of «practical knowledge» different in principle from theoretical and technical knowledge – leads then to a global interpretation of philosophical hermeneutics as practical philosophy, i.e. as a philosophical elucidation of the prescientific, intersubjective and “of commonsense” reasoning which characterizes our «life-world» and our practical life. But obviously this analysis also implies a special consideration of the ethical and political implications of Gadamer’s thought. In particular, I try to examine Gadamer’s conception of ethics – taking account of his relation with Plato’s, Aristotle’s, Kant’s and Hegel’s moral theories – and finally I sketch an outline of his philosophical hermeneutics as a philosophy of freedom, dialogue and solidarity.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
21

Mazzanti, Alessandro <1972&gt. "Louis Marin e Bernard Stiegler: due approcci alla comprensione delle immagini nella filosofia francese contemporanea". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/2093/1/alessandro_mazzanti_tesi.pdf.

Texto completo
Resumen
Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
22

Mazzanti, Alessandro <1972&gt. "Louis Marin e Bernard Stiegler: due approcci alla comprensione delle immagini nella filosofia francese contemporanea". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/2093/.

Texto completo
Resumen
Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
23

Ricciotti, Adele <1980&gt. "Etica della ragione poetica: rinascita dell'uomo e rinnovamento filosofico in Maria Zambrano". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/2434/1/Ricciotti_Adele.pdf.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
24

Ricciotti, Adele <1980&gt. "Etica della ragione poetica: rinascita dell'uomo e rinnovamento filosofico in Maria Zambrano". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/2434/.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
25

Bertolini, Simona <1980&gt. "Genesi e struttura del problema del mondo nel pensiero di Eugen Fink: tra ontologia, idealismo e fenomenologia". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/2445/1/Bertolini_Simona_Tesi.pdf.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
26

Bertolini, Simona <1980&gt. "Genesi e struttura del problema del mondo nel pensiero di Eugen Fink: tra ontologia, idealismo e fenomenologia". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/2445/.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
27

Muho, Alment <1976&gt. "Immagine del pensiero e potenze del Differente nella filosofia di Gilles Deleuze". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/4182/1/Muho_Alment_tesi.pdf.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
28

Muho, Alment <1976&gt. "Immagine del pensiero e potenze del Differente nella filosofia di Gilles Deleuze". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/4182/.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
29

Leone, Giulia <1981&gt. "L'opera letteraria tra interpretazione e metafora: a partire da Nelson Goodman". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/6018/1/L%27opera_letteraria_tra_interpretazione_e_metafora.pdf.

Texto completo
Resumen
Che rapporto intercorre tra un’opera letteraria e una sua interpretazione? Che cosa fa sì che la prima supporti la seconda? Come possiamo discernere un’interpretazione valida da una che non lo è ? Come può una stessa opera avere interpretazioni differenti e a volte incompatibili tra loro? Assumendo come punto di partenza la proposta di Nelson Goodman di qualificare l’opera letteraria come allografica e, quindi, di definire l’identità dell’opera sulla base della sua compitazione, cercare un risposta alle domande proposte implica un riflessione tanto sul linguaggio, quale strumento simbolico, quanto sulle modalità di riferimento proprie delle opere letterarie. In particolare, di fronte al dissolversi del mondo nella molteplicità delle versioni che il linguaggio può offrire di esso, una peculiare concezione della metafora, intesa come proiezione di un regno del linguaggio su un altro regno dello stesso, si qualifica come un buon modello per la comprensione del rapporto che lega opere letterarie e loro interpretazioni. In tal modo l’opera stessa non solo diviene significativa, ma, attraverso tale significazione, riesce anche a farsi produttiva, modificando, ampliando, ristrutturando la versione dal mondo dalla quale l’interprete-lettore prende le mosse. Ciascuna lettura di un’opera letteraria può infatti essere concepita come una via attraverso la quale ciò che nell’opera è detto viene proiettato sulla visione del mondo propria dell’interprete e di quanti possono condividerne il punto di vista. In tal modo le interpretazioni pongono le opere cui si riferiscono nelle condizioni di fornire un apporto significativo tanto alla comprensione quanto alla costituzione della nostra versione del mondo. E se ciò può avvenire in diversi modi, mutando le interpretazioni a seconda di chi le produce e delle circostanze in cui sorgono, l’opera evita la dissoluzione in virtù della compitazione che la identifica.
What is the relationship between a literary work and its interpretation? What makes the first support the second one? How can we discern a valid interpretation from one that is not? How can the same work have different interpretations, sometimes incompatible with each other? Taking as starting point the Nelson Goodman’s proposal to qualify literary works as allografic, and, therefore, to define the works identity based on their spelling, look for a response to posed questions implies a reflection both on language, as symbolic tool, and on the ways of reference of literary works. In particular, after the world dissolution in the multiplicity of versions that the language can offer of it, a peculiar conception of metaphor, understood as the projection of a realm to another of language, qualifies as a good model for the understanding of the relationship between literary works and their interpretations. In this way, the work itself not only becomes significant, but, by meaning, is also successful to get productive, changing, expanding, renovating the world version from which the reader-interpreter starts. Each reading of a literary work can in fact be seen as a way in which what is said in the work is projected onto the interpreter's own world vision and those whose can share his point of view. In this way, the interpretations put the works to which they refer in a position to make a significant contribution both to the understanding and to the constitution of our version of the world. And if this can be done in several ways, changing interpretations depending on who produces them and on the circumstances in which they arise, the work avoids the dissolution by virtue of spelling that identifies it.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
30

Leone, Giulia <1981&gt. "L'opera letteraria tra interpretazione e metafora: a partire da Nelson Goodman". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/6018/.

Texto completo
Resumen
Che rapporto intercorre tra un’opera letteraria e una sua interpretazione? Che cosa fa sì che la prima supporti la seconda? Come possiamo discernere un’interpretazione valida da una che non lo è ? Come può una stessa opera avere interpretazioni differenti e a volte incompatibili tra loro? Assumendo come punto di partenza la proposta di Nelson Goodman di qualificare l’opera letteraria come allografica e, quindi, di definire l’identità dell’opera sulla base della sua compitazione, cercare un risposta alle domande proposte implica un riflessione tanto sul linguaggio, quale strumento simbolico, quanto sulle modalità di riferimento proprie delle opere letterarie. In particolare, di fronte al dissolversi del mondo nella molteplicità delle versioni che il linguaggio può offrire di esso, una peculiare concezione della metafora, intesa come proiezione di un regno del linguaggio su un altro regno dello stesso, si qualifica come un buon modello per la comprensione del rapporto che lega opere letterarie e loro interpretazioni. In tal modo l’opera stessa non solo diviene significativa, ma, attraverso tale significazione, riesce anche a farsi produttiva, modificando, ampliando, ristrutturando la versione dal mondo dalla quale l’interprete-lettore prende le mosse. Ciascuna lettura di un’opera letteraria può infatti essere concepita come una via attraverso la quale ciò che nell’opera è detto viene proiettato sulla visione del mondo propria dell’interprete e di quanti possono condividerne il punto di vista. In tal modo le interpretazioni pongono le opere cui si riferiscono nelle condizioni di fornire un apporto significativo tanto alla comprensione quanto alla costituzione della nostra versione del mondo. E se ciò può avvenire in diversi modi, mutando le interpretazioni a seconda di chi le produce e delle circostanze in cui sorgono, l’opera evita la dissoluzione in virtù della compitazione che la identifica.
What is the relationship between a literary work and its interpretation? What makes the first support the second one? How can we discern a valid interpretation from one that is not? How can the same work have different interpretations, sometimes incompatible with each other? Taking as starting point the Nelson Goodman’s proposal to qualify literary works as allografic, and, therefore, to define the works identity based on their spelling, look for a response to posed questions implies a reflection both on language, as symbolic tool, and on the ways of reference of literary works. In particular, after the world dissolution in the multiplicity of versions that the language can offer of it, a peculiar conception of metaphor, understood as the projection of a realm to another of language, qualifies as a good model for the understanding of the relationship between literary works and their interpretations. In this way, the work itself not only becomes significant, but, by meaning, is also successful to get productive, changing, expanding, renovating the world version from which the reader-interpreter starts. Each reading of a literary work can in fact be seen as a way in which what is said in the work is projected onto the interpreter's own world vision and those whose can share his point of view. In this way, the interpretations put the works to which they refer in a position to make a significant contribution both to the understanding and to the constitution of our version of the world. And if this can be done in several ways, changing interpretations depending on who produces them and on the circumstances in which they arise, the work avoids the dissolution by virtue of spelling that identifies it.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
31

Lo, Marco Lucia <1981&gt. ""Narrazione filosofica" e "afilosofia". I problemi della filosofia, dell'espressione e del senso in Gadda e in Merleau-Ponty". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/6148/1/Narrazione_filosofica_e_filosofia_narrativa.pdf.

Texto completo
Resumen
Questo lavoro pone i problema di una presentazione filosofica della Meditazione milanese, nel suo rapporto con l'opera letteraria di Gadda e, contemporaneamente, instaura un confronto tra il complesso della produzione gaddiana (saggistica e narrativa) e l'ipotesi, messa in rilevo da Merleau-Ponty, di trovare al di fuori del vocabolario filosofico le possibilità di esprimere e raccontare la realtà che ci circonda. Nel costante riferimento alle posizioni teoretiche espresse nella Meditazione milanese, non solo viene inscritta la figura di Gadda entro un panorama filosofico, ma risulta problematizzato lo statuto stesso della filosofia. .
Questo lavoro pone i problema di una presentazione filosofica della Meditazione milanese, nel suo rapporto con l'opera letteraria di Gadda e, contemporaneamente, instaura un confronto tra il complesso della produzione gaddiana (saggistica e narrativa) e l'ipotesi, messa in rilevo da Merleau-Ponty, di trovare al di fuori del vocabolario filosofico le possibilità di esprimere e raccontare la realtà che ci circonda. Nel costante riferimento alle posizioni teoretiche espresse nella Meditazione milanese, non solo viene inscritta la figura di Gadda entro un panorama filosofico, ma risulta problematizzato lo statuto stesso della filosofia. .
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
32

Lo, Marco Lucia <1981&gt. ""Narrazione filosofica" e "afilosofia". I problemi della filosofia, dell'espressione e del senso in Gadda e in Merleau-Ponty". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2013. http://amsdottorato.unibo.it/6148/.

Texto completo
Resumen
Questo lavoro pone i problema di una presentazione filosofica della Meditazione milanese, nel suo rapporto con l'opera letteraria di Gadda e, contemporaneamente, instaura un confronto tra il complesso della produzione gaddiana (saggistica e narrativa) e l'ipotesi, messa in rilevo da Merleau-Ponty, di trovare al di fuori del vocabolario filosofico le possibilità di esprimere e raccontare la realtà che ci circonda. Nel costante riferimento alle posizioni teoretiche espresse nella Meditazione milanese, non solo viene inscritta la figura di Gadda entro un panorama filosofico, ma risulta problematizzato lo statuto stesso della filosofia. .
Questo lavoro pone i problema di una presentazione filosofica della Meditazione milanese, nel suo rapporto con l'opera letteraria di Gadda e, contemporaneamente, instaura un confronto tra il complesso della produzione gaddiana (saggistica e narrativa) e l'ipotesi, messa in rilevo da Merleau-Ponty, di trovare al di fuori del vocabolario filosofico le possibilità di esprimere e raccontare la realtà che ci circonda. Nel costante riferimento alle posizioni teoretiche espresse nella Meditazione milanese, non solo viene inscritta la figura di Gadda entro un panorama filosofico, ma risulta problematizzato lo statuto stesso della filosofia. .
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
33

Cornia, Ugo <1965&gt. "Esperienze neociniche della citta. Dimensione estetico-narrativa dell'abitare lo spazio". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018. http://amsdottorato.unibo.it/8501/7/UGO_%20CORNIA_tesi.pdf.

Texto completo
Resumen
La tesi indaga, a partire dagli stimoli offerti da Hadot, Agamben, Foucault, Fabbrichesi, Goulet-Cazé e Sloterdijk, la specificità dell’antico cinismo. Il cinismo è una forma di vita molto particolare che oggi ha forse ancora qualcosa da dire. Si è cercato di ricostruire un quadro di insieme che ricomponesse questa forma di vita cinica, molto autarchica e polemica, in relazione alle principali esperienze della vita: l’origine e la cittadinanza, il rapporto con l’economia, con il potere, con le convenzioni sociali, con il sapere e con la religione. Si è cercato di contestualizzare la forma di vita cinica in relazione al contesto urbano perché il cinismo si è sviluppato all’interno delle città. Le provocazioni ciniche si mostravano nei templi o nelle piazze; attraverso comportamenti spudorati e impudichi veniva contestato il modo di vestirsi o di abitare, e si trasgredivano le consuetudini e le leggi. Si è poi ricostruita una specie di corrente sotterranea del cinismo nello sviluppo della cultura occidentale dalla fine del mondo greco-romano al diciannovesimo secolo. Diogene compare nella cultura araba e nella novellistica medioevali; il cinismo viene citato da Erasmo, da Montaigne, da Rabelais e compare il tema della stravaganza della vita dell’artista. Gli illuministi citano Diogene. Si sono analizzati i tentativi di autarchia di Thoreau, lo stile di vita di Marx a Londra, e il grande recupero del cinismo a opera di Nietzsche. Nel Novecento si sono analizzati alcuni motivi cinici presenti nella narrativa di Tolstoj, Bernhard, Beckett, Hasek e Kristof. Non è un cinismo dichiarato, ma il riemergere di certi problemi e di certe soluzioni. Si è cercato poi di approfondire come e che cosa Foucault e Sloterdijk abbiano recuperato del cinismo. Nella sfera socio-economica, si sono evidenziati i nessi tra l’autarchia cinica e le proposte del pensiero della decrescita e di Ivan Illich.
This PhD dissertation investigates, starting from the stimuli offered by Hadot, Agamben, Foucault, Fabbrichesi, Goulet-Cazé and Sloterdijk, the specificity of the ancient cynicism. Cynicism is a very particular form of life that today perhaps has something to say. We tried to reconstruct a framework that recomposes this form of cynical life, very autarchic and controversial, in relation to the main experiences of life: the origin and citizenship, the relationship with the economy, with the power, with the social conventions, with knowledge and with religion. This research tries to contextualize the cynical life form in relation to the urban context because cynicism developed within the cities. Cynical provocations were shown in temples or squares; through shameless and shameless behavior, the way of dressing or living was disputed, and customs and laws were transgressed. A kind of subterranean current of cynicism was then reconstructed in the development of western culture from the end of the Greek-Roman world to the nineteenth century. Diogenes appears in Arab culture and medieval novels; cynicism is cited by Erasmus, Montaigne, Rabelais and the theme of the extravagance of the artist's life appears. The illuminists quote Diogene. Thoreau's attempts at autarky have been analyzed, Marx's lifestyle in London, and Nietzsche's great recovery of cynicism. In the twentieth century, some cynical motifs in the narrative of Tolstoy, Bernhard, Beckett, Hasek and Kristof were also analyzed. It is not a declared cynicism, but the re-emergence of certain problems and certain solutions. We then tried to investigate how and what Foucault and Sloterdijk have recovered from cynicism. In the socio-economic sphere, the links between cynical autarky and the ideas of de-growth thought and Ivan Illich were highlighted.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
34

Iannilli, Gioia Laura <1988&gt. "L'estetico progettato: design, quotidiano, esperienza". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018. http://amsdottorato.unibo.it/8551/1/Iannilli_Gioia%20Laura_tesi.pdf.

Texto completo
Resumen
L’idea fondamentale è che uno degli scopi del design sia quello di progettare, prima ancora che oggetti, esperienze estetiche quotidiane. Ciò emerge in particolare se si ritiene che l’estetico vada descritto come modalità di relazione tra sé e mondo e la relativa esperienza almeno in primo luogo nei termini di un’esperienza fondamentalmente gratificante, nella misura in cui essa dà luogo a relazioni partecipative o immersive tra individuo e ambiente. Considerando l’estetico quotidiano, sarà facile rilevare come la gratificazione che vi è connessa sia legata a pratiche in cui il tasso di agevolazione viene massimizzato. Ed è appunto l’agevolazione dell’esperienza a costituire l’elemento cardine della progettazione. Corollario essenziale è ovviamente che l’estetico, sempre più quotidiano e insieme progettato, non può essere considerato dominio esclusivo dell’arte e della natura. Se quanto premesso è vero, si dovrà innanzitutto di capire sia quale tipo di estetica implichi il design sia quali sono le peculiarità estetiche del quotidiano a cui si volge la sua attività di progettazione. A tal fine verrà assunto come caso studio l’Everyday Aesthetics intrecciando i risultati ricavati dall’analisi del suo statuto con il tema della spazialità. Ciò permetterà di porre in rilievo una peculiare significatività “topografica”. Si vedrà come la convergenza degli elementi emersi ponga inoltre un problema più complesso nei termini di una teoria dell’esperienza, il cui quadro si complica proprio perché quel che è emerso investe tanto lo strato più originario dell’esperienza (Lebenswelt), quanto la sfera della vita quotidiana (Everydayness). Si tenterà dunque di comprendere in che misura questi strati dell’esperienza siano condizionati dalla progettazione e siano assimilabili tra loro. Infine si tornerà allo statuto del design, cercando di delineare ciò che rimane oggi del suo orientamento umanistico e ricavando dall’Experience Design un principio unificante: l’esperienzialità nel suo statuto relazionale, a conferma dell’idea guida assunta all’inizio.
Essential idea is that one of design’s goals is designing everyday aesthetic experiences rather than just objects. All this becomes evident if we assume a point of view in which the aesthetic is considered as a relational modality between self and world and the experience of the aesthetic as a fundamentally gratifying experience, insofar as it allows participatory or immersive individual-environment relationships. By considering the everyday aesthetic, it’s easy to see how the gratification linked to it exclusively concerns practices, in which the degree of facilitation of experiences is maximized. And the facilitation of experiences is precisely the kernel of design. An implication of this stance is that the aesthetic cannot be considered art’s or nature’s exclusive domain. If this is true, we need to understand first, what kind of aesthetics is implied by design and secondly, what are the aesthetic peculiarities of the everyday that is designed. We will hence employ Everyday Aesthetics as a case study and link data emerged from the analysis of its statute to the topic of spatiality. This will allow a focus on a peculiar “topographical” significance. Then, we’ll see how the convergence of the elements emerged raises a more complex question from the viewpoint of a theory of contemporary experience. The theoretical framework becomes more complex because what’s emerged involves both the most original stratum of experience (Lebenswelt) and that sphere in which our quotidianity happen (Everydayness). We’ll attempt to understand to what extent these two experience spheres are affected by design and can be equated. Finally we’ll return to the status of design and try providing a description of what remains today of its humanistic orientation by extracting from Experience Design a unifying principle: experientiality’s relational principle, hence corroborating the guiding idea of this thesis.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
35

Farne', Federico <1986&gt. "Contatti e Confini: Corpo e Citta tra Occidente ed Estremo Oriente". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2020. http://amsdottorato.unibo.it/9415/1/Contatti%20e%20Confini%20Corpo%20e%20Citt%C3%A0%20tra%20Occidente%20ed%20Estremo%20Oriente.pdf.

Texto completo
Resumen
La ricerca affonda le sue radici da un lato negli studi di antropologia del corpo e della percezione portati avanti da Le Breton il quale, muovendo dalla fenomenologia di Merleau-Ponty e dalle teorie di Foucault sul corpo e il biopower, ci restituisce un’immagine del corpo quale profusione e significazione del sensibile. Dall’altro lato, partendo da una tradizione che va da Simmel a Rykwert, si è analizzato la città come entità primariamente immateriale. La città trascende il mero complesso urbanistico-architettonico che le dà forma, andando a disegnare un complesso sistema di relazioni materiali, simboliche e anche mitiche, stratificate nel tempo e nello spazio. Corporeità e spazio urbano vengono qui a delinearsi come i due estremi di una relazione dialettica nella quale, non solo l'uno tende a definire l'altro in un rapporto di reciprocità e trasformazione continui, ma anche come due entità che tendono a intrecciarsi l’una con l’altra. Tutto ciò risulta particolarmente vero quando si va ad analizzare l’impatto che le tecnologie digitali esercitano nel modellamento dei corpi e delle città, avviando un processo di virtualizzazione che porta da un lato all’insorgenza di nuove forme urbane e dall’altro, come reazione e adattamento a un ambiente nuovo, alle soglie del post-umano. Al fine di non relegare l’intera ricerca a un ambito eccessivamente teoretico si è ritenuto necessario integrare il dibattito sia attraverso dati empirici, tentando di cogliere il mutamento nel suo dispiegarsi, quanto ricorrendo alle suggestioni cinematografiche e letterarie. Partendo da una tradizione di studi urbanistici che vede nella Tokyo contemporanea il superamento della città moderna si sono evidenziati i limiti ma anche i meriti di un simile approccio, provando, seguendo la linea tracciata da Tradits, a fornire una soluzione originale al problema. Si è infine voluto scindere, facendo ricorso a un’analisi estetico comparativa, la specificità del fenomeno dagli elementi globali.
The research has its roots on the one hand in the anthropology studies of the body and perception carried out by Le Breton who, moving from the phenomenology of Merleau-Ponty and the theories of Michel Foucault on the body and biopower, gives us an image of the body as profusion and meaning of the sensible. On the other hand, based on a tradition that goes from Simmel to Rykwert, the city is analyzed as a primarily immaterial entity. The city transcends the mere urban-architectural complex that shapes it, going to draw a complex system of material, symbolic and even mythical relationships, stratified in time and space. Corporeality and urban space come out here as the two terms of a dialectical relationship in which, not only one tends to define the other in a relationship of continuous reciprocity and transformation, but also as two entities that tend to intertwine each other. This is particularly true when we analyze the impact that digital technologies have on shaping bodies and cities, starting a virtualization process that leads to the onset of new urban forms and, as a reaction and adaptation to a new environment, to the post-human threshold. In order not to relegate the entire research to an excessively theoretical area, it was deemed necessary to integrate the debate both through empirical data, attempting to grasp the change in its unfolding, as well as resorting to cinematographic and literary suggestions. Starting from a tradition of urban studies that sees in contemporary Tokyo the overcoming of the modern city, the limits and the merits of such an approach have been highlighted, then trying, following the Tradits’ analysis, to provide an original solution to the problem. Finally, the specificity of the phenomenon from the global elements was split, using a comparative aesthetic analysis.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
36

Vitali, Rolando <1986&gt. "Macht und Form - Individualität und ästhetischen Kategorien in der philosophie Nietzsches". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amsdottorato.unibo.it/9885/3/Tesi%20dottorato%20%2B%20Riassunto%20italiano%20%2B%20frontespizio%20corretto.pdf.

Texto completo
Resumen
Ziel der Arbeit ist es, Nietzsches Verwendung ästhetischer Kategorien zur Begriffsbestimmung der Individualität zu vertiefen. Die These situiert Nietzsches Denken innerhalb einer umfassenderen Interpretation der Moderne und des modernen ästhetischen Diskurses und zeigt, wie Nietzsche gerade durch die Radikalisierung bestimmter ästhetischer Kategorien (Genie, Bildung, Tragödie etc.) eine umfassende Kritik des modernen Subjektbegriffs durchführen konnte. Diese kritische Operation ist ihm nämlich möglich, weil der moderne ästhetische Diskurs das diskursive Mittel darstellt, welches die Moderne entwickelt hat, um einige ihrer zentralen Widersprüche zu theoretisieren und zu bearbeiten. Indem Nietzsche die Autonomie des ästhetischen Diskurses selbst kritisiert und gleichzeitig seine Logik auf den moralischen und politischen Bereich ausdehnt, entwickelt er somit nicht nur eine Kritik der wichtigsten ästhetischen Institutionen, sondern auch eine radikale Kritik der Moderne.
The aim of this thesis is to investigate Nietzsche's use of aesthetic categories to conceptualise individuality. The investigation situates Nietzsche's thought within a broader interpretation of modernity and modern aesthetic discourse, showing how precisely through the radicalisation of certain aesthetic categories (Genius, Bildung, Tragedy etc.) Nietzsche could undertake a comprehensive critique of the modern concept of the subject. This critical operation is possible because modern aesthetic discourse represents the discursive device that modernity has developed to theorise and address some of its central contradictions. By critiquing the autonomy of aesthetic discourse and by extending at the same time its logic to the moral and political realms, Nietzsche thus develops not only a critique of the major aesthetic institutions, but also a radical critique of modernity.
Lo scopo della tesi è di indagare l'uso delle categorie estetiche da parte di Nietzsche per concettualizzare l'individualità. L'indagine situa il pensiero di Nietzsche all'interno di un'interpretazione generale della modernità e del discorso estetico moderno, mostrando come proprio attraverso una radicalizzazione di alcune categorie estetiche (Genio, Bildung, Tragedia) Nietzsche abbia avviato una critica complessiva del concetto moderno di soggetto. Questa operazione è possibile perché il discorso estetico moderno rappresenta il dispositivo discorsivo che la modernità ha sviluppato per tematizzare e risolvere alcune delle proprie contraddizioni centrali. Criticando l'autonomia del discorso estetico ed estendone al contempo la logica al campo morale e politico, Nietzsche sviluppa così non solo una critica delle maggiori istituzioni estetiche, ma anche una critica radicale della modernità.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
37

Catalano, Raul <1988&gt. "La filosofia della musica di Adorno. Ovvero come fare musicologia col martello". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/1650.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
38

Bonci, Silvia <1986&gt. "Valutare l'esperienza museale: motivazioni e impatto cognitivo dei visitatori : la Collezione Peggy Guggenheim come case study". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/1725.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
39

Moser, Samuele <1988&gt. "Come la musica cambia il tempo: Morton Feldman". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/1829.

Texto completo
Resumen
Partendo dalla pratica musicale e dagli scritti di Morton Feldman, capire come una nuova ed originale estetica musicale (intesa nel suo duplice significato, sia come disciplina filosofica autonoma che come teoria del "sentire") sia fattualmente in grado di cambiare la nostra percezione, nonchè il nostro pensare il tempo oggi.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
40

Guglielmucci, Chiara <1987&gt. "Art on the net : analisi delle opportunità offerte da Internet all'artista contemporaneo". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/2018.

Texto completo
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
41

Stangoni, Elisena <1987&gt. "Identità e design". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2012. http://hdl.handle.net/10579/2184.

Texto completo
Resumen
Viene indagata la relazione che intercorre tra l'identità nazionale di un paese e l'utilizzo del design da parte delle pubbliche amministrazioni nella comunicazione con la cittadinanza. Nel primo capitolo si ripercorre la storia del design fino a giungere ad una definizione empirica del termine. Nel secondo capitolo si indagano le relazioni esistenti tra la cultura e la sua espressione nell'identità nazionale di ogni paese, e come questa possa essere espressa dal design. Nel terzo capitolo si analizzano casi di impiego del design da parte delle pubbliche amministrazioni di vari stati. In particolare ci si sofferma sulle attività della fondazione olandese Design Den Haag.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
42

Cazzola, Marta <1988&gt. "arte contemporanea e conflitto a Tophane". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2481.

Texto completo
Resumen
L'elaborato analizza l'offerta culturale di Tophane, un quartiere centrale di Istanbul. Con la costruzione del museo d'arte contemporanea Istanbul Modern nel 2007, la zona è stata soggetta ad un forte cambiamento divenendo una delle aree artistiche più interessanti della città, grazie all'alta concentrazione di gallerie d'arte contemporanea. L'area nel tempo ha subito la gentrification, fenomeno attraverso il quale i quartieri degradati e spesso malfamati vengono riqualificati e abitati da persone di classe medio-alta che subentrano ai residenti. Nel 2010, in corrispondenza di Istanbul Capitale Europea della Cultura si è verificato un episodio di violenza, da parte dei residenti, contro le gallerie. Il fatto induce a discutere sui piani di riqualificazione urbana che utilizzano l'arte contemporanea come elemento primario per il cambiamento della zona interessata. Gli effetti delle scelte Top-Down si dimostrano devastanti poiché spesso portano ad una modificazione dello stile di vita e delle tradizioni locali oltre ai problemi che si possono generare tra gli abitanti appartenenti a culture diverse. Si vuole quindi proporre un tipo di cultura partecipativa che vede l'arte come un elemento d'unione puntando al coinvolgimento, allo scambio d'opinioni e all'interazione tra residenti per una migliore convivenza.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
43

Chiapparelli, Giulia <1988&gt. "Il finanziamento della cultura nell'era del web 2.0 : il crowdfunding". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2482.

Texto completo
Resumen
L'elaborato, partendo da una descrizione delle modalità di finanziamento della cultura tradizionali (fondi pubblici, sponsorizzazioni, erogazioni liberali) analizza un nuovo strumento di raccolta fondi dal basso, il Crowdfunding; processo collaborativo di finanziamento tramite cui una molteplicità di individui sostiene economicamente un progetto o un iniziativa per mezzo di donazioni online. La nascita di questo strumento, strettamente connessa all'evoluzione della comunicazione via Web che permette agli individui di entrare in contatto e scambiarsi informazioni in tempi e costi pressoché nulli, potrebbe rivelarsi una soluzione per il finanziamento di progetti culturali e artistici che non riescono a concretizzarsi a causa dell'insufficienza di fondi a disposizione, oltre che un possibile strumento di democratizzazione dell'arte.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
44

Cherubin, Elena <1982&gt. "L'Internazionale situazionista. Contro il feticcio della merce". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2483.

Texto completo
Resumen
Guy Debord scrive “La società dello spettacolo” basandosi sulla prima parte de “Il capitale” di Karl Marx, sull’analisi del carattere di “feticcio” della merce. Secondo Marx la merce presenta un doppio carattere: quello d’uso e quello di scambio. Il valore d’uso è il consumo materiale della merce, mentre quello di scambio è il suo potere di circolazione. Nella società capitalistica avanzata il valore d’uso perde sempre più importanza rispetto al valore di scambio. L’oggetto non conta per sé stesso, per le sue caratteristiche ma in quanto merce. La merce in questo modo diviene sempre più qualcosa di astratto, assumendo un carattere magico diventa un “feticcio”. Come nella religione gli dei si ergono contro l’uomo nella loro lontananza, nella stessa maniera la merce frutto del lavoro dell’uomo, nella società capitalistica gli si oppone nella sua estraneità e indipendenza. In questo tipo di società il lavoro basato sulla macchina si trasforma da attivo in passivo e contemplativo. Qui si inserisce Debord con il suo discorso sullo spettacolo. Lo spettacolo è il momento in cui la merce occupa totalmente la vita sociale. Lo spettacolo va ben oltre il discorso sui media, ma occupa la società tutta. Per Debord “lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine”. Ad opporsi alla società “dello spettacolo” sarà l’Internazionale situazionista (1957-1972) un movimento che si pone come rivoluzionario e che nasce dalle idee di CoBrA, MIBI, Internazionale lettrista e Comitato psicogeografico di Londra. Gli esponenti di maggior rilievo saranno lo stesso Debord, A. Jorn, Pinot-Gallizio, Constant ed in seguito R. Vaneigem. I situazionisti si propongono di “creare situazioni” ovvero “momenti della vita, concretamente e deliberatamente costituiti mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti”. Lo scopo sarà quello di realizzare i desideri delle persone e non i falsi bisogni indotti dalla società capitalistica. Punto importante per l’I.S. è “l’urbanismo unitario” che riguarda non solo la struttura della città, ma anche il conseguente comportamento dei cittadini. I situazionisti teorizzano il superamento dell’arte nella rivoluzione del quotidiano. Fondamentale diventano il gioco, l’abbandono del lavoro ceduto definitivamente all’automatizzazione delle macchine, un tipo di vita nomade e avventurosa, le pratiche della “dérive” e del “détournement”. Saranno i situazionisti a dare il via ai moti del ’68.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
45

Crosta, Camilla <1988&gt. "Le Situazioni dell'arte pubblica: l'esperienza di Situations a Bristol e nel contesto internazionale". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2484.

Texto completo
Resumen
La tesi vuole analizzare la diffusione della pratica dell'arte situation-specific nel panorama contemporaneo. Nel contesto generale dell'arte pubblica la creazione di situazioni, e la risposta a delle situazioni sono diventati motivi di ricerca sia da parte degli artisti che dei curatori. In particolare la tesi si soffermerà sull'esempio di Situations, un'organizzazione con sede a Bristol, in Inghilterra, prendendo in considerazione la sua tatività e i progetti di public art da lei commissionati. Si avrà quindi l'occasione di riflettere sulle ultime tendenze di questo genere d' arte e sulle questioni spinose che spesso pone.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
46

Cassin, Anna <1975&gt. "Dibattito sulla Neuroestetica. Da Semir Zeki al progetto di una nuova Neuroestetica". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/2678.

Texto completo
Resumen
Panoramica del dibattito aperto dalle nuove posizioni che, prendendo le distanze dalla Neuroestetica di Semir Zeki, propongono una Neuroestetica nuova. Attraverso l'analisi di alcuni nodi cruciali del lavoro di Zeki, Maffei, Rizzolatti e il suo gruppo di Parma, fino a Freedberg, Ramachandran, Gallese, Dissanayake, Skov e Vartanian.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
47

Meneghello, Marina <1982&gt. "Arti e industrie: analisi di un rapporto in continua evoluzione". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3343.

Texto completo
Resumen
Con questo lavoro vorrei tentare di analizzare il tipo di rapporto che esiste tra artisti ed industrie, dall' epoca della nascita della produzione di massa ad oggi. Attraverso alcuni esempi di collaborazioni nella realizzazione di prodotti e pubblicità capire come questo rapporto sia cambiato ed evoluto fino ad oggi, chiedendomi quale siano il ruolo e le motivazioni di entrambi.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
48

Pessato, Claudia <1988&gt. "Creatività: dalle origini filosofiche all'impiego in ambito economico". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3535.

Texto completo
Resumen
La tesi consiste in un'accurata ricostruzione della genealogia del concetto di creatività comprensiva di un approfondimento sulla figura del genio e di un'analisi sull'odierno impiego del termine in alcune significative teorie economiche e documenti di policy.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
49

Striano, Donatella <1987&gt. "UN LUOGO D’ARTE [NON] COMUNE: LA METRO ART DI NAPOLI Spazio pubblico, arte ed estetica urbana". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3634.

Texto completo
Resumen
Il lavoro di ricerca, concentra la sua analisi sulla Linea 1 della metropolitana di Napoli, nota come la Metro Art. La particolarità di questa infrastruttura è quella di intervenire nello spazio urbano non solo dal punto di punto di vista funzionale, ma anche in termini di rivalorizzazione dei contesti attraversati. Le stazioni della Linea 1 sono nate da un’idea strategica mirata a inserire l’azione creativa di artisti nazionali e internazionali come valore aggiunto allo spazio architettonico della metropolitana. È importante sottolineare che gli spazi espositivi non sono stati “riempiti” aposteriori, ma che gli artisti hanno partecipato attivamente alla fase di progettazione della struttura. L’utilizzo di diversi linguaggi artistici e architettonici in funzione del singolo contesto di intervento (il quartiere), assieme all’attiva partecipazione degli artisti sono le principali innovazioni di questo caso di studio. Il risultato è quello di un luogo d’arte [non] comune ovvero di un museo obbligatorio dove la produzione artistica contemporanea si impone allo spettatore senza la mediazione degli spazi espositivi tradizionali. Nel primo capitolo, dopo una breve nota sui principali elementi del contesto partenopeo, si presentano i tre principali temi teorici che saranno poi utilizzati nel terzo capitolo come criteri guida per la descrizione analitica delle singole stazioni. In particolare ci si sofferma sui concetti di spazio pubblico; non luogo; territorialità; arte e rigenerazione urbana e rapporto opera/spettatore. Nel secondo capitolo, si offre una descrizione circa le modalità operative relative alle diverse fasi del progetto Metro Art: ideazione, progettazione ed esecuzione. Inoltre, il capitolo dedica un paragrafo al ruolo della committenza pubblica nella promozione dell’arte contemporanea sottolineando l’importanza di alcune esperienze precedenti e concomitanti tese alla valorizzazione dei nuovi linguaggi artistici. Nel terzo capitolo si propone una dettagliata descrizione analitica delle singole stazioni della metropolitana dell’arte. Il criterio utilizzato nella descrizione è stato quello di rintracciare le ragioni che sono state oggetto di studio nel primo e nel secondo capitolo. In particolare: il rapporto tra artisti e città, tra l’opera d’arte e l’architettura in relazione all’identità dell’area urbana e in relazione al luogo d’arte [non] comune: la metropolitana e le relazioni tra le personalità coinvolte nel processo di progettazione ed esecuzione delle stazioni. È importante sottolineare che nell’analisi si è partiti dal concetto che queste non sono state intese solo come spazi funzionali della mobilità cittadina ma anche come luoghi evocativi di un’identità collettiva in continua (ri)strutturazione e (ri)significazione. Con riferimento alle fonti nel primo capitolo si è privilegiato la letteratura accademica di riferimento circa i temi teorici trattati. La stesura del secondo capitolo e del terzo capitolo oltre ad essere fondata su testi di natura accademica, si basa anche su fonti di natura diversa: articoli di giornale, riviste e atti di convegni sul tema.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
50

Guarnieri, Stefania <1988&gt. "Arte d'élite e arte popolare: un confine labile. Con un'analisi del writing e del suo mercato". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2013. http://hdl.handle.net/10579/3761.

Texto completo
Resumen
Questa tesi si propone di considerare l'arte d'élite e l'arte di massa da un punto di vista filosofico, mettendo in luce la continua oscillazione e la labilità tra le due parti. Il fenomeno è successivamente esemplificato in campo artistico dalla street art e in particolare dal writing come forma d'espressione nata per strada, fortemente popolare, importata poi ai più alti livelli dell'art system. Le esemplari vicende di Keith Haring e Jean-Michel Basquiat forniscono un interessante quadro di tale fenomeno, soprattutto per la loro grande influenza sul panorama artistico degli anni Ottanta. L'artista Banksy invece è stato inserito per delineare il medesimo fenomeno ai giorni nostri, anche per la particolarità di questo personaggio che pur essendo conosciuto, rimane nell'anonimato.Infine un'analisi del mercato del writing e soprattutto delle opere di questi tre artisti rappresenta uno strumento che ancor più fa emergere l'oscillazione tra l'arte popolare e l'arte colta, creando dinamiche particolari che hanno una forte incidenza sul piano economico.
Los estilos APA, Harvard, Vancouver, ISO, etc.
Ofrecemos descuentos en todos los planes premium para autores cuyas obras están incluidas en selecciones literarias temáticas. ¡Contáctenos para obtener un código promocional único!

Pasar a la bibliografía