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  1. Thèses

Littérature scientifique sur le sujet « Settore L-FIL-LET »

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Thèses sur le sujet "Settore L-FIL-LET"

1

BENVENUTO, CARMELO NICOLO'. « Prime indagini su quattro scritti teologici di Nicola di Metone ». Doctoral thesis, Università degli studi della Basilicata, 2022. https://hdl.handle.net/11563/163007.

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2

Andreatta, Luisa. « Docmi κατά σχέσιν in Eschilo ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2010. https://hdl.handle.net/11572/368363.

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Résumé :
The first part of this survey analyzes theories: the ancient doctrine and modern interpretations about dochmiac; the evidence on poems in responsion, the treatment by scholars, from 19th century on, of free responsions and other recent interpretations of this apparent licence; the problem of hiatus and brevis longo in dochmiacs. In the second part I analyzed strophic dochmiacs in the Persians, the Seven against Thebes, the Supplicants, Agamemnon, Coephores, Eumenides, Prometheus and the astrophic dochmiac of Pr. 425 ff. and Cho. 961-964. Finally I made up two Appendixes (index of responsions and index of the keywords). As far as colometry is concerned, I checked on microfilms or by means of digitally photographic reproductions the main manuscripts of the Oresteia: the Mediceus, the so-called prototriclinians and Demetrius Triclinius’s autograph (T), which is the ultimate achievement of the recensio made by this scholar on the text of Aeschylus. The Suppliants and the Coephores are trasmitted by a codex unicus. The Byzantine triad is handed down by more than one hundred of manuscripts: I saw the most important (MTGFVIRaQLK) for the Seven; I checked the Persians on MTGF, whereas for Prometheus I controlled the colometry of the Mediceus, but I extended my collation as to include other manuscripts in some cases, since dochmiacs are generally organized in compact structures (‘systems’), so that we can quite confidently rely on vulgate colometry, which often goes back to G. Hermann.
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3

Deriu, Morena. « L'eroe satirico di Luciano tra Aristofane e Platone ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2013. https://hdl.handle.net/11572/368424.

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Résumé :
Tra le caratteristiche costitutive della produzione di Luciano di Samosata, la mixis è una dimensione fondamentale, attiva a vari livelli. Fra questi rientra anche la caratterizzazione dei protagonisti dei dialoghi e, in particolar modo, dei personaggi satirici, portavoce del messaggio autoriale e, per ciò stesso, in parte ma non totalmente identificabili con Luciano. L'analisi di queste figure mostra come gli archetipi comico, platonico e menippeo (identificati come tali dall'autore in Bis acc. 33) intervengano nella creazione del personaggio satirico, non senza una certa continuità. Allo stesso tempo, questa non si piega, però, a facili categorizzazioni, in linea con l'intera produzione lucianea.
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Fadini, Matteo. « L'inquietudine in versi. Le opere di Marcantonio Cinuzzi e la letteratura religiosa eterodossa ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2014. https://hdl.handle.net/11572/368610.

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Résumé :
Questo lavoro trae origine dal fortuito ritrovamento di un manoscritto (Campori App. 423 [γ.T.6.15] della Biblioteca Estense Universitaria di Modena) durante le ricerche riguardanti la tesi di laurea magistrale. Quel manoscritto, di nessuna utilità per le indagini che stavo facendo allora, mi colpì per alcuni dei componimenti che racchiude e per le loro particolarità metriche. A seguito di controlli, il codice si è dimostrato un canzoniere contenente le rime giovanili di Marcantonio Cinuzzi, di cui costituisce un testimone mai prima citato. Marcantonio Cinuzzi, nato nei primi anni del Cinquecento a Siena, entra giovanissimo nell’Accademia degli Intronati con il nome di Scacciato Intronato. Rimatore non disprezzabile, si dedica a più riprese ai volgarizzamenti: traduce il De raptu Proserpinae, uscito postumo nel 1608, e il Prometeo di Eschilo, del quale esiste una edizione critica. Funzionario di Cosimo, partecipa al gruppo ereticale dei Sozzini; probabilmente è la protezione del duca a metterlo al riparo dalla prima ondata di processi inquisitoriali degli anni Cinquanta, ma non da quella successiva: incarcerato nel 1578, viene liberato alla fine del processo (1583); non è chiaro se a seguito di abiura. L’ultima attestazione del Cinuzzi in vita è la lettera di dedica del Rapimento di Proserpina, sottoscritta Della villa dell’Africa, il dì X di giugno 1592. L’agnizione di cui ho dato conto mi ha spinto a occuparmi della produzione poetica religiosa del senese: le Ode spirituali («il migliore prodotto della poesia protestante in Italia», secondo una forse troppo enfatica definizione di Marchetti) e il poemetto De la Papeida. Queste due opere sono sicuramente rappresentative della letteratura religiosa variamente eterodossa o comunque inquieta che venne prodotta in Italia a partire dalla metà degli anni Trenta del Cinquecento, segmento della nostra storia letteraria poco noto e fino ad anni recenti del tutto trascurato. Se la tesi gobettiana della mancata presenza della Riforma in Italia è stata superata dagli studi storici dell’ultimo cinquantennio, e se quindi oggi parlare di Riforma protestante e di eresie nell’Italia del XVI secolo è pratica diffusa, altrettanto non si può dire a proposito del versante letterario degli studi umanistici. Nelle nostre storie letterarie – di solito – il rapporto tra crisi religiosa, Riforma e letteratura è questione che viene affrontata a partire dal periodo post-tridentino e in relazione alle tensioni esistenti nella cultura e nella società di quella che è definita all’ingrosso Controriforma. Insomma: Torquato Tasso e la tormentata vicenda elaborativa della Gerusalemme, per voler compendiare il problema con una sola immagine. Per il resto, la nostra letteratura religiosa, quando non è produzione devozionale minore, sembra sostanziarsi per lo più nel genere laudistico di precedenti illustri. A partire almeno dagli studi di Delio Cantimori, Carlo Ginzburg, Adriano Prosperi, Massimo Firpo e Silvana Seidel Menchi, le conoscenze sul versante storico dei movimenti eterodossi italiani e sulla storia della Riforma e delle inquietudini religiose sono diventate patrimonio condiviso, dopo i primi e in un certo senso pionieristici tentativi fatti dalla storiografia di parte protestante. Le ricerche, tra gli altri, di Gigliola Fragnito e di Ugo Rozzo hanno gettato nuova luce sulla censura libraria e su come questa influì sulla produzione letteraria contemporanea In più di una occasione questi storici hanno fatto riferimento ad alcuni testi letterari, citandoli come documenti esemplari di letteratura più o meno segnata dalla coeva battaglia religiosa. La informazioni prodotte da questo tipo di indagini non hanno però prodotto in ambito letterario un conseguente aggiornamento delle conoscenze; a parte alcuni importanti contributi, fino a pochi anni fa questa provincia della nostra storia letteraria era quasi del tutto sconosciuta. Più di recente, la crescita dell’interesse intorno alle “Muse sacre†e la riscoperta della letteratura, e in particolare della poesia, religiosa del Cinquecento e Seicento hanno stimolato gli studi, agevolando il recupero anche della produzione letteraria eterodossa e inquieta. Gli studi e le edizioni di testi curati, tra gli altri, da Davide Dalmas, Enrico Garavelli, Franco Pierno e Franco Tomasi, assieme ai lavori in corso sul Pasquino, rappresentano i primi frutti di questi sforzi sul versante a vario titolo ereticale della nostra letteratura. È in tale filone di studi che ambisce ad inserirsi questo lavoro. Ambito di interesse Il lavoro di ricerca si è concentrato sul rapporto tra la Riforma religiosa nelle sue varie declinazioni e i multiformi aspetti delle inquietudini religiose da una parte, e la produzione letteraria, segnatamente poetica, dall’altra. Le domande alla base di questo studio sono semplici: quanto è esteso il perimetro della poesia cinquecentesca composta anche come veicolo di idee religiose a vario titolo eterodosse? Quali furono le modalità di produzione e di ricezione di una letteratura che tematizzava la crisi religiosa e che spesso ambiva a giocare un ruolo diretto nella battaglia culturale e religiosa allora in piena evoluzione? In che modo questi testi poetici indicarono una strada di rinnovamento anche letterario, oltre che religioso? La storiografia su questo periodo ha insegnato a diffidare dalle definizioni troppo nette, anche perché spesso ottundono la capacità di cogliere veramente lo sviluppo e le dinamiche storiche. Analogamente, in questo lavoro ho cercato di non definire troppo rigidamente la pertinenza di singoli testi o di autori a categorie quali ‘ortodossia’, ‘eterodossia’ o ‘Riforma’. Ciò che interessava sono le opere letterarie partecipi della crisi religiosa da una posizione non convenzionale, in particolare i testi nei quali è possibile individuare un chiaro tentativo di proselitismo religioso. Si tratta di una doppia esclusione: la produzione di trattati come quella di Valdés è stata del tutto lasciata da parte, così come la letteratura religiosa programmaticamente cattolica, quale quella di Malipiero o Fiamma. Articolazione della tesi La tesi è divisa in due parti: nella prima parte (“Appunti per la storia della letteratura religiosa inquieta ed eterodossa†) si dà conto di cinque casi nei quali il rapporto tra il dissenso religioso e la letteratura è fondativo; nella seconda parte si presentano in edizione critica le due opere religiose di Cinuzzi. I primi cinque capitoli riguardano, nell’ordine: Celio Secondo Curione e la sua produzione poetica presente in due opere a stampa (1550 e 1552); la raccolta manoscritta Dello divino amore christiano di Antonio Brucioli (databile alla prima metà degli anni 50); i primi due volumi delle Rime spirituali, antologia uscita a Venezia tra il 1550 (volumi I e II) e il 1552 (volume III); le Sette canzoni spirituali di Bartolomeo Panciatichi (1576, ma la prima redazione è databile al 1560); infine la Comedia piacevole della vera antica romana, catolica et apostolica Chiesa (1611), volgarizzamento della commedia Phasma di Nicodemus Frischlin. Nel capitolo riguardante Curione si fornisce l’edizione critica dei 19 testi poetici presenti nel catechismo Una familiare et paterna institutione della Christiana religione – tutti, ad eccezione della canzone già edita da Prosperi – e l’edizione dei 2 sonetti che si leggono nelle Quatro lettere Christiane, entrambi esempi dell’impiego della letteratura per veicolare la Riforma religiosa e, almeno nel secondo caso, dell’uso della poesia per compendiare il messaggio teologico argomentato nei testi in prosa che precedono le liriche. L’unica opera poetica di Brucioli è stata più volte citata, ma mancava uno studio che desse conto della struttura e dei contenuti del testo, attestato da due corposi manoscritti. Nel capitolo propongo una datazione delle due redazioni dell’opera, individuo altri due manoscritti ora perduti e fornisco l’edizione di un gruppo di componimenti poetici, tra i quali la riscrittura della petrarchesca Vergine bella. L’antologia delle Rime spirituali ha richiamato più volte l’attenzione dei critici. Limitandomi ai primi due libri della raccolta, fornisco la tavola dei componimenti, cerco di delineare le probabili fonti e il messaggio complessivo che quel florilegio poetico presenta della produzione religiosa. A seguito del reperimento di duemanoscrittidiAntonioAgostinoTorti,autoredialcunicomponimentidella raccolta finora sostanzialmente sconosciuto, propongo il testo di due sestine. Dell’opera di Panciatichi, già segnalata da Firpo, ho potuto reperire un secondo manoscritto oltre a quello di dedica, attestante una diversa e precedente fase redazionale. Tale codice, appartenuto a Giovanni Domenico Scevolini, permette di meglio tratteggiare la figura di questo eccentrico domenicano e lascia intravedere la circolazione sotterranea che questa tipologia di letteratura poteva avere. Infine, nell’ultimo capitolo di questa parte ho affrontato il tardo volgarizzamento di una interessante commedia latina di Nicodemus Frischlin (Phasma), pièce nella quale è rappresentato il dibattito teologico interno al campo protestante. Sembra possibile che questa commedia, assieme ad un altro testo in italiano impresso l’anno prima dal medesimo editore, sia un estremo tentativo di propaganda religiosa tramite un’opera letteraria in un periodo nel quale i confini confessionali erano ormai stabiliti e invalicabili. Nel capitolo, presento l’edizione critica del IV atto della Comedia, che ben compendia l’intera opera. Nella seconda parte, invece, l’attenzione si concentra sulle opere di Cinuzzi. Il lavoro di ricerca ha permesso di reperire un terzo testimone delle odi (Urb. Lat. 758 della Biblioteca Apostolica Vaticana), accanto ai due già noti.11 I tre manoscritti attestano tre differenti fasi redazionali dell’opera: il Vaticano presenta 68 odi suddivise in quattro libri (47 in comune con gli altri), gli altri due, invece, 51. Il manoscritto ora a Cambridge è sicuramente una copia tratta dal manoscritto di dedica inviato al duca Cosimo, il Fiorentino è probabilmente il testimone di una successiva rielaborazione della stessa redazione in vista della stampa, mentre rilievi interni inducono a ritenere il Vaticano un testimone della primitiva redazione. L’edizione delle odi prende come testo-base il Fiorentino, probabile testimone dell’ultima volontà dell’autore, e presenta in apparato le varianti degli altri due manoscritti. Le 21 odi attestate dal solo Vaticano si possono leggere nell’appendice B, poiché non pertinenti alla redazione dell’opera testimoniata dagli altri due codici. Il poemetto De la Papeida è trasmesso dal solo manoscritto della Trinity College Library. L’opera in questione è adespota, ma rilievi interni e considerazioni esterne spingono ad attribuire definitivamente il testo a Cinuzzi. Lo stesso manoscritto trasmette anche due altri brevi componimenti che penso sia possibile attribuire a Cinuzzi.13 La Papeida è probabilmente un testo incompiuto e comunque si tratta di un’opera non rifinita dall’autore; questo fatto e l’esistenza di un unico testimone rendono a volte difficile stabilire un testo critico affidabile. La notevole estensione dei componimenti – le sole odi, complessivamente, constano di 4.000 – e l’impegno richiesto dalla prima parte delle tesi hanno reso irrealizzabile un commento approfondito. Si è optato per un commento puntuale ad alcuni luoghi della Papeida, soprattutto per esplicitare i riferimenti a personaggi storici e a testi altrimenti di difficile decifrazione. Ragione delle scelte Le tesi di dottorato nelle discipline filologico-letterarie, per consuetudine ormai invalsa, si presentano con le caratteristiche di una monografia. A prima vista, quindi, l’articolazione di questo lavoro può sembrare eccentrica. In effetti nella prima parte sono presentati cinque casi parzialmente slegati tra di loro e nella seconda si affronta la ricostruzione filologica di due opere di un autore differente rispetto a quelli analizzati all’inizio della tesi. Alcuni chiarimenti sono perciò d’obbligo. Questo lavoro non intende fornire il quadro complessivo della poesia religiosa eterodossa e inquieta del Cinquecento italiano, né presentare alcuni medaglioni che compendiano l’insieme di questo genere letterario. Una summa di questo segmento della nostra letteratura non potrebbe in ogni caso essere offerta per la ragione che allo stato attuale delle conoscenze mancano i dati per poterlo fare. La quasi totalità della poesia religiosa inquieta non è al momento conosciuta: se anche è nota l’esistenza di alcune opere, queste non sono state studiate a fondo, né pubblicate; è dubbio se siano state lette al di fuori di una ristretta cerchia di specialisti. Accanto a ciò, esiste un secondo ostacolo, anch’esso di natura testuale: mancano le necessarie conoscenze sui testi non strettamente letterari con i quali dialoga questo tipo di letteratura. La produzione di trattati, di pamphlet e, in generale, di opere di propaganda religiosa non è ancora studiata a dovere e in alcuni casi mancano le ricostruzioni dettagliate delle biografie degli autori e dei contatti che intercorrevano tra loro. Per fare un solo esempio, la monografia di riferimento per la vita di Curione è il lavoro di Kutter, in tedesco, che risale a più di mezzo secolo fa, per non citare il fatto che Edit16 riporta sotto il nome del figlio Celio Agostino un’opera del padre. Premesso tutto questo e sgombrato il campo da possibili equivoci, resta da chiarire che cosa voglia essere questo lavoro. Il titolo della prima parte (“Appunti...†) fornisce una prima spiegazione: in relazione alla poesia religiosa inquieta servono anzitutto dei sondaggi che, procedendo necessariamente per campioni, permettano di gettare luce su questa produzione. Prima di ogni altra cosa, occorre quindi avere edizioni affidabili dei testi e occorre ricostruire la storia della tradizione di queste opere. I cinque capitoli iniziali della tesi sono semplicemente un tentativo in questa direzione: degli scavi effettuati su alcune opere per le quali ho tentato di delineare i problemi filologici, di proporre un inquadramento critico e di presentare in edizione critica i testi oggetto d’analisi, integralmente laddove possibile oppure limitandomi ad alcune parti, in caso di una molte testuale eccessiva. I medaglioni della prima parte della tesi, quindi, rappresentato un primo tentativo di illuminare parzialmente il terreno sul quale si collocano le opere di Cinuzzi; senza una idea più chiara dello sfondo, infatti, anche i singoli pezzi del mosaico appaiono ancor più difficilmente comprensibili. Cinuzzi non fu un autore isolato; egli fu invece uno dei tanti intellettuali allora impegnati nella battaglia per il rinnovamento religioso, culturale e letterario, che si servirono della letteratura per intervenire nel dibattito coevo. Si tratta di un engagement storicamente perdente: a partire almeno degli anni Cinquanta del Cinquecento le sorti religiose della Penisola sono segnate e le variegate istanze di rinnovamento e di riforma sono destinate alla sconfitta. La riorganizzazione ecclesiale e dogmatica procedette spedita, di pari passo con il controllo religioso e culturale: la riforma, che pure ci fu, avvenne unicamente all’interno della Chiesa romana e venne gestita direttamente dalla gerarchia ecclesiale. Questa letteratura fu doppiamente perdente: tanto sul versante religioso, come detto, quanto sul piano letterario. L’evoluzione della nostra letteratura non tenne conto, o lo fece in minima parte, delle proposte implicite nelle opere religiose di queste tipo. Il tentativo di uscire dal petrarchismo per proporre una letteratura di impegno politico-religioso non ebbe sostanzialmente esito, così come l’auspicato connubio di poesia e discussione religiosa e politico-culturale. Un futuro studio che possa dar conto dell’insieme della letteratura religiosa partecipe delle inquietudini religiose del Cinquecento sarà il termine di un percorso di ricerca che procederà per successivi approfondimenti circoscritti.
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Pentericci, Caterina. « Editio critica, traduzione e commento di Truc. 1-254/5. Appendix : Editio critica, traduzione e analisi di Truc. 256-321 e 669-698 ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2019. https://hdl.handle.net/11572/367773.

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Résumé :
Il lavoro di tesi consiste nell’edizione critica di una porzione di testo del Truculentus di Plauto (vv. 1-254/5), strutturata secondo le caratteristiche dell’Editio Plautina Sarsinatis. Si basa pertanto su un’indagine di prima mano sui manoscritti e sulle edizioni di Plauto, dalla princeps in poi, e si struttura in un apparato, rigidamente positivo, che tenga conto delle problematiche relative (1) al paratesto, (2) alla colometria dei cantica, (3) alle varianti testuali e congetture. All’edizione segue una proposta di traduzione e un commento filologico-stilistico sui versi presi in considerazione, spesso indispensabile per affrontare i passi più corrotti. In appendice si è scelto poi di riservare spazio alle scene che vedono in azione il seruus truculentus (vv. 256-321 e 669-698), un personaggio in realtà del tutto secondario e poco rilevante ai fini della trama se non per il fatto che conferisce il titolo alla commedia. Di queste se ne fornisce l’edizione critica, una proposta di traduzione - finalizzata quanto più possibile a conservare l’ilarità dei Witze presenti - e un’analisi che evidenzi le caratteristiche del seruus, mettendone in discussione il nome.
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6

Angelini, Irene. « Lettere mercantili in volgare parmense : il carteggio dei Garso ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2018. https://hdl.handle.net/11572/367617.

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Résumé :
Il lavoro presenta l’edizione di un corpus di lettere mercantili in volgare, risalenti all’ultimo ventennio del Trecento, inviate da alcuni esponenti della famiglia parmense dei Garso al fondaco di Francesco di Marco Datini a Pisa, oggi conservate presso il fondo Datini dell’Archivio di Stato di Prato. L’edizione dei 64 testi (finora inediti, ad eccezione di uno) è accompagnata da un commento linguistico che si propone di individuare, accanto ai fenomeni genericamente settentrionali da una parte e alle tracce di contaminazione linguistica con il toscano dall’altra, alcuni tratti caratteristici del volgare parmense. Conclude il lavoro un glossario selettivo che raccoglie il materiale lessicale di uso locale, così come gli elementi riconducibili al formulario mercantile medievale.
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Sanson, Manuela. « Il corpo nell'opera di Francesco d'Assisi e di Iacopone da Todi ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2011. https://hdl.handle.net/11572/368289.

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Résumé :
La visione di un universo permeato dalla gloria di Dio che Francesco d’Assisi sviluppa nel Cantico di frate sole e nelle sue opere latine, e che risulta anche dalle testimonianze dei primi biografi, è stata interpretata da vari studiosi (Duby, Manselli, Pasero) come un implicito rovesciamento della concezione catara secondo cui il mondo non è stato creato dal Dio celeste, ma da un demiurgo malvagio. A prima vista, la concezione del corpo e della creazione materiale che emerge dall’opera poetica del francescano Iacopone da Todi si trova agli antipodi di quella del santo. Giovanni Pozzi ha osservato come nelle Laude sia assente “qualsiasi valutazione del creato come entità recante l’impronta divina†; ma, lungi dal comportare un dualismo ontologico di tipo “gnostico†, come quello dei catari, questo atteggiamento va ricollegato secondo lo studioso svizzero alla tradizione dell’ascetismo cristiano, e in particolare al linguaggio del “disprezzo†del corpo e del mondo che verso la fine del secolo XIII aveva trovato una delle sue espressioni più violente ed efficaci nel De contemptu mundi di Lotario di Segni, il futuro papa Innocenzo III. Queste lucide considerazioni non mancano tuttavia di porre una serie di problemi storici ed ermeneutici che appaiono decisivi per una corretta comprensione delle opere letterarie dei due primi grandi scrittori religiosi della nostra letteratura: qual è il rapporto fra la concezione francescana del corpo (e più in generale del mondo materiale) e la riflessione cristiana dei secoli precedenti su questi temi? In particolare, come si può situarla rispetto ai grandi filoni teologici del XII e del XIII secolo: mistica cisterciense e vittorina, pensiero ascetico, eresia catara? E quali sono i rapporti fra la concezione di Francesco e quella che si delinea con straordinario vigore lirico nelle Laude di Iacopone? Quali sono i modelli del poeta di Todi? Fra i due grandi scrittori mistici e ascetici del Duecento italiano vi è realmente, a proposito della visione del corpo e della corporeità, radicale opposizione? Oppure possono essere individuati anche punti di contatto, elementi di continuità o di mediazione? E come si spiegano degli atteggiamenti così diversi nel fondatore e in uno dei primi grandi seguaci del movimento francescano? A questi, ed ad altri più puntuali interrogativi si è cercato di rispondere nel presente lavoro. Per giungere a risposte motivate e convincenti, si è ritenuto necessario partire da un approfondito esame delle concezioni del corpo e della materia nella tradizione del pensiero cristiano fino al Duecento. In particolare, sono apparse di fondamentale importanza le correnti teologiche del secolo precedente, il XII, correnti il cui influsso nella concezione del mondo di Francesco e di Iacopone appare determinante. Nella prima parte della tesi, abbiamo così dedicato un capitolo alla tematica del contemptus mundi quale è sviluppata nel grande trattato di Lotario di Segni. In un secondo capitolo è studiata la complessa – e talvolta almeno apparentemente contraddittoria – concezione del corpo e delle realtà materiali nelle due maggiori correnti della teologia mistica nel XII secolo, quella cisterciense e quella vittorina, alle quali si rifarà direttamente anche il francescano Bonaventura da Bagnoregio. Inoltre, si è ritenuto necessario studiare in maniera approfondita le dottrine eterodosse dei catari, che ebbero certamente un grande peso – come si è accennato – nella riflessione cristiana di questo periodo sul corpo e sulla materia. A partire da queste premesse dottrinali – che sono state spesso trascurate o sottovalutate dai filologi, ma alle quali la critica più recente incomincia a dedicare la dovuta attenzione – nella seconda parte della tesi abbiamo sottoposto a una accurata analisi la concezione e la rappresentazione del corpo, e della “corporeità†in generale, nelle opere italiane e latine di Francesco d’Assisi e di Iacopone da Todi. Ne sono derivate conclusioni molto più articolate e sfumate di quanto possa far pensare una lettura superficiale dei loro testi: gli stretti rapporti che si possono osservare in entrambi gli autori con la precedente tradizione ascetica e mistica valgono a mettere in luce tutta una serie di rapporti profondi fra di loro, specialmente intorno al nodo cruciale del corpo di Cristo. E questo vale, a nostro parere, a far risaltare ancor meglio gli aspetti originali dei testi maggiori di Francesco e di Iacopone, a farci gustare appieno la loro “poesia del corpo†.
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8

Tavonatti, Paolo. « Francisci Porti Cretensis Commentaria in Aeschyli Tragoedias ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2010. https://hdl.handle.net/11572/368270.

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Résumé :
La tesi contiene l'editio princeps dei Commentaria dell'umanista cretese Francesco Porto (1511-1581) alle tragedie superstiti di Eschilo, primo commentario della tradizione occidentale all'intero corpus dell'Eleusino. L'edizione critica è preceduta da un'introduzione storico-biografica, in cui si indagano i contesti culturali in cui ha operato l'autore e che hanno influito sulla sua attività intellettuale. Segue un capitolo più generale sull'esegesi eschilea di Porto e sulla contestualizzazione dei Commentaria nel genere del commentario umanistico. L'edizione è accompagnata da un commento dei Commentaria, analizzati da un punto di vista non solo strettamente filologico, ma anche storico, retorico e stilistico.
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Wach, Aurelie. « L'intertextualité comme procédé dramaturgique dans Hécube et Les Troyennes d'Euripide ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2012. https://hdl.handle.net/11572/367680.

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Résumé :
This study investigates the question of how intertextuality is used as a dramaturgical device in Euripides’ Hecuba and Troades. The intertexts considered here are the Homeric epics and Aeschylus’ Agamemnon. After a presentation of the problems raised by the use of the notion of “intertextuality†in the field of ancient Greek literature, and more specifically Greek theatre, the two dramas are each studied in depth. Chapters I to IV are concerned with the stasima of these plays and raise the question of the specific manner in which intertextuality is inscribed in the lyrical language of the chorus. The stasima are considered from a global perspective in order to highlight their function as a guiding thread running through each drama. The following chapters deal with extended portions of Hecuba and Troades. The use of intertextuality in the representation of the sacrifice of Polyxena is studied in Chapter V, whereas Chapter VI deals with the double intertextual allusion (both to the Odyssey and to the Agamemnon) engaged in by Euripides in his representation of Hecuba’s revenge (in Hecuba). Chapters VII and VIII are about the Troades, focusing firstly on the Cassandra scene, which is compared with the Cassandra scene in Aeschylus’ Agamemnon, reworked here by Euripides. Secondly there is the scene involving Helen, where Euripides builds up the tensions of the agôn by basing it on a precise passage of Iliad III – which, in the light of the positions taken by the two characters, he purposely renders even more problematic than it is in Homer. The conclusion presents the results of this inquiry into the functioning and possible purposes of intertextuality in Greek tragedy.
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Tedeschi, Chiara. « Thomas Stanley, editore di Eschilo ». Doctoral thesis, Università degli studi di Trento, 2011. https://hdl.handle.net/11572/368050.

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