Letteratura scientifica selezionata sul tema "Ermeneutica filosofica"

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Articoli di riviste sul tema "Ermeneutica filosofica"

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Pessina, Adriano. "L’ermeneutica filosofica come sfondo teorico della bioetica". Medicina e Morale 45, n. 1 (28 febbraio 1996): 43–70. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1996.918.

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Abstract (sommario):
L’articolo esamina il rapporto tra l’ermeneutica filosofica e la bioetica, discutendo criticamente alcune tesi al riguardo di Hans Georg Gadamer, e argomenta la possibilità di uno statuto epistemologico della bioetica. L’Autore ritiene, infatti, che la verità nella ricerca di impianti teorici di bioetica che molti studiosi – soprattutto di formazione bioetica – tentano per fornire un quadro valutativo che si armonizzi con le concrete esigenze operative sollecitate dal progresso scientifico altro non riveli che una situazione di “fluidità” epistemologica della bioetica. Tale situazione, poi, viene enfatizzata dalla perdurante crisi dei modelli della razionalità occidentale e che coinvolge sia le discipline scientifiche sia la filosofia. La prospettiva ermeneutica intende mostrare che 1. la fluidità e la storicità dlle valutazioni e delle procedure di intervento costituiscono una condizione insuperabile; 2; la fusione tra l’atto della comprensione e il momento dell’applicazione sono necessari. Tenuto conto di certe pretese riduzionistiche della stessa ermeneutica, allora la giustificazione della bioetica come episteme passa attraverso la confutazione di tali pretese. L’articolo, intatti, sostiene la legittimità della bioetica non solo a livello pratico-valutativo, ma anche teorico-normativo.
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Riva, Franco, e Pietro Prini. "Gabriel Marcel". Trilhas Filosóficas 13, n. 3 (31 marzo 2020): 159–68. http://dx.doi.org/10.25244/tf.v13i3.1230.

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Abstract (sommario):
La voce Gabriel Marcel per l’Enciclopedia filosofica di Gallarate (Bompiani. Milano 2006), redatta con ottiche complementari da Pietro Prini (1915-2008) e Franco Riva, è una sintesi efficace di pensiero e interpretazioni della filosofia di Marcel, anche per ulteriori percorsi. La classica interpretazione di Prini affronta tre temi centrali in Marcel dal punto di vista di una «metodologia dell’inverificabile»: 1. - La filosofia dell’esistenza, per rivendicare la piena dignità di un pensiero alternativo e incarnato nel clima esistenzialistico di reazione al razionalismo; 2. - Il mistero ontologico dentro l’esistenza, che vede nella tensione tra problema e mistero un potenziale superamento del conflitto tra sguardo epistemologico e partecipazione; 3. - Essere e avere, che riflette la lotta per una vita personale e sociale in viaggio tra atteggiamenti contrapposti, come disponibile/indisponibile, e approcci concreti al mistero ontologico (fedeltà, amore, speranza, ecc.). Al di là di ogni etichetta, Franco Riva privilegia invece un’ottica fenomenologica ed ermeneutica, attenta a intrecci e lettori dell’opera di Marcel. 4. - Fenomenologia ed esistenzialismo, una coppia da rivisitare sul lato sia dell’esistenzialismo, dati i rapporti con Heidegger e Sartre, che della fenomenologia di cui Marcel è, a suo modo, un raffinato interprete nonostante le polemiche [...]
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Piaia, Gregorio. "Fra tradizione e innovazione: la "storia dei filosofi" in età antica, medievale e moderna". Trans/Form/Ação 34, n. 3 (2011): 3–15. http://dx.doi.org/10.1590/s0101-31732011000500002.

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Abstract (sommario):
Il graduale passaggio dall'antica "storia dei filosofi" alla moderna "storia della filosofia" viene qui ricostruito nelle sue fasi essenziali, alla luce della dialettica fra tradizione e innovazione, che caratterizza il dialogo filosofico inteso in senso diacronico. Ma in che senso è ancora possibile, oggi, parlare di una "storia della filosofia" distinta sia dall'attività filosofico-ermeneutica sia dalla ricerca strettamente storica, qual è quella condotta dalla Intellectual history?
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Fisher, Linda. "riassunto: Ermeneutica merleau-pontiana dell’impegno filosofico". Chiasmi International 6 (2005): 190. http://dx.doi.org/10.5840/chiasmi2005691.

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Pastore, Baldassarre. "La filosofia ermeneutica del diritto in Italia". Diacronìa, n. 1 (2022): 83–128. http://dx.doi.org/10.12871/97888331811963.

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Farina, Mario. "Interpretazione come costruzione. L'arte, il sogno e il mondo degli oggetti nell'applicazione adorniana della psicoanalisi". COSTRUZIONI PSICOANALITICHE, n. 23 (maggio 2012): 43–60. http://dx.doi.org/10.3280/cost2012-023004.

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Abstract (sommario):
Questo intervento intende dimostrare la particolare influenza che assume il paradigma psicoanalitico freudiano all"interno della teoria dell"interpretazione di Adorno. Muovendo dall"intenzione di opporsi ai concetti di interpretazione elaborati dalla scuola neokantiana e dalla filosofia ermeneutica, Adorno recupera infatti il metodo della costruzione sviluppato da Freud nell"Interpretazione dei sogni. Nell"idea freudiana di interpretazione Adorno trova dunque una metodologia in grado di evitare l"assunto ontologico dell"ermeneutica e di pensare il processo interpretativo sul modello della lettura dell"opera d"arte.
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Sferrazza Papa, Ernesto. "Materialismo e artefattualità. Una filosofia politica della materia". Revista de Filosofía (Madrid) 44, n. 1 (9 maggio 2019): 113–29. http://dx.doi.org/10.5209/resf.64274.

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Abstract (sommario):
In questo saggio analizzo l’idea del mondo come coesistenza di umani e cose, e sostengo che tale coesistenza debba essere considerate sotto la lente concettuale della responsabilità. Nei primi due paragrafi sostengo che l’esperienza umana è sempre mediata da un sistema di artefatti. Nel terzo e nel quarto paragrafo sintetizzo due differenti approcci filosofici, ossia la teoria degli artefatti e il metodo materialista, i quali condividono la tesi della performatività degli artefatti nella costituzione dell’esperienza umana. Nelle conclusioni mostro la rilevanza etica e politica di questa possibile ermeneutica materiale del mondo.
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Perfetto, Giuseppe. "Metafisica e psicoanalisi, a partire dagli scritti giovanili di Adorno". COSTRUZIONI PSICOANALITICHE, n. 23 (maggio 2012): 27–42. http://dx.doi.org/10.3280/cost2012-023003.

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Abstract (sommario):
L'articolo presenta alcune opere giovanili di Theodor W. Adorno. L'autore illustra le basi filosofiche della psicoanalisi in rapporto alla metafisica, all"ontologia e all"ermeneutica. In questo articolo sono confrontate le teorie di Adorno, Heidegger e Nietzsche con quelle di Freud e Lacan.
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Punzo, Luigi. "La funzione ermeneutica delle immagini nei frontespizi dei libri filosofici". Quaestio 11 (gennaio 2012): 289–305. http://dx.doi.org/10.1484/j.quaestio.1.103018.

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Marshall, David, e Eugenio Canone. "La Filosofia di Giordano Bruno: Problemi Ermeneutici e Storiografici". Sixteenth Century Journal 35, n. 4 (1 dicembre 2004): 1201. http://dx.doi.org/10.2307/20477201.

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Più fonti

Tesi sul tema "Ermeneutica filosofica"

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Fortuna, Tânia Ramos. "A formação lúdica docente e a universidade : contribuições da ludobiografia e da hermenêutica filosófica". reponame:Biblioteca Digital de Teses e Dissertações da UFRGS, 2011. http://hdl.handle.net/10183/35091.

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Abstract (sommario):
L’obiettivo di questa tesi è quello di comprendere il processo di formazione dei professori in relazione alla ludicità, identificandone le condizioni determinanti, soprattutto all’università. Si parte dal presupposto che, un’effettiva articolazione tra i saperi dei docenti e le conoscenze universitarie nella formazione iniziale e continuata dei professori, può generare un’università più “hóspita”* (termine di Boaventura de Sousa Santos) nei confronti di processi alternativi di produzione di conoscenze, come quelli associati alla ludicità. L’intenzione è quella di far sì che la comprensione derivante da questo studio - ottenuta soprattutto attraverso l’esercizio del pensiero complesso, così menzionato da Edgar Morin, e delle idee di Maurice Tardif, Antonio Nóvoa e Bernard Charlot sulla formazione dei professori – collabori per il rinnovo delle forme di pensare la formazione del docente, permettendo un miglioramento nella realizzazione di pratiche educative in questa area. Come e perché alcuni professori diventano capaci di giocare nelle loro pratiche pedagogiche e qual è il contributo possibile dell’università è, pertanto, la questione della ricerca sviluppata in questa tesi, la quale si sviluppa attraverso le seguenti domande: a) come e in che condizioni si costituiscono le identità, le soggettività e i saperi professionali dei professori che giocano? b) chi sono, come e perché giocano i professori che giocano? c) qual è il ruolo dell’università in questo processo? d) che cosa caratterizzerebbe le azioni istituzionali universitarie di qualifica dei professori nella prospettiva ludica? Con lo scopo di rispondere a queste domande, sono stati interrogati sulla loro formazione ludica i professori che usano il gioco, creando, nell’ambito della metodologia di ricerca (auto) biografica nell’educazione e partendo dalla ludobiografia concepita da Gianfranco Staccioli, un procedimento specifico di produzione di narrazioni condivise in gruppo, denominato incontri ludobiografici. In questi incontri, gli otto professori partecipanti allo studio, selezionati in base alla diffusa presenza del gioco nelle loro pratiche pedagogiche, hanno raccontato le loro storie formative in relazione al gioco attraverso attività ludico-espressive. I dati risultanti, riportati attraverso fotografie, video-registrazioni e rispettiva trascrizione, appunti presi su campo e portfoli individuali elaborati dai professori, sono stati interpretati sotto la prospettiva dell’Ermeneutica Filosofica di Hans-Georg Gadamer. Per quanto riguarda i risultati, si evidenzia: una migliore comprensione della formazione ludica del professore partendo dalla sua conoscenza come una complessa costellazione di saperi e pratiche; l’identificazione del ruolo dell’università in questa formazione, soprattutto in quelle situazioni di formazione professionale che integrano i diversi saperi acquisiti dall’esperienza, valorizzandoli, come accade in alcune attività di formazione continuata e, in particolare, attività di Estensione Universitaria; l’importanza dell’autonomia del professore nella definizione dei suoi studi, affinchè siano soggetti del suo proprio progetto formativo, avendone la responsabilità; il contributo dell’utilizzo di risorse espressive derivanti dall’esperienza ludica attraverso la ludobiografia per avere un’idea più profonda delle storie della formazione dei professori in relazione al gioco, mettendo in luce più dettagli su questo processo, come se fosse una “sociologia delle assenze”, nei termini di Bonaventura de Sousa Santos; e, infine, il contributo dell’Ermeneutica Filosofica per l’interpretazione dei dati, come modo dialogale di produzione di comprensione.
O objetivo desta Tese é compreender o processo de formação docente em relação à ludicidade, identificando suas condições determinantes, particularmente na universidade. Parte do pressuposto de que uma efetiva articulação entre os saberes docentes e os conhecimentos universitários na formação inicial e continuada docente pode gerar uma universidade mais “hóspita” (termo de Boaventura de Sousa Santos) a processos alternativos de produção de conhecimentos, como aqueles associados à ludicidade. Pretende-se que a compreensão advinda deste estudo – obtida, sobretudo, através do exercício do pensamento complexo tal como preconizado por Edgar Morin e das ideias de Maurice Tardif, Antonio Nóvoa e Bernard Charlot sobre a formação de professores – colabore para a renovação das formas de pensar a formação docente, contribuindo para melhorar a realização de práticas educativas nessa área. Como e por que alguns professores tornam-se capazes de brincar em suas práticas pedagógicas e qual a contribuição possível da universidade para isso é, pois, o problema da pesquisa desenvolvida para esta Tese, que se desdobra nas seguintes questões: a) como e em que condições se constituem as identidades, as subjetividades e os saberes profissionais dos professores que brincam? b) quem são, como e por que brincam os professores que brincam? c) qual a atuação da universidade nesse processo? d) o que configuraria as ações institucionais universitárias de qualificação dos professores na perspectiva lúdica? Com a finalidade de respondê-las, a pesquisa interrogou professores que brincam sobre a sua formação lúdica, criando, no âmbito da metodologia de pesquisa (auto) biográfica em educação e a partir da ludobiografia concebida por Gianfranco Staccioli, um procedimento específico de produção de narrativas em forma de grupo focal denominado encontros ludobiográficos; neles, os oito professores participantes do estudo, selecionados em função da notória presença da brincadeira em suas práticas pedagógicas, contaram suas histórias formativas em relação ao brincar através de atividades lúdico-expressivas. Os dados resultantes, registrados através de fotografias, videogravação e respectiva transcrição, notas de campo e portfólios individuais elaborados pelos professores foram interpretados sob a perspectiva da Hermenêutica Filosófica de Hans-Georg Gadamer. Como resultados, destacam-se: uma melhor compreensão da formação lúdica do professor a partir de seu entendimento como uma complexa constelação de saberes e práticas; a identificação do papel da universidade nessa formação, sobretudo naquelas situações de formação profissional que integram os diferentes saberes construídos pela vida afora, valorizando-os, como ocorre em algumas atividades de formação continuada e, particularmente, nas atividades de Extensão Universitária; a importância da autonomia do professor na definição de seus estudos, no sentido de serem sujeitos de seu próprio projeto formativo, responsabilizando-se por ele; a contribuição do emprego de recursos expressivos oriundos da experiência lúdica através da ludobiografia para prospectar com mais profundidade as histórias de formação dos professores em relação ao brincar, trazendo à superfície dos relatos mais detalhes sobre esse processo, como se fora uma “sociologia das ausências”, no dizer de Boaventura de Sousa Santos; e, finalmente, a contribuição da Hermenêutica Filosófica para a interpretação dos dados, como modo dialogal de produção de compreensão.
The objective of this thesis is to understand the process of teacher training in relation to playfulness, by identifying its determinant conditions, particularly at the university. It assumes that an effective articulation between teacher knowledge and university knowledge in the initial and continuous training of teachers can create a more "hospitable" university (a term of Boaventura de Souza Santos) to alternative processes of knowledge production, such as those associated to playfulness. It is intended that the understanding arising from this study ─ obtained mainly through the exercise of complex thinking as advocated by Edgar Morin and the ideas of Maurice Tardif, Antonio Nóvoa and Bernard Charlot on the training of teachers ─ collaborates in the renewal of ways of thinking teacher training, helping to improve the performance of educational practices in this area. How and why some teachers become able to play in their teaching practices and what is the possible contribution of the university for this is, therefore, the problem of the research conducted for this thesis, which unfolds on the following issues: a) how and under what conditions identities, subjectivities and professional knowledge of teachers who play are constituted? b) who are the teachers who play, how and why do they do that? c) what is the role of the university in this process? d) what would constitute the academic institutional actions of qualification of teachers in a ludic perspective? In order to answer them, the survey asked teachers who play about their ludic training, creating within the (auto) biographical research methodology in education and from the ludic biography conceived by Gianfranco Staccioli, a specific procedure of narrative production in the form of a focal group called ludic biographical meetings; in them, the eight teachers in the study, selected for the notable presence of playfulness in their teaching, told their training stories in relation to playing through expressive ludic activities. The resulting data, recorded through photographs, video recording and its transcript, field notes and individual portfolio prepared by the teachers were interpreted from the perspective of the philosophical hermeneutics of Hans-Georg Gadamer. Some of the results are a better understanding of the ludic training of the teacher from its understanding as a complex constellation of knowledge and practice; identifying the role of the university in teacher education, especially in situations of training involving different kinds of knowledge throughout life, and valuing them, as occurs in some continuing education activities, and particularly the activities of University Extension; the importance of teacher autonomy in defining their studies, to be agents of their own formative project, taking responsibility for it; the contribution of the use of significant resources from the ludic experience through the ludic biography to explore in more depth the stories of teacher training in relation to playing, bringing to the surface of the reports more details on this process, as if it were a "sociology of absences", in the words of Boaventura de Souza Santos; and, finally, the contribution of philosophical hermeneutics to interpret the data, as a dialogic way of production of understanding.
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Arduin, Luca. "Logica ermeneutica e dialettica del Sè". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2008. http://hdl.handle.net/11577/3425508.

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Abstract (sommario):
Beginning from a preliminary question on the meanings of the word "logic" in the expression "hermeneutic logic" used by Ricoeur in a well-known essay of his, the first aim of our research (Part I) was to investigate the origin, the structure and the speculative meaning of Ricoeur's "methodical hermeneutics" following the progressive elaboration of Ricoeur's method through the texts in which Ricoeur himself has explained it, through a dialogue with those authors (Husserl, Heidegger, Gadamer) who have been more influential on its development. (Part I, Chapters 1, 2, 3). This first part aimed at drawing attention to the contribution given by these authors to the definition of Ricoeur's method as well as to the failings which, according to Ricoeur, still affect their views. In developing this analysis, we have also tried to highlight the line of transition between logic as a methodical-epistemic construction and the explication of the underlying and more general logic-speculative trend that supports it, through the highlighting of the dialectic, non-reductive feature of this method. In Part II, following the guiding thread of a "dialectics of self", we tried to focus our attention on the basic structure and on the final intelligibility criterion of Ricoeur's undertaking. We have tried to show the congruency between the constitutive structures and the functioning of this dialectics and the general structure of hermeneutic logic as emerged from the previous section. Therefore, this second part has a threefold task: questioning Ricoeur's self once more, (Part II, Chapters 1-2), reinterpreting its intrinsic dialectics, (Part II, Chapters 3-4) and relocating it in the horizon of its filiations and influences. In their turn, these two intimately interconnected itineraries ("hermeneutic logic" and "dialectics of self") are involved in a twofold demand. The first one consists in an attempt at a thematic reconstruction and theoretical investigation on the characteristic structures of the first and second side of our research. The theoretical-speculative interest of this kind of analysis lays in the possibility of contributing to the exploration of what we may call the logical space of a hermeneutic philosophy. The second demand consists in an attempt at a historiographic survey of the formative and evolutive process of such a "logic" and "dialectics", as well as of its filiation lines. Looking for these filiation lines and for the original matrix of the overall trend of Ricoeur's thought, as well as in an attempt at explaining its relationship with the tradition of the reflexive philosophy, we have tried to verify the hypothesis of a personologic anchorage of Ricoeur's thought through a thematic comparison with Mounier's speculation. In this sense, we have tried to highlight the specificity of Ricoeur's idea of person; to show the congruity between the structure and the meaning of that idea and the structural features of hermeneutic logic and dialectics of self; to show how Ricoeur's idea of person can give a criterion to bring back to a problematic-planning unity Ricoeur's philosophical itinerary and, finally, to highlight the ways in which Mounier's thought anticipates this horizon of thought and the basic congruity between Mounier's and Ricoeur's views in a more general questioning on the actual (or "inactual") meaning of "saying person". The specific hermeneutic aim of this final part of our research consists in the attempt, through a comparative analysis, at reciprocally highlighting the thought of the two authors who have been analysed. It is in the effectiveness of this mutual explanation that our working hypothesis should find its justification.
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Arenas, Dolz Francisco <1978&gt. "Il concetto di deliberazione nella filosofia di Aristotele: etica, retorica ed ermeneutica". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/172/1/TESI_arenas.pdf.

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Arenas, Dolz Francisco <1978&gt. "Il concetto di deliberazione nella filosofia di Aristotele: etica, retorica ed ermeneutica". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2007. http://amsdottorato.unibo.it/172/.

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Zambusi, Mariangela <1988&gt. "Il linguaggio in Hans-Georg Gadamer. Ermeneutica come ontologia". Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4053.

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Abstract (sommario):
L'ermeneutica filosofica, trattando principalmente di ciò che è linguistico, non può per questo motivo essere vista come disciplina svincolata dal un legame essenziale con l'essere, con l'ontologia. L'ampliamento che acquista il significato di ciò che è linguistico grazie al suo legame con il mondo, con le cose e con il loro tempo, con quella che Heidegger ha definito “storicità dell’essere”, funge da punto di partenza per guardare all'ermeneutica di Hans-Georg Gadamer alla luce delle sue radici heideggeriane. Un lettore attento e recettivo rispetto a questi echi presenti nel pensiero del filosofo di Verità e Metodo ne può cogliere la diretta influenza. L'urgenza ontologica che si cela dietro alle interrogazioni di Gadamer sul linguaggio fa volgere l’attenzione alla storia dell'edificazione di un rapporto tra le parole e il mondo, alla storia di ciò che è verità e di cosa ciò significhi per il dire dell’uomo e per il suo rapporto con il mondo “in-cui-è”. Chiedersi che cosa sia effettivamente linguaggio per una filosofia che come quella di Gadamer si definisca come “ermeneutica” significa perciò tentare di comprenderne le radici ontologiche, e al contempo sondarne la posizione all’interno delle eredità che il suo tempo accoglie dalla storia della filosofia.
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Pesenti, Gritti Martino. "Ermeneutica della sofferenza. Saggio sul cristianesimo tragico di Luigi Pareyson". Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2017. http://hdl.handle.net/10446/84792.

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Marino, Stefano <1976&gt. "La filosofia di Hans-Georg Gadamer e il problema del disagio della modernità. Ermeneutica, estetica, etica e politica". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/835/1/Tesi_Marino_Stefano.pdf.

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Abstract (sommario):
L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.
The philosophical hermeneutics of Hans-Georg Gadamer – one of the cornerstones in the 20th century philosophy – certainly represents a compound, prismatic and articulated thought, i.e. a philosophy made up of several different dimensions entwined with each other. A simple look at Gadamer’s major work Wahrheit und Methode (1960) can already clarify this point, since the book displays a theory of understanding which takes account of three different dimensions of human experience – art, history and language – obviously conceived as mutually related. But this picture gets a lot more complicated if one takes into consideration the many books and articles Gadamer wrote before and after his magnum opus which testify the presence of other interests and topics in his thought. Nevertheless the complexity of Gadamer’s philosophical hermeneutics has not always been recognized by his interpreters, who often concentrated only upon Wahrheit und Methode (in particular upon the problems of the Geisteswissenschaften) and gave no attention to other subjects (in particular the ethical and political dimension of his hermeneutical philosophy). Moreover it seems to me that many interpreters didn’t pay enough attention to the fundamental unity – which of course doesn’t mean “sistematicity” – that reigns in Gadamer’s philosophy despite its pluralist and heterogeneous character. My point is that the many dimensions of Gadamer’s philosophical hermeneutics – aesthetics and human sciences, language philosophy and moral philosophy, dialogue with the Greeks and critical confrontation with modern thought, reflections upon anthropological problems and observations concerning our actual sociopolitical, scientific and technological condition – actually represent the different sides of one thought centered on what we could define the malaise of modernity. In other words, it seems to me that the whole of Gadamer’s philosophy originates from the consciousness raising of the critical situation in which our world finds itself today: a deep crisis which, according to Gadamer, branches out into manifold directions and various dimensions of human life. My interpretation tries then to give an account of both the pars destruens and pars costruens of Gadamer’s philosophy, namely of his attempt to investigate and take a hard look at this critical dimensions of human existence in order to let out the point at issue and propose remedies, alternatives and possible solutions.. In the first section – entitled Phenomenology of modernity: the various symptoms of the crisis – I explain how a great part of the 20th century philosophy has been concerned with the idea and the feeling of a crisis of our culture and our civilization. In my view Gadamer’s hermeneutics too takes part in this global philosophical discourse. I try then to show and illustrate the various symptoms of this crisis analyzed by Gadamer, such as: socioeconomic pathologies of our bureaucratic societies; world-wide growth of the Western way of life to the detriment of other cultures; crisis of our values and beliefs (and consequent spread of relativism, skepticism and nihilism); growing inability to have meaningful relations with art, poetry and culture; finally, problems concerning the proliferation of weapons of mass destruction, the risk of an ecological crisis, and the disturbing, unpredictable consequences of some recent scientific discoveries (above all in the field of genetics). Once outlined Gadamer’s critical view of our age, in the second section – entitled Diagnosis of the malaise of modernity: the spread of instrumental and techno-scientific reason – I try to show how, according to Gadamer, a common root lies at the base of the many symptoms of the crisis, namely the birth of modern science and its close, intrinsic relationship with technique and with a specific form of rationality that Gadamer – with reference to the analysis developed by such thinkers as Max Weber, Martin Heidegger and the so-called Frankfurt School – calls «instrumental reason» or «calculating thinking». I try then to give an account of the gadamerian conception of techno-science, meanwhile highlighting some aspects: first, how Gadamer’s philosophical hermeneutics should not be interpreted as an antiscientific thought but rather as an antiscientistic thought (which of course is something quite different); second, how Gadamer’s reconstruction of the malaise of modernity never ends up in a “totalizing” critique of reason, nor in some sort of negativistic and pessimistic philosophy of history centered on the idea of an inescapable course of the events guided by a polluted, “irrational” rationality; third, how Gadamer – despite all the inveterate interpretations that read his philosophy as a form of authoritarian, traditionalist and antienlightenment thought – never aimed to reject the modern scientific Enlightenment tout court but rather to “correct” some of its tendencies and so to regain a wider and more comprehensive concept of reason. After having analyzed in the first two sections the pars destruens of Gadamer’s philosophy, in the third and last section of my work – entitled Therapy of the crisis of modernity: the rediscovery of experience and practical knowledge – I take into consideration the pars costruens of his thought, which according to my interpretation consists of a rediscovery of what he calls «a different kind of knowledge», i.e. of a rehabilitation of the all those forms of pre- and extra-scientific experience that constitute the «hermeneutical dimension» of human life. My analysis of Gadamer’s conception of understanding and experience – seen as forms of «practical knowledge» different in principle from theoretical and technical knowledge – leads then to a global interpretation of philosophical hermeneutics as practical philosophy, i.e. as a philosophical elucidation of the prescientific, intersubjective and “of commonsense” reasoning which characterizes our «life-world» and our practical life. But obviously this analysis also implies a special consideration of the ethical and political implications of Gadamer’s thought. In particular, I try to examine Gadamer’s conception of ethics – taking account of his relation with Plato’s, Aristotle’s, Kant’s and Hegel’s moral theories – and finally I sketch an outline of his philosophical hermeneutics as a philosophy of freedom, dialogue and solidarity.
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Marino, Stefano <1976&gt. "La filosofia di Hans-Georg Gadamer e il problema del disagio della modernità. Ermeneutica, estetica, etica e politica". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/835/.

Testo completo
Abstract (sommario):
L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.
The philosophical hermeneutics of Hans-Georg Gadamer – one of the cornerstones in the 20th century philosophy – certainly represents a compound, prismatic and articulated thought, i.e. a philosophy made up of several different dimensions entwined with each other. A simple look at Gadamer’s major work Wahrheit und Methode (1960) can already clarify this point, since the book displays a theory of understanding which takes account of three different dimensions of human experience – art, history and language – obviously conceived as mutually related. But this picture gets a lot more complicated if one takes into consideration the many books and articles Gadamer wrote before and after his magnum opus which testify the presence of other interests and topics in his thought. Nevertheless the complexity of Gadamer’s philosophical hermeneutics has not always been recognized by his interpreters, who often concentrated only upon Wahrheit und Methode (in particular upon the problems of the Geisteswissenschaften) and gave no attention to other subjects (in particular the ethical and political dimension of his hermeneutical philosophy). Moreover it seems to me that many interpreters didn’t pay enough attention to the fundamental unity – which of course doesn’t mean “sistematicity” – that reigns in Gadamer’s philosophy despite its pluralist and heterogeneous character. My point is that the many dimensions of Gadamer’s philosophical hermeneutics – aesthetics and human sciences, language philosophy and moral philosophy, dialogue with the Greeks and critical confrontation with modern thought, reflections upon anthropological problems and observations concerning our actual sociopolitical, scientific and technological condition – actually represent the different sides of one thought centered on what we could define the malaise of modernity. In other words, it seems to me that the whole of Gadamer’s philosophy originates from the consciousness raising of the critical situation in which our world finds itself today: a deep crisis which, according to Gadamer, branches out into manifold directions and various dimensions of human life. My interpretation tries then to give an account of both the pars destruens and pars costruens of Gadamer’s philosophy, namely of his attempt to investigate and take a hard look at this critical dimensions of human existence in order to let out the point at issue and propose remedies, alternatives and possible solutions.. In the first section – entitled Phenomenology of modernity: the various symptoms of the crisis – I explain how a great part of the 20th century philosophy has been concerned with the idea and the feeling of a crisis of our culture and our civilization. In my view Gadamer’s hermeneutics too takes part in this global philosophical discourse. I try then to show and illustrate the various symptoms of this crisis analyzed by Gadamer, such as: socioeconomic pathologies of our bureaucratic societies; world-wide growth of the Western way of life to the detriment of other cultures; crisis of our values and beliefs (and consequent spread of relativism, skepticism and nihilism); growing inability to have meaningful relations with art, poetry and culture; finally, problems concerning the proliferation of weapons of mass destruction, the risk of an ecological crisis, and the disturbing, unpredictable consequences of some recent scientific discoveries (above all in the field of genetics). Once outlined Gadamer’s critical view of our age, in the second section – entitled Diagnosis of the malaise of modernity: the spread of instrumental and techno-scientific reason – I try to show how, according to Gadamer, a common root lies at the base of the many symptoms of the crisis, namely the birth of modern science and its close, intrinsic relationship with technique and with a specific form of rationality that Gadamer – with reference to the analysis developed by such thinkers as Max Weber, Martin Heidegger and the so-called Frankfurt School – calls «instrumental reason» or «calculating thinking». I try then to give an account of the gadamerian conception of techno-science, meanwhile highlighting some aspects: first, how Gadamer’s philosophical hermeneutics should not be interpreted as an antiscientific thought but rather as an antiscientistic thought (which of course is something quite different); second, how Gadamer’s reconstruction of the malaise of modernity never ends up in a “totalizing” critique of reason, nor in some sort of negativistic and pessimistic philosophy of history centered on the idea of an inescapable course of the events guided by a polluted, “irrational” rationality; third, how Gadamer – despite all the inveterate interpretations that read his philosophy as a form of authoritarian, traditionalist and antienlightenment thought – never aimed to reject the modern scientific Enlightenment tout court but rather to “correct” some of its tendencies and so to regain a wider and more comprehensive concept of reason. After having analyzed in the first two sections the pars destruens of Gadamer’s philosophy, in the third and last section of my work – entitled Therapy of the crisis of modernity: the rediscovery of experience and practical knowledge – I take into consideration the pars costruens of his thought, which according to my interpretation consists of a rediscovery of what he calls «a different kind of knowledge», i.e. of a rehabilitation of the all those forms of pre- and extra-scientific experience that constitute the «hermeneutical dimension» of human life. My analysis of Gadamer’s conception of understanding and experience – seen as forms of «practical knowledge» different in principle from theoretical and technical knowledge – leads then to a global interpretation of philosophical hermeneutics as practical philosophy, i.e. as a philosophical elucidation of the prescientific, intersubjective and “of commonsense” reasoning which characterizes our «life-world» and our practical life. But obviously this analysis also implies a special consideration of the ethical and political implications of Gadamer’s thought. In particular, I try to examine Gadamer’s conception of ethics – taking account of his relation with Plato’s, Aristotle’s, Kant’s and Hegel’s moral theories – and finally I sketch an outline of his philosophical hermeneutics as a philosophy of freedom, dialogue and solidarity.
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D'ASARO, Silvia. "Gadamer e il Filebo La “misura” come forma logica del sapere ermeneutico". Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2013. http://hdl.handle.net/10447/84104.

Testo completo
Abstract (sommario):
Questa non è una tesi d’antichistica e tuttavia non c’è un capitolo in cui non si parli di Platone. Forse Hans Georg Gadamer, che non ha esitato a riconoscersi “platonico”, potrebbe reputarsi soddisfatto, ma il motivo originario del mio interesse non era, a dire il vero, un’indagine sull’interpretazione gadameriana del Filebo. A poco più di cinquant’anni dalla pubblicazione di Verità e metodo1, e a distanza di ormai trent’anni dal periodo in cui l’ermeneutica, in quanto “scepsi contro ogni dogmatismo”2, sembrava diventata la nuova koiné filosofica dell’Occidente, intendevo mettere in gioco un’eredità più nascosta 3 nel pensiero di Gadamer; volevo, cioè, capire da dove scaturissero l’apertura dialogica della sua ermeneutica ed il suo accordare all’intesa un primato originario ed irrevocabile. In particolare, avevo intenzione di scavare alla radice dell’”improbabilità” del dialogo di Gadamer con Derrida, che mi aveva occupato qualche anno prima, convinta che vi si celasse qualcosa di molto particolare, da ricondurre, probabilmente, alle origini stesse del modo in cui Gadamer concepisce il suo sapere ermeneutico. Come sempre, si comprende diversamente se si pongono domande differenti all’interpretandum. Così, anziché chiedere, in modo certamente prematuro e per il quale non ero per niente preparata, quanto l’universale gadameriano potesse essere un buon “economo della violenza”, ho cercato di inseguire gli stimoli provocati dalla lettura del saggio del 1993, L’Europa e l’oikouméne 4 , in cui Gadamer sostiene che tra i più impellenti compiti che l’umanità deve assolvere per non distruggere sé stessa ci sia la riabilitazione di quel doppio misurare di cui parlava Platone nel Politico, 283 e5. Questo mi ha indotto a cercare di capire cosa fosse quella misura platonica6 cui alludeva Gadamer e per quali ragioni il filosofo tedesco avesse attribuito a quell’intuizione dell’Ateniese la capacità di salvaguardare l’equilibrio dell’intero cosmo. Il mio interesse principale, infatti, era diventato, mio malgrado, più politico che teoretico, cosicché accolsi lo stimolo, presente soprattutto nei saggi successivi a Verità e metodo, a pensare la comunità come il solo orizzonte entro cui sia possibile l’esistenza del singolo. La critica al concetto di “isolamento” di Gadamer e l’enfasi riposta dalla sua ermeneutica sulla dialogica come unico accesso alla verità non sono però che l’effetto di un percorso che fin dai primi anni ’20 ha posto il filosofo tedesco sulle tracce di Platone e di Aristotele. Il pensiero greco offre, infatti, a Gadamer tutti gli elementi per concepire il gioco dialettico tra particolare ed universale nell’ottica di una vitale partecipazione, che impedisce l’abuso sia del singolo nel considerarsi privo di legami, irrelato, fuori dal misto, sia dell’ethos (famiglia, società, tradizione stessa) nel divenire un contenitore rigido, dogmatico, incapace di reagire con fluidità alle differenze della molteplicità con cui entra, volta per volta e diversamente, in relazione. L’intesa non è perciò un primato ontologico, ma l’esito di un processo faticoso, in cui gradualmente si cercano affinità tra le posizioni contrarie entro uno spazio salvaguardato dal comune riferimento ad un terzo, il lógos, che, in qualche modo, rimane “condiviso”nella distanza. L’accordo iniziale resta per Gadamer originario, poiché ci si trova già immersi in una storia umana, in un linguaggio di provenienza antichissima, che è vano ipotizzare di poter possedere ed è altrettanto superfluo immaginare possa concludersi, saturando la sua spinta costitutiva ad autosuperarsi senza lasciare a nessuno la possibilità di detenerne il possesso. Il gioco linguistico che ricomprende tutti non è, perciò, qualcosa che si debba scegliere di giocare, ma ciò nel quale ci troviamo gettati dalla nascita ed entro cui soltanto è possibile per l’uomo fare esperienza. Esso costituisce il vincolo originario tra singolo e comunità e può dirsi che questo Gadamer l’abbia imparato già a 28 anni, nel suo lavoro d’abilitazione con Heidegger, Etica dialettica. Interpretazioni fenomenologiche del Filebo7, a cui questa ricerca dedica molta attenzione. La mia tesi è, infatti, che il sapere ermeneutico gadameriano si costituisce intorno ad un concetto di “misura”, la cui importanza ontologica, estetica, etica e politica affiora soprattutto nell’Etica dialettica e poi in alcuni importanti studi sui Greci che precedono e seguono l’opera del ’60. Questo lavoro prende, così, le mosse dall’ ipotesi che, sebbene non esistano saggi di Gadamer specifici intorno al concetto di “misura” - così come non ne esistono intorno al tema della finitezza che, pure, attraversa tutta la sua ermeneutica che è certamente un’ermeneutica della finitezza8- sia possibile rintracciare nella misura quel filo conduttore mediante cui intendere un po’ meglio cosa fosse quell’ermeneutica che Heidegger sosteneva essere “la cosa di Gadamer”9. Non desideravo, ovviamente, “sfidare” la centralità di Verità e metodo10, anche se limitarsi alla lettura di quest’ultima rischia di cristallizzare un’immagine di Gadamer come bravo umanista capace di interessarsi delle sorti delle Geisteswissenschaften, rivendicando il carattere particolare di evento che spetta alla verità dell’arte, della storia e della filosofia, di cui può farsi soltanto esperienza, senza ricorrere agli strumenti metodici propri delle scienze della natura, dal cui modello oggettivante Gadamer si sforza di affrancare la tradizione occidentale. Il rischio che poi si corre isolando un singolo testo come Verità e Metodo senza cercare di conoscere “l’altro Gadamer”, non è soltanto quello, messo in rilievo da Pöggeler11, di maturare “l’idea di trovarsi davanti ad un aristotelico”, idea che verrebbe smentita dall’ammissione stessa di Gadamer intorno alla centralità riservata a Platone nei suoi studi12; ma anche quello di ignorare il debito fondamentale che per l’elaborazione complessiva del suo modo di concepire la filosofia, Gadamer contrae dallo Heidegger degli inizi, i cui corsi nell’opera del ’60 non potevano neppure essere citati, perché ancora non pubblicati13. Certamente in Verità e Metodo Gadamer si mantiene fedele all’impegno heideggeriano nel voler scardinare ogni metafisica della soggettività, radicalizzando l’apertura del “ci” del Dasein e superando, al tempo stesso, il relativismo storicista, così da delineare una specie di ontologia della storicità e della finitezza della coscienza. Ma il prezzo poi pagato dal successo dell’opera del ‘60, potrebbe essere stato quello di un certo misconoscimento – e alla fine di un appiattimento - delle condizioni alle quali una tale fedeltà viene conquistata e mantenuta. Come si vedrà, infatti, non la parola, ma il concetto stesso di “ermeneutica” manterrebbe in Gadamer, assai più che in Heidegger, la sua matrice greca. L’originalità del contributo teorico del primo nascerebbe, infatti, proprio dagli studi della filosofia greca - giudicati da Gadamer stesso “la parte migliore e più originale” della sua attività filosofica e capaci di costituire “la migliore illustrazione” delle sue idee nel campo della filosofia ermeneutica14 - e dal decisivo interesse a che non scomparisse, soverchiato dal crescere impetuoso della tecnica, quel fitto tessuto connettivo della cultura occidentale, che fin da ragazzo Gadamer iniziò a coltivare con passione. Ho cercato, quindi, di rafforzare l’idea di una continuità dell’interesse di Gadamer per i Greci, interesse che precede l’incontro con Heidegger e, pur nella ricchezza di strade percorse dall’opera gadameriana, non verrà spezzato nemmeno dalla necessità del filosofo tedesco di confrontarsi con le altre numerose questioni che nasceranno sulla scia della diffusione planetaria di Verità e metodo, che di greco avevano, apparentemente, ben poco. Nei Greci, infatti, Gadamer reperisce un paradigma alternativo al trionfo della modernità, che sappia soddisfare il “bisogno di unità della ragione”15, che si vedrà come per lui risponda ad un naturale desiderio di armonia ed equilibrio16. Già in Verità e metodo, Gadamer fa riferimento alla misura (Maß) come condizione stessa della cultura, dicendo: “chi si abbandona alla particolarità non è colto: così, per esempio, colui che si lascia andare alla propria cieca ira senza misura né proporzione”17 e, com’è noto, si ispirerà al modello dell’etica aristotelica18per la costituzione dello stesso sapere ermeneutico, che, non sostenuto da un metodo scientifico, è proprio nella ricerca di un regolo ideale e flessibile, come quello di Lesbo, che può legittimare la sua più intima “verità”. Elaborato in suolo greco e considerabile quasi come l’essenza stessa della cultura umanistica, questo atteggiamento di Gadamer parrebbe rendere ambigua19la stessa ermeneutica, ma forse solo fintantoché non si sia osservato a sufficienza da dove nasca e come si sviluppi questa particolare forma del sapere ermeneutico. Il mio lavoro cercherà di far vedere, dunque, quanto la “misura” (il métrion) potrebbe rappresentare l’indicazione formale” che spetta seguire a chiunque voglia entrare nel circolo ermeneutico e porsi in esso nella “giusta maniera”. Questo concetto affonda in radici greche, platoniche per un verso ed aristoteliche per un altro, si ispira a capisaldi dell’umanesimo, appunta sul senso dello spirito oggettivo hegeliano l’obiettivo specifico intorno a cui modellarsi, ma, concependo il distacco da ciò che appartiene al proprio sé come fattore essenziale perché il dialogo possa essere promosso anche in tempi babelici e pericolosi per la stessa sopravvivenza dell’umanità, riesce ad interpretare la finitezza in modo coerentemente heideggeriano, rimarcandone però il lato “positivo”, grazie all’integrazione della necessità di mediazione con quel “senso per la misura” (métrion) di cui Platone parlava nel Politico. Heidegger è un tassello indispensabile, dunque, nella ricca composizione dell’ermeneutica gadameriana, ma non unico e schiacciante, come dimostra il fatto che il sapere ermeneutico di Gadamer si mantenga in una dimensione orizzontale, così da attraversare l’era della scienza in un modo profondamente greco e “misurato”, come verrà suggerito a conclusione della tesi. Ciò che accade in un’esperienza ermeneutica autentica, infatti, è proprio una trasformazione profonda, che nell’esperienza estetica Gadamer chiama “Verwandlung ins Gebilde” (trasmutazione in forma), che rende capaci di cogliere una volta di più la misura della nostra finitezza, nei limiti della quale è, tuttavia, possibile custodire una particolare forma di infinito. Trovando nel linguaggio una terreno solo apparentemente fermo, giacché non può dirsi fondato da nessuno, l’ermeneutica gadameriana riesce ad indicare la salvezza che può, volta per volta, esperirsi nella Sprache.Questa è, in ultima analisi, la sola casa in cui è possibile ancora oggi abitare insieme e che è bene tentare di rendere accogliente per presenti ed assenti, fantasmi e viventi, occidentali e non occidentali, sfumando le distanze irriducibili e sforzandosi di attenuare l’Unheimlichkeit che, anche se non potrà mai essere eliminata completamente, può perdere la centralità che ha assunto nella fase di “ecumenico spaesamento” vissuto dall’età contemporanea. Più dell’essere e più della parola, Gadamer intende così studiare il ponte tra esse, il che vuol dire che non sarà mai né pienamente heideggeriano, né unicamente filologo, ma autenticamente ermeneuta, colui che rende evidente il legame dei vocaboli con la storia delle stratificazioni di significati assunti nei secoli addietro ed al tempo stesso si prepara a mediare con una nuova, differente versione della parola-concetto, da consegnare a chi interrogherà ancora la parola, entro il chiaroscuro della sua verità. Il compito dell’ermeneuta si riassume, infatti, nella decisione di intrattenersi nelle pieghe più oscure come in quelle più limpide della vita, in assenza, sempre e comunque, di un fondamento possibile che non sia la parola. Quella parola che, pronunciata, già non è più mia, né forse lo è mai stata, perché arriva sempre da lontano ed a me non resta che “salvarla” e ricrearla per chi, malgrado la fuga degli Dei, avrà cura di cercare varchi per ricostruire un tempo per noi, non stancandosi di coltivare misura, pienezza dell’essere e dello stare insieme in amicizia, che, come insegnano le stesse origini della tradizione occidentale, è in fondo la sola alternativa concessa a quel destino di violenza e povertà che, in assenza di parole altrui da custodire e su cui vigilare, troppo spesso viene assaporato quasi come un martirio ineluttabile, da quanti, vanamente e stoltamente, si illudono di non aver alcun desiderio della verità dell’altro. “Non possiamo mai dire tutto ciò che potremmo dire”, quindi, non solo per via della nostra finitezza, ma perché bisogna aver cura di contenersi accogliendo la prospettiva dell’altro, fare in modo che si affermi in quel processo linguistico che trasmuta entrambi, quando, se condotto sul modello socratico-platonico, può davvero far pervenire ad un’intesa, che non significa affatto essere d’accordo, ma avere compreso il punto di vista dell’altro ed accettarlo nella sua piena e pari validità; significa, cioè, diventare un po’ meno finiti ed un po’ più universali, capaci di allargare il proprio sguardo, contemplando anche ciò che non era previsto e dove non saremmo mai potuti giungere da soli. Il dialogo platonico diventa così l’emblema del dialogo ininterrotto che, travalicando distanze storiche di secoli, si presenta come un gioco serio, che riesce ad attuarsi anche nell’età contemporanea, a condizione che l’interprete si mostri disposto a riconoscere di non essere misura di tutte le cose e, perciò, rinunci alla tendenza obiettivante che, predeterminando con categorie moderne ciò che proviene da quello che rimane l’alterità per eccellenza, ossia il mondo greco, finisce con il fagocitarlo. Esso rappresenta la vera sfida per ogni filosofo, quella che fa dire a Jean- Marie Clément, nelle sue Epistole : Qui nous délivrera des Grecs et des Romains? Chi potrà smorzare il peso che per ogni occidentale, consciamente o meno, costituisce quell’eredità che, come scriveva René Char, non ha nessun testamento? Di questo peso, che qualcuno vorrebbe sciogliere non misurandosi più con i testi greci o credendo di “appropriarsi” una volta e per tutte delle questioni poste dagli antichi, senza restare aperti ad un perenne dialogo con essi, Gadamer ha la straordinaria abilità di mostrare l’aspetto positivo, capace di orientare nell’Ab-grund dell’esistenza. La tesi si articola in quattro capitoli. Nei primi due, viene indagato il legame inestricabile che Gadamer mantiene con l’interpretazione particolare del Filebo platonico, che gli consentirà tanto di assumere una particolare concezione di dialettica che soltanto qui, grazie alla legittimazione ontologica del carattere di mescolanza di determinato ed indeterminato che connota tutto ciò che è, può essere interpretata in strettissima connessione con la dialogica, quanto di leggere Aristotele e Platone a partire dalla loro comune matrice socratica. Il primo capitolo, “Alle origini dell’ermeneutica. Gli anni marburghesi”, mi è stato necessario per tentare di ricostruire lo sfondo entro cui Gadamer elabora l’Etica dialettica, così da sottolineare la genesi del suo interesse per il Filebo e dare risalto alla ricchezza della sua formazione. Ho cercato di evidenziare l’attitudine del giovane Gadamer di mediare gli insegnamenti dei suoi tanti maestri (Hönigswald, Natorp, Hartmann, Friedländer e naturalmente Heidegger), così da trasformare il caos degli impulsi concettuali e letterari che animavano la vita marburghese di una gioventù profondamente disorientata dalla prima guerra mondiale, in un nuovo kósmos, per la costituzione del quale Heidegger svolge un ruolo determinante, ma non totalizzante. Ciò che, infatti, Gadamer scopre nei Greci, grazie soprattutto al talento fenomenale di Heidegger, sarà talmente vincolante da impedirgli di scorgere in essi soltanto il principio di una dimenticanza dell’essere. Il secondo capitolo, “Gadamer ed il Filebo. L’Etica dialettica” si sofferma sulle Interpretazioni fenomenologiche del Filebo, cercando di far cogliere nella “pienezza dell’essere”prospettata nel dialogo platonico la premessa fondamentale della “misura” gadameriana, che dunque, prima ancora che essere metodologica, è sicuramente ontologica. Intendo mostrare come l’Etica dialettica sia un lavoro che certamente omaggia il procedere fenomenologico heideggeriano e, tuttavia, già qui possa intuirsi il motivo di quell’”autentica deviazione”(echten Abweichung)20 da Heidegger che Gadamer dichiarerà d’aver compiuto in seguito, distaccandosi dall’interpretazione dei Greci del maestro.La concezione del rapporto tra identità e differenza nel senso di un’opposizione vitale ed inaggirabile, avanzata nel Sofista, viene infatti superata nel Filebo, perché è la stessa realtà ad essere mista e costringere alla “mescolanza”degli opposti. Ciò consente all’Ateniese di pensare, per Gadamer, ad una dialettica inclusiva, che individuare un incremento d’essere proprio nel superamento dell’heteron così da rimarcare il ruolo positivo riservato alla differenza. Sottolineando come l’attività contenitiva ed autolimitante della ragione riguardi ogni ambito umano, scientifico, tecnico e pratico, Gadamer presenta, dunque, una “ragione”greca decisamente non violenta, perché motivata e sostenuta dall’opposizione costituita dall’alterità nell’avvicinarsi indefinitamente al pragma, senza potere uscire mai “vittoriosa”, certa d’averlo guadagnato incontrovertibilmente. Un altro punto cruciale che segnala il debito profondo che Gadamer contrae dal Filebo è che qui Platone contraddistingue l’agathon attraverso i caratteri ontologici di misura, bellezza e verità, perché essi soltanto sono capaci di mantenere il Dasein in uno stato di quasi impassibilità, che esclude ogni eccesso. L’Esserci non si comprende meglio, dunque, nell’Angst heideggeriana, che risulterebbe una violenta (fuor di misura) modificazione del Dasein di fronte alla percezione dell’abisso; né è la “noia profonda”, di cui Heidegger aveva parlato nel corso coevo21 alla stesura dell’Etica dialettica, a dischiudere al Dasein l’Essere. Al contrario, è nella “gioia per” che il Dasein ha possibilità di aprirsi all’Essere, manifestando così d’avere inteso il senso della Sorge nel piacere della conoscenza che svela il mondo, intensificando la possibilità che l’uomo si rifugi lì dove l’essere del bene è più manifesto: nel bello. Il terzo capitolo, “La misura greca. Elogio del finito”, cerca di approfondire la lettura unitaria che Gadamer si sforza di dare di Platone ed Aristotele per quanto riguarda L’idea del Bene, titolo di un saggio del ’78 che porta a compimento ciò che nella tesi di abilitazione non era stato approfondito a sufficienza. Dopo aver indugiato sulla complessa interpretazione, non esente da critiche, che Gadamer elabora di Platone grazie a molteplici stimoli, tra i quali risaltano in particolar modo quello di Friedländer e di Hegel22, mi dedico al particolare modo di declinare l’interesse heideggeriano per Aristotele da parte di Gadamer (cfr.paragrafo Phrònesis e metrion). Cerco, quindi, di far vedere come Gadamer riesca a scorgere una decisiva prossimità tra sapere pratico e sapere ermeneutico, miranti ad una unità di teoria e prassi, per via della tensione ad un métrion, quel prépon “che può essere determinato soltanto in concreto” perché, non essendo un ente, varia di continuo e richiede, volta per volta, una differente determinazione. Dopo aver discusso la ripresa del modello aristotelico in Verità e metodo ed aver fatto riferimento ai saggi in cui si discute di questa particolare flessibilità etica aristotelico-gadameriana, che è nucleo centrale del sapere ermeneutico, il capitolo termina con un’analisi del ruolo centrale che assume la philía nell’interpretazione gadameriana dei Greci e, conseguentemente, della differente visione della temporalità che Gadamer ebbe rispetto ad Heidegger, sottolineando la possibilità di pensare ad un “tempo pieno”, perché condiviso, che garantirebbe un accesso particolare, trascurato in seguito da Heidegger, alla fecondità teoretica inerente alla prassi stessa. L’ultimo capitolo, “La misura come forma logica del sapere ermeneutico”, che riprende volutamente il titolo dell’intera ricerca, affronta la questione della storicità dell’ermeneutica e del ruolo del linguaggio, mettendo in evidenza un certo modo di valorizzare lo statuto ontologico della parola, che marca una profonda distanza di Gadamer sia da Platone, che da Heidegger che da Hegel. Nel secondo paragrafo – “La misura e il metodo” – faccio più esplicito riferimento a Verità e Metodo, cogliendo, insieme ai nessi esistenti tra gli elementi acquisiti da Gadamer nei suoi studi sui Greci, una specifica direzione dell’indagine che va oltre la dialettica platonica per ritornare alla dimensione dell’esperienza, vero cuore del pensiero gadameriano. È qui che emerge un particolare métrion, alternativo al metodo della modernità. Il capitolo si conclude indugiando su quella vocazione comunitaria e politica dell’ermeneutica, che, lungi dall’essere meramente conservatrice, spinge l’Europa a percorrere un’anámnesis delle sue origini, profondamente radicate nella philia e nella ricerca di misura greche, per indirizzarla verso un “pensiero ecumenico”. Un“nuovo rinascimento umanista” sarebbe, perciò, agli occhi di Gadamer, una possibile strada da percorrere per cercare di risanare la frattura provocata dalla modernità, recuperando, così, quel “doppio misurare” greco, di cui si è parlato all’inizio. Quella che emerge è una maniera di filosofare che comporta una fatica costante, e, fedele alla dialogica socratica, rimane strutturalmente aperta al domandare estenuante e sempre insoddisfatto di sé, che ha contraddistinto il venire all’essere della filosofia occidentale, senza declinare mai dalla responsabilità di rivolgersi all’intero ed esprimere un desiderio di protezione di e da esso. Dovrebbe quindi, in conclusione, disegnarsi il profilo di un pensatore che è riuscito a criticare l’unilateralità del “misurare della scienza”, in modo da esortare ad un ritorno dell’equilibrio, di un senso della “giusta misura”. Quanto all’interesse per questo tipo d’insegnamento, che ispira anche questa tesi, dà testimonianza un breve scritto che pubblico in appendice,dal titolo “Dove si nasconde la bellezza?”, che riprende, modificandolo, quello di una celebre raccolta di saggi gadameriani sulla salute.
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Fabris, Francesca. "Sull'ermeneutica giudiziaria". Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2010. http://hdl.handle.net/11577/3421890.

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Abstract (sommario):
Legal Hermeneutics and interpretation have been a constant subject of study and reflection in the passing of years and centuries. The term translates the noun greek hermeneutics' ερμηνεία, which already appears in the dialogues of Plato, where the ερμηνευτική τήχνη is connected with the μαντική τήχνη (Plato, Statesman, 260D, but see the Ion 534e); Aristotle devotes a treaty, the Περi 'ερμηνείας. Studies carried out it seems that the Greeks (in addition to Plato and Aristotle already mentioned, we also Xenophon and Plutarch), using all ερμηνεία to describe not only what we usually call interpretation, but also the equivalent of those showing as a statement, explanation, translation, expression of thought, elocution. Subsequently there has been an evolution of the concept of hermeneutics that ερμηνεία reduces its own content, possibly after translation in Latin interpretatio, our hermeneutics, that set as a synonym for interpretation, thus ending the play implies a more narrower than the original ερμηνεία’s polisemantis. Humanity has always had issues before of interpretation, which has sought to give a solution, in different ways depending on the social and historical reality of the moment. Today's interest in the issue of interpretation is not linked either to specific theological and religious motives, such as, for example, in the age of the Reformation, or the rejuvenating experience of historical consciousness, initiated by Romanticism. One goal of this research project would be just to analyze the modification of the concept of interpretation over the centuries in trying to develop hypotheses that, taking into account the social reality of different historical periods compared, justifying this evolution, allowing us then to explore what the concept of hermeneutics the twenty-first century and the reasons that made it such. The scope of the law and legal experience in its broadest sense is beginning a land where, in addition to religious and as philological - literary, the problem is hermeneutics to outline in all its relevance right from antiquity. Sporadic and occasional observations on the difficulties concerning the interpretation of the law and acts that, somehow, for it refers, are present already in the pre-Socratic and are then taken up by sophistry, by the classical thinkers and those Hellenistic. It is mainly by the Roman civilization characterized by a very keen sense for the sphere of law, that the juris hermeneutica takes root and grows up to become a more significant element of the experience Western hermeneutics. With this research we compare the legal and philosophical hermeneutics, to be sure what has derived from the first and second thing, however, differentiates. It might be interesting to note that the hermeneutic thought is present everywhere, both in Germany as in Italy, with considerable similarities but also differences, just would like to dwell on them more to understand what they are to be determined. Juridical interpretation of contemporary spoken primarily in Germany where, in the second half of the sixties and early seventies, the Neue Hermeneutik exercise an intense fascination and significant effects in some important areas of legal thought in Germany. Just in these years have in fact developed in Germany by some current methodological indicated by the name of Wertungsjurisprudenz, with that of other juristische Hermeneutik, to which belong such jurists J. Esser, A. Kaufmann, W. Hassemer, M. Kriel, K. Larenz, F. Muller. In Italy we could quote Betti, Gorla, Montanari, Zaccaria and many other authors whose thoughts we wish to compare with each other to give a more accurate picture possible of what we might call the School hermeneutics. In recent years we have witnessed the rapid and progressive impose the problem of interpretation as central to philosophical reflection. The interpretation is not to only understand the meaning of texts but also the very sense of reality. The hermeneutic approach has not stopped, it was rather widely in many other areas of culture and knowledge, outside of studies and investigation more properly philosophical, so it does not seem too bold to assert that the field is a contemporary of the thinkable now mostly marked b y t h e p r o b l e m o f i n t e r p r e t a t i o n . Having determined the strong presence of hermeneutics in contemporary thought, here is appropriate to limit theinquiry to the prerequisites that have most affected the development of hermeneutics legal grounds on which hermeneutics is so important in thinking about law. The distance between the generality of the standard and the particularity of the case is irrepressible, that requires a continuous integration of the right to realize it. The goal of hermeneutics is to reconstruct Sein and Sollen, theory and legal practice in a more realistic and satisfactory, whereas the law is an intermediate necessarily incomplete and transient, which is determined on the contribution of those who apply the law with help hermeneutics. Hermeneutics is defined then by the legal recognition that the general and abstract rule structure reveals a necessarily incomplete, which can be interpreted only in the process of realization of the legal rule of interpretation in the decision of a case study. The problem then is a hermeneutical problem richtig (right) interpretation of the rule in view of the case. Place par excellence of hermeneutics can only be the trial, the court has to talk to the parties but also the theory and practice in order to reach a solution. Ultimate goal of this research is to identify what hermeneutics means richtig solution of the case. The jury is the result of a series of prejudgments, results of pre-assessments and, therefore, by its nature, the truth obtained in the courtroom is indeed precarious and provisional, specific solution to each case.
Se consideriamo il termine ermeneutica nel significato dallo stesso assunto in epoca contemporanea, possiamo dire che, con ermeneutica, indichiamo di solito almeno tre cose. Innanzitutto possiamo riferirci a processi concreti di comprensione, all’esecuzione di compiti esegetici, cui alludiamo quando, ad esempio, diciamo che l’ermeneutica heideggeriana di Nietzsche privilegia gli scritti postumi, intendendo con ciò affermare che l’interpretazione di Heidegger si fonda soprattutto sugli scritti di Nietzsche pubblicati dopo la sua morte. Possiamo pero anche alludere all’elaborazione di regole per l’esercizio dell’interpretazione, per il concreto svolgimento di quella che venne in passato definita l’ars interpretandi. Ne sono un esempio i quattro canoni stabiliti d a Emilio Betti nella sua Teoria generale dell’interpretazione. Non da ultimo con il termine ermeneutica possiamo intendere, infine, quella dottrina filosofica che si propone di stabilire la natura, i caratteri, le condizioni e i limiti di ogni possibile comprendere cosi come tento nel secolo scorso Friedrich Schleiermacher e come dopo di lui fecero, sia pure in direzioni e con risultati diversi, Wilhelm Dilthey, Martin Heidegger, e, in tempi piu recenti, Hans Georg Gadamer. La tripartizione ora descritta non rende, purtroppo, pienamente l’intreccio che, nella concretezza del processo interpretativo, si realizza tra i diversi momenti, ma ci aiuta quantomeno ad evidenziare l’evoluzione che la riflessione ermeneutica incontra nel corso della sua storia. Solo muovendo dalla concretezza dell’esperienza interpretativa si porra il problema di elaborare una serie di regole per consentire di risolvere le difficolta dell’ars interpretandi, mentre per giungere all’elaborazione di teorie filosofiche che si propongano di dare conto sul piano teorico dei diversi aspetti del compito interpretativo occorrera attendere fino ad una fase gia abbastanza avanzata dell’eta moderna. L’ermeneutica come teoria e costantemente alla ricerca di una conferma, che pero puo venire solo dalla prassi, e piu precisamente da quel terreno esperienziale prodotto della giurisprudenza, della teologia e della filologia. La storia dell’ermeneutica e lunga. Gia Dilthey aveva osservato, all’inizio del Novecento, come essa presentasse un susseguirsi di fulgori e decadenze. L’ermeneutica si e sviluppata in modo significativo in alcune epoche storiche (nell’eta della Riforma o nel Romanticismo), per poi decadere in altre sino a scomparire dalla scena. E difficile ora dire se anche l’odierno ritorno in auge sia destinato ad essere presto soppiantato da altri interessi. E, tuttavia, importante notare che l’interesse odierno per l’ermeneutica risponde a sollecitazioni e bisogni di carattere fondamentalmente diverso da quelli che si imposero in altre epoche, venendo a configurare una situazione del tutto nuova. Innanzitutto l’odierno interesse per la tematica interpretativa non appare legato ne a specifiche motivazioni di carattere teologico- religioso, come nell’eta della Riforma, ne alla rinnovatrice esperienza della coscienza storica, avviata dal Romanticismo. Oggi l’interesse per l’interpretazione appare piuttosto connesso al nuovo ruolo assunto dal linguaggio nella cultura contemporanea. Nella filosofia della seconda meta del secolo scorso si e compiuta una “svolta linguistica” che sembra aver investito ogni aspetto ed ogni movimento teorico che abbia importanza nella riflessione attuale. La filosofia del nostro tempo sembra aver posto al centro dell’attenzione il fenomeno del linguaggio. Tale svolta ha determinato il rifiorire degli studi ermeneutici. Negli ultimi anni abbiamo assistito al rapido e progressivo imporsi del problema dell’interpretazione come nodo centrale della riflessione filosofica. L’orientamento ermeneutico non si e fermato, si e invece esteso in molti altri settori della cultura e del sapere, ben all’esterno degli studi e dell’indagine piu propriamente filosofici, cosicche non pare troppo azzardato asserire che il campo contemporaneo del pensabile si trova oggi in buona parte segnato dal problema ermeneutico. Il significato ristretto di ermeneutica, come sinonimo di metodologia interpretativa del testo, e indubbiamente rimasto nelle formulazioni contemporanee, ma ha subito una sensibile estensione, che ha condotto l’ermeneutica ad assumere una vera e propria generalita filosofica,dimostrando cosi di non essere una semplice arte sussidiaria. Cio che contraddistingue l'epoca moderna e la nuova consapevolezza che individua in modo chiaro il fulcro del problema ermeneutico: la necessita di colmare la distanza che separa passato e presente e futuro, ≪di legare nel compito interpretativo, immediatezza del presente e lontananza del passato≫. Per l’ermeneutica non si tratta tanto di vedere cio che e visibile, evidente, ma di scoprire cio che si cela dietro a quanto ci appare lapalissiano. Se questo e il presupposto, se ne deduce chiaramente che una comprensione immediata e esclusa. Ecco allora che si deve postulare il primato del fraintendimento. Il fraintendere, il non comprendere appieno e una condizione piu diffusa e normale dell’intendere. Esso costituisce un presupposto importante per l’universalizzazione dell’ermeneutica. Se, infatti, si assume che generalmente si capisce che cosa dicono gli altri, e che l’ermeneutica deve intervenire in casi dubbi, difficilmente si potrebbe sostenere che ogni nostro comprendere e anche interpretare. L’intera teoria ermeneutica dell’interpretazione si basa sulla relazione dialettica fondata sul linguaggio tra l’interprete e l’opera da interpretare. Assodata la forte presenza dell’ermeneutica nel pensiero contemporaneo, e qui opportuno limitare l’indagine ai presupposti essenziali che hanno maggiormente inciso sullo sviluppo dell’ermeneutica giuridica. Se si vogliono formulare riflessioni sul diritto non si puo prescindere dall’ermeneutica. L’uomo e un animale sociale e per vivere in societa deve regolare il proprio operato sulla base di regole, che da un lato limitano la sua liberta ma dall’altro ne costituiscono il fondamento. Tali regole devono essere generali, astratte e, inoltre, devono risolvere le inevitabili antinomie pratiche che si vengono a creare. Si comprende come siano indispensabili una buona tecnica giuridica che le concilii, ed una riflessione aperta al mutare delle circostanze sociali. L’ermeneutica e in grado di mostrare al metodo giuridico i suoi limiti e di consentirne il superamento indicando le condizioni generali del comprendere che lo producono e soprattutto il suo effettivo connettersi con la prassi. L’obiettivo dell’ermeneutica e proprio quello di ricomporre Sollen e Sein, teoria e prassi giuridica in un rapporto piu realistico e soddisfacente. E insopprimibile la distanza che separa la generalita della norma e la particolarita del caso concreto. Per concretizzare e quindi necessaria una continua integrazione del diritto.La norma generale ed astratta rivela una struttura necessariamente incompiuta e transitoria che puo essere interpretata solamente nel procedimento ermeneutico di concretizzazione della norma giuridica all’interno della decisione di un caso pratico. E evidente come sia decisivo il contributo di chi applica il diritto. L’ermeneutica giuridica e definita quindi dal riconoscimento che la norma generale e astratta rivela una struttura necessariamente incompleta. Il problema ermeneutico e un problema di richtig interpretazione della norma in vista del caso concreto. ≪La conoscenza del senso di un testo normativo e la sua applicazione al caso concreto non sono due atti separati ma un processo unico≫. Possiamo concludere che la realta giuridica e anche opera dell’interprete, essa e piu dinamica e complessa di qualunque precostituito schema normativo, essendo aperta alle aspettative ed alle esigenze di una societa in continua evoluzione. Si rivela pertanto insostituibile il ruolo ermeneutico del giudice che tende alla concretizzazione del diritto.
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Libri sul tema "Ermeneutica filosofica"

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Maurizio, Moscone, Riverso Michele e Starnino Bernardo, a cura di. Epistemologia scientifica, ermeneutica filosofica e scienze umane. Napoli: Edizioni scientifiche italiane, 1997.

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2

Ermeneutica filosofica e crisi della modernità: Un itinerario nel pensiero di Hans-Georg Gadamer. Milano: Mimesis, 2009.

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3

Chiodi, Maurizio. Il cammino della libertà: Fenomelogia, ermeneutica, ontologia della libertà nella ricerca filosofica di Paul Ricoeur. Roma: Morcelliana, 1990.

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4

Chiodi, Maurizio. Il cammino della libertà: Fenomenologia, ermeneutica, ontologia della libertà nella ricerca filosofica di Paul Ricœur. Brescia: Morcelliana, 1990.

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5

Fabio, Minazzi, e Ria Demetrio, a cura di. Realismo, illuminismo ed ermeneutica: Percorsi della ricerca filosofica attuale : atti del primo Seminario salentino di filosofia Problemi aperti del pensiero contemporaneo. Milano: F. Angeli, 2004.

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6

Moscone, Maurizio. Filosofia ermeneutica oggi. Roma: Studium, 1995.

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7

Milano), Convegno internazionale "Ermeneutica e. grecità" (2008 Università degli studi di. Ermeneutica e filosofia antica. Milano: Cisalpino, Instituto editoriale universitario, 2012.

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8

Camera, Francesco. Ermeneutica e filosofia trascendentale: Ricerche kantiane. Genova: Tilgher, 2003.

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9

Franco, Antonello. Essere e senso: Filosofia, religione, ermeneutica. Napoli: Guida, 2005.

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10

Filosofia della religione fra ermeneutica e postmodernità. Brescia: Morcelliana, 2010.

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Capitoli di libri sul tema "Ermeneutica filosofica"

1

Campanini, Massimo. "Filosofia e Corano: un percorso ermeneutico tra ontologia e fenomenologia". In Textes et Etudes du Moyen Âge, 303–21. Turnhout: Brepols Publishers, 2017. http://dx.doi.org/10.1484/m.tema-eb.4.2017182.

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2

Hollick, Bernhard. "Logica ed ermeneutica: la parafrasi sillogistica come strumento di interpretazione di testi filosofici nel dodicesimo secolo". In Anselmo d’Aosta e il pensiero monastico medievale, 393–421. Turnhout: Brepols Publishers, 2018. http://dx.doi.org/10.1484/m.nutrix-eb.5.112927.

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