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Teses / dissertações sobre o tema "Bernard Stiegler"

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Mazzanti, Alessandro <1972&gt. "Louis Marin e Bernard Stiegler: due approcci alla comprensione delle immagini nella filosofia francese contemporanea". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/2093/1/alessandro_mazzanti_tesi.pdf.

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Resumo:
Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.
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Mazzanti, Alessandro <1972&gt. "Louis Marin e Bernard Stiegler: due approcci alla comprensione delle immagini nella filosofia francese contemporanea". Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/2093/.

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Resumo:
Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.
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Turner, Benjamin. "The pharmacology of the political : on the relationship between politics and anthropology in the work of Bernard Stiegler". Thesis, University of Kent, 2017. https://kar.kent.ac.uk/66667/.

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Resumo:
A single question orients the argument that guides this thesis: what ramifications does the pluralisation of human nature have for our understanding of the political? This will be explored through two lines of argument. The first is established through an investigation of the rejection of a singular human nature found in Bernard Stiegler's philosophy of technics, which will argue that the political must be considered as plural as a result of his work. By claiming that the human is only ever constituted within a relationship with technical objects, Stiegler makes it possible to conceive of the political as a response to the problems unique to the way in which technics structures human life across varying contexts. This is consolidated by his understanding of technical objects as 'pharmaka', both poisonous and curative for political and social life. The political will be conceptualised as a response to these pharmacological tendencies, and thus differentiated across various anthropological contexts. The first three chapters will reconstruct how Stiegler's readings of Jean-Jacques Rousseau, André Leroi-Gourhan, Jacques Derrida, Plato, and Gilbert Simondon contribute to the concepts that form his philosophical anthropology. These concepts are, namely, the default of origin, the pharmakon, and organology. Uniting the terms introduced across these three chapters will be the development of an understanding of the political based in Stiegler's concept of the a-transcendental. As a-transcendental, the concepts that direct the political are subject to transformation and change along with empirical technical systems, and are responses to particular a-transcendental horizons framed by pharmacological problems. The second line of argument will be that this a-transcendental conception of the political has ramifications for political theory more generally. It will be argued that Stiegler's philosophy of technics creates a tension between anthropological plurality and political judgement. Political theory makes decisions or judgements on the limits of politics, whereas anthropology represents the potential for these judgements to be suspended. Stiegler reveals this constitutive tension between political theory and anthropology insofar as his philosophy of technics puts this anthropological plurality at the heart of the political. After establishing this tension, an internal critique of Stiegler's arguments will show that he both furthers the possibility of understanding the political in the plural through his use of the concept of impossibility, but closes this space through his use of entropy and negentropy, and in his limiting of the political to a Western history following its emergence in the Ancient Greek polis. Despite his work both making the plurality of the political possible and negating it - by making political judgements that close off anthropological plurality - Stiegler's work is not unsuccessful in providing material for this pluralisation of the political. Instead, it will be claimed that his writing itself demonstrates this tension between political judgement and anthropological plurality. It will be concluded that Stiegler's work must be treated pharmacologically insofar as it makes anthropological plurality possible while also closing this space through his own particular political judgements. Stiegler's example will be seen to have broader ramifications for political theory, in that he demonstrates the demand for political theorists to pay critical vigilance to the way in which anthropological presuppositions form boundaries to the political, and that the possibility for the suspension of these limits must be incorporated into the work of political theory.
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Celedón, Gustavo. "Emancipations de l'expérimentation sonore : dimension philosophique-politique d'une pensée sur le son". Paris 8, 2014. http://www.theses.fr/2014PA084153.

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Resumo:
Il s'agit d'une recherche sur l'expérimentation sonore des XX et XX siècles à la lumière d'une pensée sur ses conséquences politiques et philosophiques. Notre approche ne vise pas à traiter l'expérimentation sonore comme un objet pour la philosophie, mais plutôt à penser l'émergence progressive des sons dans nos vies et les déplacements esthétiques, philosophiques et politiques d'une telle émergence à travers l'expérience de l'expérimentation sonore. En ce point, l'expérimentation sonore se présente moins comme une pratique artistique déterminée que comme une recherche et une inquiétude autour du son, de l'écoute et les formes -formes politiques- du sensible. Ainsi, é n de penser l'altération actuelle qu'elle introduit dans les formes sensibles traditionnelles qui commandent tant donné que l'émergence des sons est un événement de nos jours, notre approche est surtout une faço nos formes de penser et vivre, toujours guidées par la vue et l’œil. Notre travail pense cette altération à partir d'une approche de Badiou, Rancière et Stiegler et, indirectement, Jacques Derrida. Badiou et Rancière nous donnent la possibilité de nous approcher à l'expérimentation sonore à partir d'une pensée sur l'événement, l'émancipation et le partage du sensible. Stiegler, à son lieu, nous permet de penser la question technique, indissociable à l’émergence sonore. Face à lui, l'expérimentation sonore nous permet poser une critique à toute tentative de placer la technique comme logos, idée que nous renforçons avec la pensée de Derrida
This is a research on sound experimentation of XX and XX centuries by the light of a thought of her political and philosophical consequences. Our approach is not intended to treat experimental sound as a philosophy’s object, but rather to think the gradual emergence of the sounds in our lives and in the aesthetic, philosophical and political movements through the experience of sound experimentation. At this point, the sound experimentation is presented less as a specific artistic practice as research around the sound, listening and forms –political forms– of sensitive. Thus, given that the emergence of sound is an our day’s event, our approach is mainly a way of thinking the actual that she gets in sensitive forms who control our ways of thinking and living, always guided by vision and the eye. Our work thinks this change from an approach to Badiou, Rancière and Stiegler and, indirectly, Jacques Derrida. Badiou and Rancière give us the possibility to approach the sound experimentation from thinking about the event, emancipation and the distribution of the sensible. Stiegler enables us to think the question of technique, inseparable to the sound emergence. Facing him, sound experimentation enables us to propose a critique to any attempt to place the technique as logos, idea that we bolster with Derrida
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Thomas, Russell A. "Bernard Stiegler on a Unified Vision of Humanity and Technology in Education: An Analysis of Human/Technical Ideology in the Writings of Today's Most Influential Educational Leaders". University of Dayton / OhioLINK, 2019. http://rave.ohiolink.edu/etdc/view?acc_num=dayton155704919370421.

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Bricout, Romain. "Les enjeux de la lutherie électronique : de l'influence des outils musicaux sur la création et la réception des musiques électroacoustiques". Lille 3, 2009. http://www.theses.fr/2009LIL30081.

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Resumo:
Portant les traces du mode de pensée spécifique qui l'a conçu, l'outil s'avère être un médium même de ce mode de pensée, médium dont l'invisibilité témoigne de l'extrême efficacité. Si la charrue sert à labourer le champ, elle suppose aussi l'utilisation de la traction animale comme décuplement de la force humaine, et si l'instrument de musique sert à jouer de la musique, il sert surtout à jouer une certaine musique : l'instrument véhicule les fondements théoriques de la musique pour laquelle il a été conçu. Ayant pour vocation première celle du "faire" et non celle du "transmettre", l'instrument peut toutefois être appréhendé en tant qu'objet de mémoire à part entière jouant - par procuration - un rôle décisif dans l'établissement d'une certaine efficacité symbolique. L'étude de l'organologie musicale des outils de création électroacoustique sera ainsi à même de nous dévoiler le phénomène de "plasticisation" du temps dont ils relèvent à certains égards, ainsi que celui d'une suggestion du geste par le son (ou "g-son"), synesthésie rendue sensible par la "réduction" instrumentale que réalisent les interfaces musicales comme instruments de musique "aphones". La transformation du temps en matière plastique n'est cependant pas une conséquence directe de la phonofixation, mais est bien fonction du régime sémiotique du geste qui est fixé, créé ou recomposé sur le support d'enregistrement. Dans son rapport au mouvement et au temps, le geste musical électroacoustique semble souffrir de sa condition dés-affective de "ça-n'a-pas-été" : une étude de la perception du temps ne peut être réalisée sans tenir compte de la prothéticité originelle de l'être humain
Marked by the specific conception which made it, the tool happens to be the very medium of this conception proving its efficiency through its invisibility. If the plough is used to dig the ground, it also requires the use of the animal haulage to strengthen the human action, and if the musical instrument is needed to play music, it is mainly determined to play a certain kind of music : the instrument represents the theoretical frame of the music for which it was created. Though it is firstly used to play music, the instrument can however be analysed as an object of memory which indirectly plays a significant role in the construction of a symbolical discourse. The sutdy of musical organology of the tools used in electroacoustic creation could then reveal the phenomenon of the "time turned into plastic material" on which they are partly based, and they could also suggest that sound leads to the gesture (or "g-sound"). This sensitive phenomenon can occur thanks to the instrumental "reduction" which is made by the musical interfaces - instruments which do not produce any sound. The transformation of time into plastic material is not the direct consequence of the recording activity, however it is directly implied by the semiotic dimension of the gesture when it is fixed, created or re-composed on the recording material. Because of its relation with movement and time, the electronic music gesture seems to be altered by its impersonal or "had not been" dimension : the study of the perception of time can not go without the analysis of the intrinsic relation between human being and tool
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Hejl, Matouš. "Technics and Music : some remarks on the process of exteriorization in music". Thesis, Kungl. Musikhögskolan, Institutionen för komposition, dirigering och musikteori, 2017. http://urn.kb.se/resolve?urn=urn:nbn:se:kmh:diva-2439.

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The delegating of thought, memory and action outside of the human body, inseparable from the process of individuation and identity formation, and the following implications for music establish an underlying theme of this text. It is a reflection on the process of "supplementation," of prosthetization or exteriorization in the recent and contemporary milieu of music making, in which nothing is any longer immediately at hand, where everything is found mediated and instrumentalized, technicized, unbalanced.
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BENFANTE, CHIARA. "RISCOPRIRE E COLTIVARE LE CAPACITA' UMANE COME STRUMENTO DI DISAUTOMATIZZAZIONE INDIVIDUALE E COLLETTIVA NELL'ERA DELL'INTELLIGENZA ARTIFICALE". Doctoral thesis, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2022. http://hdl.handle.net/10280/114594.

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Nella "società automatica" la tecnologia è l’elemento dominante. Il filosofo francese Bernard Stiegler la definisce "pharmakon", connotandone la duplice valenza: è "rimedio" utile a supportare gli individui e incrementarne le abilità, ma può anche essere "veleno", qualora impiegata come alternativa all’Umano. L’automazione in campo industriale è una realtà consolidata da diversi decenni, ma il progressivo estendersi dei campi di applicazione dell’Intelligenza artificiale giunge oggi a interessare ogni ambito produttivo, mettendo in crisi il ruolo dell’essere umano in una molteplicità di contesti. Occorre pertanto interrogarsi sulla natura e il valore di quelle capacità umane non replicabili dai dispositivi artificiali. Nella prima parte della tesi si propone una riflessione sul progresso tecnico-scientifico attraverso l'analisi del pensiero di Stiegler. Nella seconda parte si traccia un percorso di riscoperta delle capacità umane, partendo dal tema dell’Intelligenza fino ai teorici del capability approach. Il caso di studio è stato svolto presso la società di consulenza Deloitte US e lo Interfaith Ministries of Greater Houston, allo scopo di esplorare le modalità di applicazione del progetto "Enduring Human Capabilities", una metodologia innovativa di gestione e valutazione del personale basata sul parametro delle capacità umane intangibili e trasversali, anziché su criteri di tipo quantitativo.
In the "Automatic Society" technology is crucial. The defining notion of "pharmakon", according to Bernard Stiegler, implies a double meaning: on one hand technology is a useful "remedy" to support individuals and increase their abilities, on the other hand it is a poison, a threat to human agency. Automation in Manufacture has been introduced since decades, however, the range of applicability of Artificial Intelligence is currently widening in every industry, potentially undermining the role of human beings in all contexts. It is therefore necessary to analyse the nature and the value of those human capabilities that cannot be borrowed or replicated by technological devices. The first section of this work is focused on the discourse about scientific-technical progress and the thought of Bernard Stiegler. Part Two is about the rediscovery of Human Capabilities, starting from the notion of Intelligence up to the "capability approach". The case study was carried out at the consulting firm Deloitte US and the Interfaith Ministries of Greater Houston, Texas, with the aim of exploring the implementation of a HR project named "Enduring Human Capabilities", an innovative methodology for managing and evaluating personnel, based on the assessment and development of intangible human capabilities rather than quantitative parameters.
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Eklöf, Åsa. "Den upplysta projektorn : Analog film i förändring". Thesis, Södertörns högskola, Institutionen för kultur och lärande, 2014. http://urn.kb.se/resolve?urn=urn:nbn:se:sh:diva-35600.

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As we speak, analogue film is being phased out of the international film industry. The medium that once reigned in capturing and projecting our world's light and the flow of time, has now been rendered obsolete and replaced by digital media technology. However, analogue film remains, and has come to be increasingly used and investigated in contemporary art. In my essay, I examine how our aesthetic perception of analogue film is changing with this shift to digital film technology. How do we experience analogue film – now that it is both on the verge of disappearing from society and is put in contrast to its digital successor? My investigation is based on the thesis that analogue film is now in a state of change. By analyzing three contemporary artists I attempt to discern how this change is aesthetically articulated, and trace alternative forms of continued existence for analogue film. The British artist Tacita Dean, the Italian artist Rosa Barba and the Swedish artist Alexander Gutke all work with film in their own way, and also in the context of the changed status of analogue film today. Furthermore, I examine the possibility that these artists form an active part of a continuous reshaping of analogue film, which is taking place in the fracture created in this shift to digital media technologies.
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Ellis, Susannah Mary. "Rewriting community for a posthuman age in the works of Antoine Voloine, Michel Houellebecq, and Maurice G. Dantec". Thesis, University of Oxford, 2013. http://ora.ox.ac.uk/objects/uuid:270b1582-f9a3-4d1a-a16a-13aab278ac2d.

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The heterogeneous field of posthuman theory allows for an account of community under the convergence of late capitalism and high technology and its spread to a global scale. Spanning bioconservative fears of a potential loss of agency and a human ‘essence’ through advances in technology, ‘transhumanist’ hopes for a biological transformation that would fulfil liberal goals for human development, as well as postmodern, feminist interpretations of the posthuman as instantiating a liberating break with liberal ideology and patriarchal structures, theories of the posthuman offer a productive starting point for exploring the transformations in understandings of human subjectivity and community at the turn of the twenty-first century. Placing the concept of community against a background of past totalitarianism and a possible future of an uncontested globalised neoliberal regime that high technology risks intensifying, the present study enquires into the possibility of a community that would escape the metaphysical logic of mastery subtending both past and present models of community and suggests that problematizing representations of the creation of what a strand in contemporary philosophy terms a non-totalising ‘communauté désoeuvrée’ and implicit proposals not for the revival of community as a teleological ‘oeuvre’, but for its rewriting may be found in works by Maurice G. Dantec, Michel Houellebec, and Antoine Volodine, works which have been labelled posthuman themselves by virtue of their incorporation of posthuman themes or structures that come in the shape of representations and problematisations of high technology and its intersection with late capitalism and narrative structures that mimic or subvert conceptions of subjectivity that can loosely be termed posthuman. These novelists write in a context of an ideological, technological, and commercial constraint that hampers literary and political agency and which is problematized both implicitly and explicitly in the use these writers make of representations of violence and literary strategies such as irony, ambiguity, and hermeticism. These representations and strategies, it will be suggested, could be read as subtle attempts to bypass those constraints and restore the potential of literary production to comment on and even intervene in the creation of community in a posthuman age.
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Delattre, Benjamin. "L'ΕΡS au défi de l'individuatiοn : recherches sur la cοntributiοn de la matrice de l'individuatiοn psychique et cοllective à la discipline scοlaire "Εducatiοn Ρhysique et Spοrtive"". Thesis, Normandie, 2019. http://www.theses.fr/2019NORMC011/document.

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Cette thèse cherche à former les conditions d’une rencontre entre la matrice du processus d’individuation psychique et collective (IPC) et la discipline scolaire Éducation Physique et Sportive (EPS) afin de contribuer à l’épistémologie de cette discipline dans une perspective pédagogique. La théorie philosophique de l’IPC a été élaborée dans un premier temps par Gilbert Simondon. Elle a été reconfigurée par Bernard Stiegler en replaçant la technique au cœur du processus. Elle vise à mieux comprendre les tendances qui ont parcouru les sociétés humaines et à inscrire cet héritage dans une vision lucide de leur avenir. Une synthèse des principaux concepts de cette matrice a été proposée au cours de ce travail et un certain nombre d’entre eux ont été plus particulièrement explorés. Dans cette perspective, la méthode organologique, qui étudie conjointement l’histoire et le devenir des organes du corps, des organes techniques et des organisations sociales, a permis d’identifier le point de départ de l’étude des apports et des controverses au sein des conceptions passées et actuelles de la discipline EPS (1880-2016). Cette démarche a permis de montrer que la toile de fond épistémique, qui sous-tend les courants disciplinaires, a conduit majoritairement à une vision de l’activité de l’élève en termes d’« adaptation » et de « maîtrise ». Il a été proposé de lui substituer une approche en termes d’« apprivoisement » des conduites en « adoptant » des techniques (matérielles et mnémotechniques) pour former l’attention motrice des élèves. Cette attention se traduit par la formation de conduites motrices symboliques, en se réappropriant le concept élaboré par Pierre Parlebas, tout en prenant en compte les critiques faites à son endroit. Aussi, il a été élaboré une théorie qui cherche à rendre compte de la dynamique de ces conduites à partir de trois composantes articulées : la composante performative de la conduite, sa composante relationnelle, et sa composante métamotrice. L’étude de cas, basée sur la pratique scolaire du badminton avec une classe de quatrième, a cherché à mettre à l’épreuve cette théorie et à documenter les effets d’apprentissage d’une pédagogie fondée sur la formation de conduites motrices symboliques évolutives, envisagées comme des « faire-corps », en montrant les spécificités et les relations qui se sont tissées entre deux des trois composantes de la conduite : la composante performative et la composante métamotrice
The purpose of this work is to create the conditions of an epistemological encounter between, on the one hand: the matrix of the psychic and collective individuation process, and on the other hand: physical education as a subject of learning and teaching. Gilbert Simondon first developed the philosophical theory of psychic and collective individuation process. Therefrom, Bernard Stiegler made it his own and rebuilt it while putting technics at its core. More precisely, for Stiegler, this theory rests on technics which is the main part of the process. Moreover, he shows that technics is, most of the time, excluded from epistemology. Throughout the concepts forged within this matrix, we can figure out the different patterns human societies went through. Moreover, understanding these patterns leads us to consider clearly their prospects and evolution. This work summarizes the main concepts seen as essential to define this matrix, while some of these concepts were given more attention. The organologic approach studies history and the prospects of body organs, technical tools, and social organizations. This approach brought to light the starting point for the topic concerning the contributions as well as the disputations within the past and present views of physical education (1880-2016). This process shows that the epistemic background mainly leads to consider the student action in terms of adjustment or in terms of mastering. We propose to turn this approach into a new one where the student will ease into new behavior using technics (such as physical ones or mnemonics) so that they can develop the motor attention. This view is based on the idea developed by Pierre Parlebas, seizing his work as well as the critical reviews of it. Therefore, we rely on the notion of forming symbolic motor behavior. This work also presents a theory attempting to report how the formation of these assets includes three major components: the performative component of the behavior, the relational component and the meta motor component. To test this theory, observations were made on a class of eighth graders practicing badminton. This case study points out two essential ideas: revealing the effects of an educational way of teaching based on the formation of a progressive and symbolic motor behavior (seen as "faire corps"), showing how two of the three components are specifically connected: the performative component and the meta motor component
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Roberts, Benjamin L. "Stiegler Reading Derrida: The Prosthesis of Deconstruction in Technics". 2005. http://hdl.handle.net/10454/4124.

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Roberts, Benjamin L. "Cinema as mnemotechnics: Bernard Stiegler and the "industrialization of memory"". 2006. http://hdl.handle.net/10454/746.

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Daly, Nicholas Joseph. "Ecophenomenology and technology as Pharmakon: repairing our relationship to the world according to Abram and Stiegler". Master's thesis, 2018. http://hdl.handle.net/10362/50346.

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This dissertation reads the works of two contemporary philosophers together in order to build new and synthetic conversations about nature, technology, artistic expression, and consciousness. The first philosopher, David Abram, is a pioneer of 'ecophenomenology', which brings the phenomenological writings of Martin Heidegger and Maurice Merleau-Ponty into dialogue with contemporary ecological concepts and environmental philosophy. Abram argues that humans have a fundamental psychological need for sensuous, bodily, and reciprocal encounters with the natural world (what he terms the 'more-than-human' world). The second philosopher is Bernard Stiegler, known as a famous philosopher of technology and former student of Jacques Derrida. Using a very broad definition of technology, Stiegler came to notoriety for defining humans as 'always, already technological', arguing that our consciousness has always been shaped by technology. His later work explores how new technologies limit human spirit while simultaneously creating unprecedented opportunities for self-expression, artistic expression, and political realities. By reading these philosophers together, the dissertation argues that despite differences in academic discipline, genre, language, and cultural context, these thinkers address the same basic issues about human consciousness which opens possibilities for environmentalists, artists, and technologists to address global climate chaos, industrial populism, and disruptive technological innovation. By turning the authors’ concepts back unto philosophy itself, the thesis also speaks to the ecological and pharmacological dynamics of philosophical encounter.
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Maha, Jiří. "Gilbert Simondon a jeho vliv na současné myšlení o médiích". Master's thesis, 2016. http://www.nusl.cz/ntk/nusl-352668.

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Keywords Gilbert Simondon, Bernard Stiegler, Mark B. N. Hansen, philosophy, media, technology, humanism, individuation, information Abstract This text has two parallel objectives. First, to introduce the original work of french philosopher Gilbert Simondon. Second, to show its potential of his philosophy in relation to our thinking about the current media-techno- logically conditioned environment in which we live and through which we understand the world. I have two motivations for the first objective. First, the work of Gilbert Simondon is still completely unknown in Czech Repub- lic, therefore I find it necessary to offer to the reader the introduction of his work. Second, without such introduction it would be very difficult to ope- rate with his crucial concepts in the work of his contemporary interpreters whose contributions I will discuss in the second part of the text. The se- cond objective is motivated with my interest in delimitation of speculative and materialistic line of thinking based on the work of Gilbert Simondon. Such thought with its description of the world is in clear opposition with anthropocentrism. Nevertheless, it cannot be considered as a part of object oriented ontology neither. I'm not going to show the importance of Gilbert Simondon for media theory in this text. Rather, I will...
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Michaud, Jérôme. "Re-conceptualiser notre expérience de l’environnement audio-visuel qui nous entoure : l’individuation, entre attention et mémoire". Thèse, 2016. http://hdl.handle.net/1866/16151.

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Notre mémoire prend en charge de re-conceptualiser notre nouvel environnement audio-visuel et l’expérience que nous en faisons. À l’ère du numérique et de la dissémination généralisée des images animées, nous circonscrivons une catégorie d’images que nous concevons comme la plus à même d’avoir un impact sur le développement humain. Nous les appelons des images-sons synchrono-photo-temporalisées. Plus spécifiquement, nous cherchons à mettre en lumière leur puissance d’affection et de contrôle en démontrant qu’elles ont une influence certaine sur le processus d’individuation, influence qui est grandement facilitée par l’isotopie structurelle qui existe entre le flux de conscience et leur flux d’écoulement. Par le biais des recherches de Bernard Stiegler, nous remarquons également l’important rôle que jouent l’attention et la mémoire dans le processus d’individuation. L’ensemble de notre réflexion nous fait réaliser à quel point le système d’éducation actuel québécois manque à sa tâche de formation citoyenne en ne dispensant pas un enseignement adéquat des images animées.
This thesis re-conceptualizes our new audio-visual environment and analyses the experience we make of it. In the digital age marked by the dissemination of moving images, we circumscribe a category of images which we see as the most likely to have an impact on human development. We call it synchrono-photo-temporalized images-sounds. Specifically, we seek to highlight their power of affection and control by showing that they have some influence on the process of individuation, an influence which is greatly facilitated by the structural isotopy between the stream of consciousness and the flow of motion images. By examining the research of Bernard Stiegler, we also note the important roles attention and memory play in the process of individuation. This thinking makes us realize how the current education system in Quebec fails in its mission to give a good civic education by not providing an adequate teaching of moving images.
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Willemse, Emma Wilhelmina. "The phenomenon of displacement in contemporary society and its manifestation in contemporary visual art". Diss., 2010. http://hdl.handle.net/10500/4343.

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As an alternative to existing research which states that the phenomenon of displacement resists theorisation because of its complex nature, this study conducts a Phenomenological examination of the nature of displacement in which the interlinked losses in the key concepts of the consciousness of the displaced, namely Memory, Land and home and Identity, are navigated. It is shown that the current consciousness of society mimics these losses with the effect of displacement being experienced as a state of mind by contemporary society. By comparing selected artworks of artists Rachel Whiteread and Cornelia Parker, it is established that although manifested in diverse ways, contemporary artworks reflect displacement according to a set of broadly defined visual signifiers. The visual documentation of a site of displacement in the North West Province of South Africa and subsequently produced artworks underline these findings and highlight the elusive attributes of loss inherent in the displacement phenomenon.
Art History, Visual Arts & Musicology
M.A. (Visual Arts)
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