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Armando, Luigi Antonello. "Secondo Giacobbi: Omogenitorialità: ideologia, pratiche, interrogativi." Ricerca Psicoanalitica 30, no. 3 (2019): 123–27. http://dx.doi.org/10.4081/rp.2019.91.

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Анотація:
Si viene affermando, non solo in Italia e soprattutto tra gli intellettuali di sinistra, un orientamento favorevole all'aspirazione delle coppie omosessuali alla genitorialità. Esso espone all'accusa di omofobia chi intenda discutere liberamente quell'aspirazione. [...]
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Vicini, Fabio. "Per una antropologia della lettura: Islam, riflessione e modernità nella comunità Suffa di Istanbul." Anuac 8, no. 2 (2019): 83–103. http://dx.doi.org/10.7340/anuac2239-625x-3819.

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Анотація:
L’articolo indaga le pratiche di lettura di un testo islamico, il Risale-i Nur, presso la comunità Suffa, una delle molte che fanno parte del movimento riformista Nur, il più influente della Turchia moderna. L’articolo si colloca in modo trasversale rispetto ai dibattiti antropologici sull’impatto che l’educazione secolare moderna e i nuovi media hanno avuto sulle pratiche educative in ambito musulmano. Laddove questi lavori si sono focalizzati sulle implicazioni che queste trasformazioni hanno avuto per la ridefinizione della autorità religiosa, il contributo si concentra sulle forme di pensiero (tefekkür) e relative visioni del mondo, o cosmologie, che sono generate in relazione alle pratiche di lettura del testo religioso in oggetto. Sebbene l’accessibilità diretta al testo da parte dei singoli individui possa ricordare, come alcuni hanno sostenuto, dinamiche simili a quelle verificatesi in Europa durante la riforma protestante, l’articolo suggerisce che una tale prospettiva rischia di occultare le linee di continuità nelle pratiche di coltivazione religiosa, così come i complessi meccanismi di trasformazione e rinnovamento interni alla tradizione islamica. Inoltre, il contributo avanza l’idea che una nuova antropologia della lettura, nell’islam come in altre tradizioni, dovrebbe essere più attenta alla natura specifica degli esercizi intellettuali che sono generati dalle pratiche di lettura.
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Mantovani, Mauro. "Un'esigenza emergente dal Decreto di riforma degli studi ecclesiastici di filosofia: acquisire habitus “intellettuali, scientifici e sapienziali”." Salesianum 75, no. 2 (2013): 285–312. https://doi.org/10.63343/sf2874ua.

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Questo contributo esamina la valenza dello studio della filosofia nella formazione della persona umana a partire da quanto disposto dal recente Decreto di riforma degli studi ecclesiastici di filosofia da parte della Congregazione per l’Educazione Cattolica. In particolare si pone l’accento sulla promozione di abiti sapienziali che una buona impostazione di tale studio può avere. Per approfondire tale assunto si citano sia l’Enciclica Fides et ratio ed altri documenti ecclesiali e sia non pochi apporti provenienti da autori antichi e moderni. L’insistenza sul concetto di habitus rimanda allo sviluppo di disposizioni non solo cognitive ma anche, se non soprattutto, affettive e pratiche, che possano caratterizzare positivamente e in maniera permanente la persona umana.
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Ferrando, Anna. "Donne oltre i confini. La traduzione come percorso di emancipazione durante il fascismo." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 294 (December 2020): 205–34. http://dx.doi.org/10.3280/ic294-oa1.

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Č nota a tutti la definizione che Cesare Pavese, cogliendo lo spirito dell'epoca, diede degli anni Trenta come il "decennio delle traduzioni". Meno noti i protagonisti di questa massiccia operazione di mediazione culturale. O, forse, sarebbe meglio dire, le protagoniste. Molte furono infatti le donne che scelsero l'attivitŕ traduttoria: si trattava di un lavoro flessibile, ‘nascosto', che si poteva svolgere a casa, e per di piů ancillare al lavoro dell'autore, un lavoro ‘adatto' alle donne, ma che molte donne, perň, usarono per ritagliarsi uno spazio di vita pubblica, di indipendenza e di libertŕ, esercitato anche nel selezionare i testi da tradurre e nel proporli agli editori. Quando nel 1938 Ada Gobetti tradusse uno dei libri di riferimento dell'american black feminism, Their eyes were watching God della Hurston, non si trattava certo di un'operazione unicamente letteraria. Chi furono dunque le intellettuali protagoniste del "decennio delle traduzioni"? E questo processo di mediazione culturale influenzň le pratiche, gli stili di vita, le mentalitŕ delle traduttrici stesse? L'archivio privato della traduttrice Alessandra Scalero permette di circoscrivere un caso di studio emblematico delle ‘mutazioni di genere' che investirono l'industria delle traduzioni fra le due guerre.
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De Filippo, Ilaria. "Il poeta alle prese con il lavoro di composizione: Descrizioni Aristofanee." Tycho, no. 10 (December 15, 2024): 127–40. https://doi.org/10.7203/tycho.10.30555.

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Sin dall’ultimo trentennio del V secolo a.C. la commedia arcaica, e in particolare quella aristofanea, aveva saputo intercettare il cambiamento socio-culturale in atto in Atene: la trasformazione dell’idea di σοφία, complice l’avvento della cultura sofistica, contribuì a un più celere sviluppo di una civiltà della scrittura. Obiettivo di questo contributo è richiamare l’attenzione sulle immagini e sul lessico specifico che Aristofane impiega nelle raffigurazioni del lavoro di composizione letteraria (tra le prime di questo genere nella letteratura greca). Nella prima fase di ricerca e predisposizione dei materiali utili alla propria attività, sia i poeti drammatici sia quelli ditirambici sono descritti, per esempio, nell’atto di “raccogliere” (συλλέγειν/λαμβάνειν), da una dimensione eterea, “versetti” (ἐπύλλια, Acarnesi, v. 398) o “preludi” (ἀναβολάς, Pace, v. 830b, Uccelli, v. 1386), per poi farne oggetto della seconda fase di lavoro, quella della composizione (ποιεῖν, Acarnesi, v. 399; μελοποιεῖν, Tesmoforiazuse, v. 67): in questo modo il commediografo svilisce le nuove pratiche intellettuali come attività inconsistenti e rarefatte. Non è un caso che le opere dei letterati siano altrove ridotte da Aristofane a oggetti di poco valore, come nel caso del Telefo di Euripide, di cui Diceopoli reclama un ῥάκιον (Acarnesi, v. 415) – con verosimile assimilazione degli “stracci” a rotoli papiracei: indizio di un cambiamento di mentalità. Mutamento evidente ancor più nella descrizione artigianale del lavoro poetico di Agatone (Tesmoforiazuse, vv. 52-57a) e, successivamente, come mostra l’impiego di ἐκγράφεσθαι (Rane, v. 151), nella significativa presenza di supporti scrittori che facilitano l’ars excerpendi.
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Sbaragli, Silvia. "Editoriale." Didattica della matematica. Dalla ricerca alle pratiche d’aula, no. 14 (November 29, 2023): I—IV. http://dx.doi.org/10.33683/ddm.23.14.0.

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La didattica della matematica, nelle sue dimensioni di ricerca e di pratica scolastica, fin dal suo esordio come disciplina accademica ha esplorato visioni, costrutti, interpretazioni e contesti legati a campi del sapere anche in apparenza molto distanti dalla matematica; campi riguardanti altre discipline o forme di sapere più generali e trasversali. Questa scelta non è il frutto di un capriccio intellettuale o ideologico, ma un bisogno, che prende avvio dalla presa di coscienza che l’educazione in generale, e in particolare quella matematica, è un mondo nel quale convergono strade provenienti da vari mondi: quello delle scienze dell’educazione, della semiotica, della linguistica, dell’arte, del gioco, dell’ambiente ecc. Una necessità che parte dal bisogno di interpretare con diverse lenti il delicato processo di insegnamento-apprendimento della matematica.La rivista Didattica della matematica. Dalla ricerca alle pratiche d’aula non può che far parte – e lo fa con orgoglio – di questa prospettiva, accogliendo al suo interno contributi che mostrano una didattica della matematica sempre più aperta agli stimoli e agli interrogativi che le provengono sia dal mondo della ricerca sia da quello della pratica didattica, aprendosi anche ad altre prospettive e visioni. Anche il quattordicesimo numero, come altri in precedenza, mette in evidenza questa prospettiva. Continua a leggere...
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Cappello, Massimiliano. "Polemica e maldicenza: la querelle Raboni-Berardinelli." Configurazioni. Ricerche sulla poesia contemporanea 2, no. 2 (2023): 79–108. http://dx.doi.org/10.54103/2974-8070/20994.

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L’articolo ripercorre e analizza da una prospettiva a un tempo critica e stilistica uno dei dibattiti intellettuali occorsi alla soglia storica del 1993, individuata come data spartiacque di una «crisi della critica», e le posizioni che comunicano in merito alla teoria e alla pratica antologica. I suoi protagonisti sono Giovanni Raboni e Alfonso Berardinelli: l’oggetto del contendere (o il suo pretesto) è Per la poesia di Giorgio Manacorda (Editori Riuniti, 1993), «pamphlet panoramico, antologico e teorico». Le tappe di questa querelle sul tema dell’antologia poetica sono scandite da alcuni interventi apparsi su l’Unità e il Corriere della sera tra il 24 maggio e il 7 giugno 1993.
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Royer, Denis. "Passione: al cuore del corpo adolescente." GROUNDING, no. 1 (June 2011): 93–110. http://dx.doi.org/10.3280/gro2011-001010.

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Il contributo intende inserire nella teoria e nella pratica dell'analisi bioenergetica l'attenzione per la fase adolescenziale accanto a quella per la fase infantile dello sviluppo della personalitŕ, accogliendo i suggerimenti che provengono dall'ambito psicoanalitico, a partire dagli anni ‘80. L'autore affronta l'argomento offrendo un approccio basato sui presupposti dell'analisi bioenergetica e coglie l'occasione per suggerire interessanti linee di sviluppo per la nostra disciplina, come la definizione di "corpo adolescente". Ricollegandosi al dibattito sul rinnovamento della conoscenza e sulla "svolta affettiva" nelle neuroscienze, l'autore propone di andare oltre la definizione dell'adolescenza come ricapitolazione, per porre al centro dell'adolescenza l'intreccio dello sviluppo sessuale con lo sviluppo intellettuale, al crocevia di tale intreccio c'č la "passione" intesa come uno stato sia emotivo che intellettuale che prende forma proprio nell'adolescenza. Sia l'intelligenza che la sessualitŕ ricevono una luce nuova e il pensiero, in quest'ottica, viene affrontato bioenergeticamente come una modalitŕ dell'auto-espressione e come un evento che coinvolge tutto il corpo. Il contributo č, inoltre, ricco di esempi di come nella terapia bioenergetica di persone adulte sia importante esplorare le esperienze adolescenziali.
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Sbaragli, Silvia. "Editoriale." Didattica della matematica. Dalla ricerca alle pratiche d’aula, no. 17 (May 26, 2025): i—iv. https://doi.org/10.33683/ddm.25.17.0.

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La rivista Didattica della matematica. Dalla ricerca alle pratiche d'aula inaugura il 2025 con un numero all'insegna della varietà dei contributi, sia per il livello scolastico a cui si riferiscono, sia per tipologia di contenuti trattati. Da un lato, infatti, la fascia d'età delle ricerche e delle esperienze didattiche presentate negli articoli copre tutti gli ordini scolastici, dalla scuola dell'infanzia fino all'università. Dall'altro, i temi affrontati sono molteplici: l'uso delle tecnologie nel favorire l'apprendimento, l'analisi dei risultati di indagini standardizzate internazionali, l'attenzione all'atteggiamento in matematica, l'applicazione dell'approccio del Universal Design for Learning e altro ancora. Questa varietà testimonia un ambiente intellettuale di ricerca e lavoro sul campo estremamente frizzante e ricco di spunti, idee da sperimentare, lavori su cui poter attuare riflessioni teoriche e didattiche. Ricchezza che ci rende contenti di far parte di questa comunità. Continua a leggere...
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Pallante, Gianna. "Droit à quelle éducation en Afrique?" Salesianum 72, no. 3 (2010): 513–26. https://doi.org/10.63343/ut4270uz.

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Esiste una lunga storia dei diritti del bambino e quindi del diritto all’educazione. Per questo in una cultura diversa da quella in cui sono stati elaborati è lecito interrogarsi sul tipo di educazione che dovrebbe essere data a un bambino. Nell’Africa tradizionale i bambini ricevevano una formazione completa: intellettuale, morale, sessuale, religiosa, pratica per una giusta integrazione nella società. Avevano diritto a un nome, a una famiglia, ecc. È lo stesso oggi nella società africana? La scuola educa gli africani per inserirli nella loro cultura e nella cultura mondiale?
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Todella, Elena. "The architectural design practice in the folds of decision-making processes [La pratica della progettazione architettonica nelle pieghe dei processi decisionali]." Valori e Valutazioni 33 (July 2023): 3–16. http://dx.doi.org/10.48264/vvsiev-20233302.

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The role of evaluation in urban and architectural design processes is a current field of investigation, in the national context. Scholars in evaluation increasingly focus on the need for opening the “black box” of architectural design process, directing the evaluation discipline in making explicit and communicable its mechanisms. Currently, the role of evaluation in making explicit and communicable the reasons for the choices to be made is often deepened, on the one hand, in terms of exploring the architectural design process as an intellectual, ideational and creative practice, starting from a “generative idea”; on the other hand, in terms of its contribution with respect to the quality of the product – as buildings – in relation with the quality of the project in its drafting practices. This paper reflects on architectural design as a decision-making activity that needs to be unpacked in order to be supported by evaluation through specific tools and methodologies. In doing so, the attention is shifted from the material products of architecture – such as buildings – to the processes of proposal, negotiation and finalization of projects. Consequently, the main aim is a theoretical investigation on the role of some architectural design practices in relation to the ongoing decision-making process, by exploring the connections between these practices and their results and effects in the process. Il ruolo della valutazione nei processi di progettazione urbana e architettonica è un campo di indagine attuale, nel contesto nazionale. Gli studiosi di valutazione si concentrano sempre più sulla necessità di aprire la “scatola nera” del processo di progettazione architettonica, indirizzando la disciplina valutativa a rendere espliciti e comunicabili i suoi meccanismi. Attualmente, il ruolo della valutazione nel rendere esplicite e comunicabili le ragioni delle scelte da compiere viene spesso approfondito, da un lato, in termini di esplorazione del processo di progettazione architettonica come pratica intellettuale, ideativa e creativa, a partire da una “idea generativa”; dall’altro, in termini di contributo rispetto alla qualità del prodotto – gli edifici – in relazione alla qualità del progetto nelle sue pratiche di redazione. Questo articolo riflette sulla progettazione architettonica come attività decisionale che deve essere spacchettata per es- sere supportata dalla valutazione attraverso strumenti e metodologie specifiche. Nel fare ciò, l’attenzione si sposta dai prodotti materiali dell’architettura – come gli edifici – ai processi di proposta, negoziazione e finalizzazione dei progetti. Di conseguenza, l’obiettivo principale è un’indagine teorica sul ruolo di alcune pratiche di progettazione architettonica in relazione al processo decisionale in corso, esplorando le connessioni tra queste pratiche e i loro risultati ed effetti nel processo.
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Catarci, Marco. "La prospettiva pedagogica emancipatrice di Paulo Freire." EDUCATIONAL REFLECTIVE PRACTICES, no. 1 (July 2022): 24–37. http://dx.doi.org/10.3280/erp1-2022oa13728.

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Freire formula una proposta pedagogica radicale di emancipazione degli esclusi. Una posizione militante che, nella prospettiva di un continuo scambio tra dimensione teorica e pratica, caratterizza non solo la sua elaborazione intellettuale, ma anche il suo itinerario biografico, fortemente intrecciato con la vicenda storica e politica del suo paese, il Brasile, e degli altri paesi, soprattutto del Sud del mondo, nei quali si è impegnato come esperto di educazione. In questa prospettiva, il cambiamento sociale ha una radice prevalentemente pedagogica: ciò significa che la trasformazione dell'ordine sociale ingiusto richiede un fondamentale impegno educativo.
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Colombo, Raffaella. "Niente di meno che il Tutto." Balthazar, no. 4 (September 13, 2022): 1–51. http://dx.doi.org/10.54103/balthazar/18658.

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Ripercorrendo in particolare il serrato confronto critico di Mario Mieli con la teoria freudiana e l’ambivalente rapporto con essa intrattenuta, questo articolo vuole indagare l’orizzonte non soltanto teorico-pratico ma, a parere di chi scrive, più propriamente “mistico” in cui dovrebbero essere inscritte l’esperienza intellettuale e umana e la militanza di Mieli. Un’esperienza e una militanza dichiaratamente e fedelmente rivoluzionarie - con Freud e Marx come maestri da criticare e, infine, sostanzialmente superare - che possono essere tuttavia comprese, nella loro radicalità, solo se intrecciate con la tensione “mistico-folle” che muoveva l’autore di Elementi di critica omosessuale.
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Bortoletti, Francesca. "Per una nuova drammaturgia. L'egloga nel Quattrocento italiano: dall'idea dell'esecuzione alla pratica scenica." Quaderni d'italianistica 30, no. 1 (2009): 67–108. http://dx.doi.org/10.33137/q.i..v30i1.8427.

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Tema centrale del presente saggio è la questione assai dibattuta dell'egloga rappresentativa a confine tra XV e XVI secolo, qui indagata al di fuori delle categorie aristoteliche, che saranno proprie del dramma pastorale del pieno Cinquecento. L'egloga rappresentativa è così posta in relazione, da un lato, all'esperienza lirica dei poeti bucolici quattrocenteschi entro un quadro di acceso sperimentalismo sulla poesia recitativa e, dall'altro, alle singole realtà locali e all'interno dei singoli sistemi produttivi coevi dello spettacolo, delle tecniche recitative, delle riflessioni teoriche, dei rapporti tra intellettuali e specialisti dell'intrattenimento e tra questi e le corti. Attraverso alcuni passaggi esemplificativi il saggio propone di localizzare le tensioni e gli esiti di un processo di deduzione del materiale lirico pastorale nelle convenzioni di una drammaturgia atta alla scena e allo spettacolo di corte.
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Sapelli, Giulio. ""Capitale intellettuale" tra pratica e teoria. Prefazione alla raccolta di scritti di Armando Marchi." PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE, no. 3 (September 2012): 403–8. http://dx.doi.org/10.3280/pu2012-003004.

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Dopo una nota introduttiva di Pier Francesco Galli sul ruolo dell'intellettuale e sul significato di "capitale intellettuale" (Intellectual Capital), vengono ripubblicati tre documenti: la prefazione di Giulio Sapelli a una raccolta di scritti di Armando Marchi (Il dragomanno e il dilemma del senso. Scritti editi e inediti. Milano: Guerini e Associati, 2010) in cui riflette sul ruolo dell'intellettuale; un capitolo di questo libro ("Persone: da risorse a capitale. Alcune questioni aperte sul valore d'uso della teoria dell'Intellectual Capital") in cui Armando Marchi (1955-2008) riflette sulla sua esperienza come responsabile del Barilla Lab for Knowledge and Innovation quando lavorava alla gestione delle risorse umane della Barilla; una recensionesaggio di Francesco Mattioli del numero speciale (3/1986) per il ventesimo anno della rivista Psicoterapia e Scienze Umane ("I vent'anni di un binomio impegnativo", apparsa in la Rivisteria, 1987, 10: 30-33), in cui viene descritto il ruolo di questa rivista nella vita culturale italiana degli anni 1960-80.
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Mauro, Chiara Maria. "A century of scientific research on the ancient harbours of the mediterranean: origins, developments and prospects." REVISTA DE HISTORIOGRAFÍA (RevHisto), no. 35 (June 29, 2021): 55. http://dx.doi.org/10.20318/revhisto.2021.5169.

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I porti sono ambienti altamente instabili: instabile è il contesto in cui si trovano (interfaccia tra terra e acqua); instabile è il contingente umano che li frequenta. Questa mutevolezza ne ha a lungo condizionato, se non addirittura ostacolato, lo studio. Tuttavia, le conquiste scientifiche dell’ultimo secolo, compiute tanto in ambito metodologico quanto concettuale, hanno permesso notevoli passi in avanti nella conoscenza degli ambienti portuali antichi. Obiettivo di questo contributo è quello di ripercorrere la storia degli studi sui porti antichi e identificarne i momenti chiave; in particolare, si tenterà di capire in che modo gli sviluppi epistemologici e pratici della scienza abbiano consentito a questo campo di studi di raggiungere la maturità intellettuale.
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Broisin, Nicolas. "Décrire l'espace, écrire un territoire. Le Dauphiné-­Savoie dans le Recueil et abbregé (1547)*." STORIA URBANA, no. 175 (October 2024): 19–37. http://dx.doi.org/10.3280/su2023-175002.

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Il Recueil et abbregé de certaines choses concernans le gouvernement des pays de Daulphiné et Savoye è un manoscritto anonimo della metà del XVI secolo che offre una descrizione dello spazio del Delfinato e della Savoia per il nuovo governatore francese, François de Lorraine. Inserito nel contesto delle guerre d'Italia, che videro la conquista e lo smantellamento del Ducato di Savoia, esso ci permette di avvicinarci al modo in cui un territorio originario poté essere costituito e individuato in età moderna. Come oggetto, il Recueil et abbregé appare come una sistemazione intellettuale del territorio del Delfinato-­Savoia, offrendo all'occhio del governatore una visione dall'alto del territorio su cui esercita la sua autorità. La caratteristica principale di questo progetto è l'unione di due entità, che interrompe diversi secoli di antagonismo. L'esistenza del Delfinato-­Savoia viene così affermata, rappresentata e giustificata. Questo discorso è stato abbinato all'individuazione di alcune caratteristiche specifiche del territorio, che hanno contribuito alla sua definizione, delineando sulla carta un territorio singolare, uno spazio di apertura e chiusura al servizio dei Valois e delle loro ambizioni italiane. Ma questa costruzione intellettuale si realizzò malgrado le circostanze e il Delfinato-­Savoia divenne un territorio contrastato, un progetto politico senza una vera applicazione pratica sul terreno e al quale la restituzione della Savoia con il trattato di Cateau-­Cambrésis nel 1559 pose definitivamente fine.
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Crupi, Gianfranco. "Considerazioni preliminari sul riuso delle risorse digitali." DigItalia 18, no. 2 (2023): 15–23. http://dx.doi.org/10.36181/digitalia-00068.

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Il contributo intende introdurre il tema del riuso delle risorse digitali facendo riferimento alle più significative esperienze nazionali e internazionali e ad alcune criticità che limitano o impediscono di fatto la sua pratica nell’ambito dei beni culturali: la mancanza di integrazione tra piattaforme, le differenti modalità di accesso e di licenze d’uso, gli interessi economici, la tutela dei brevetti e i diritti di proprietà intellettuale che, nel caso dei vaccini, si è trasformata in un fattore socialmente e politicamente discriminante, gli impedimenti di carattere giuridico, ecc. D’altra parte il valore della Rete (talvolta anche il suo limite) è dato dalla continua rimodulazione dei contenuti, dalla loro continua disaggregazione e riaggregazione in nuove forme, che moltiplicano la conoscenza aprendola a nuovi contesti, producendo nuovi immaginari culturali, «nuovi set didattici» e di apprendimento.
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Capitano, Olimpia. "Pensare la storia del lavoro. A che punto siamo?" SOCIETÀ E STORIA, no. 175 (April 2022): 105–25. http://dx.doi.org/10.3280/ss2022-175004.

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L'autrice cerca di affrontare la questione del declino degli studi in materia di storia del lavoro a partire dagli anni settanta, fornendo una panoramica di alcuni passaggi fondamentali interni al dibattito intellettuale e adottando una prospettiva teorizzante. Emerge nel testo il carattere nodale del rapporto tra condizioni materiali e culturali, tra modo di praticare, pensare e parlare di lavoro. Per quanto riguarda l'evoluzione del dibattito contemporaneo è volutamente sottolineato il contributo fornito dall'area di interessi che definisce la global labour history che, attraverso un significativo ampliamento geografico, tematico e temporale dell'analisi, pone interessanti stimoli per allargare i parametri della ricerca senza assumere categorie analitiche tradizionali in chiave aprioristica. In questo senso è rilevata la nuova attenzione rivolta alla precarietà come oggetto-simbolo di una storiografia emancipata dalla centralità del lavoro salariato. Viene altresì sottolineata la centralità del binomio controllo/autonomia come chiave di lettura delle dinamiche di coercizione che attraversano molteplici relazioni lavoro libero e non libero.
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Lisini, Caterina. "Meditazioni sul luogo. La Valtiberina di Gian Franco Di Pietro." Firenze Architettura 26, no. 2 (2023): 178–87. http://dx.doi.org/10.36253/fia-14540.

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I lavori che a più riprese, nella sua cinquantennale attività, Gian Franco Di Pietro ha condotto sulla Valtiberina rivelano l’originalità e la ricchezza intellettuale della sua concezione nel rapporto tra architettura, insediamenti urbani e luogo. Un punto di vista che Di Pietro ricompone in un peculiare approccio unitariamente e intenzionalmente progettuale, a scala urbana, urbanistica e propriamente architettonica, tanto nella ricerca che nella didattica, nell’impegno politico-culturale e nella pratica professionale.
 The works which Gian Franco Di Pietro carried out on the Valtiberina, on various occasions during in his fifty years of activity, reveal the originality and intellectual depth of his conception of the relationship between architecture, urban settlements and place. A perspective that Di Pietro recomposes in a peculiar approach that is unified and intentionally design-oriented, applied on an urban, urban planning and specifically architectural scale, as much in his research as in his teaching, in his political-cultural commitment and his professional practice.
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Sebastiani, Giuseppe, and Annalisa Falcone. "Cultura e pratica psichiatrica nella medicina di base. Una indagine sui medici di Bari." Epidemiologia e Psichiatria Sociale 2, no. 3 (1993): 205–10. http://dx.doi.org/10.1017/s1121189x0000703x.

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RiassuntoScopo - Fornire informazioni sui rapporti tra medicina generale e psichiatria nelFItalia meridionale, facendo luce su attitudini, opinioni e comportamenti dei medici di base inerenti a problemi e situazioni di carattere psichiatrico o, in generale, emotivo. Disegno - Invio di un questionario contenente domande sulla gestione dei pazienti portatori di problemi psicologico/psichiatrici in relazione alle variabili demografiche e di formazione professionale dei medici stessi. Setting - Medicina di base di Bari. Principali misure utilizzate - Confronto fra le caratteristiche dei medici che hanno risposto al questionario e quelle della popolazione totale mediante il test del chi-quadrato nonché percentuali di risposte alle varie domande. Risultati - Ha restituito il questionario circa il 20% dei medici, fra i quali il numero di soggetti in possesso di specializzazione(-i) è significativamente maggiore che nella popolazione totale. Le attività formative in campo psichiatrico, ritenute necessarie dal 94% dei partecipanti, sono peraltro piu regolarmente praticate da non oltre il 13% degli stessi. Il 56% dei medici stima la morbilità psichiatrica nel 10-30% delle visite. Soltanto il 19% dei partecipanti è d'accordo nel considerare la legge 180 «un salto di qualita nell'assistenza del paziente psichiatrico». Il 53% dei medici inviano i pazienti allo psichiatra in meno del 10% dei casi (il 60% delle volte per problemi di tipo ansioso-depressivo). Nel 25% circa dei disturbi psicosomatici vengono prescritti antispastici, mentre «cerebroattivi» e «ricostituenti» sono utilizzati rispettivamente nel 75 e 23% delle condizioni di astenia psichica e scadimento della performance intellettuale. Conclusioni - La bassa percentuale di medici che hanno risposto al questionario limita la generalizzabilità dei dati ottenuti. In base al campione raccolto sembrano comunque doversi sottolineare la percezione della difficoltà di gestire il disagio emotivo (peraltro di comune riscontro nella pratica quotidiana), l'esigenza di disporre di piu ampie opportunita di formazione specifica e di coUaborazione con gli psichiatri (a fronte della scarsa integrazione attuale) e la necessità di una maggiore razionalizzazione dei trattamenti farmacologici.
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Ciliberti, Rosagemma, Chiara Bonzano, Paolo Petralia, et al. "Survey condotta tra gli studenti di Medicina e quelli di Scienze Sociali sulla donazione del corpo a fini di ricerca e didattica." Medicina e Morale 70, no. 4 (2021): 387–408. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2021.947.

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La legge italiana n. 10 febbraio 2020 “Norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica” mira a valorizzare la volontarietà della donazione del corpo (DC). In questo contesto assume rilievo il dibattito etico sul tema della donazione e sul suo significato profondo che pone in relazione la beneficialità con una visione relazionale dell’autonomia. Allo stesso tempo, non si possono trascurare le forti valenze simboliche che vengono attribuite al corpo. L’attuazione pratica della DC richiede, quindi, una strategia formativa ampia, capace di sviluppare l’assunzione di responsabilità rispetto al presente e alle generazioni future. In considerazione dell’importante ruolo che i medici, le professioni sanitarie e quelle sociali possono assumere nel promuovere tale pratica, è stata condotta un’indagine diretta a fare emergere le conoscenze e le convinzioni, presenti in tale ambito, tra gli studenti appartenenti alla Scuola Scienze Mediche e Farmaceutiche (SMF) e quelli frequentanti la Scuola di Scienze Sociali (SSS), nonché ad analizzare eventuali fattori che possono influenzare la DC. L’indagine ha evidenziato importanti carenze informative e formative su temi inerenti la cura, la donazione e il rispetto delle persone. Tali carenze risultano particolarmente significative per gli studenti appartenenti alla SMF che, quali futuri medici, potranno costituire un riferimento fondamentale per la diffusione della DC. Investire risorse economiche e intellettuali sulla competenza etica degli studenti può risultare un fattore di grande rilievo affinché la DC si configuri come una scelta responsabile, consapevole ed effettivamente praticata.
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Mantovani, Mauro. "La “filosofia” del Proemio di Veritatis gaudium, vent’anni dopo Fides et ratio." Salesianum 81, no. 1 (2019): 27–46. https://doi.org/10.63343/cu2263sq.

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Il contributo, esattamente vent’anni dopo la pubblicazione della Lettera enciclica Fides et ratio circa i rapporti tra fede e ragione, intende evidenziare alcuni elementi concernenti la riflessione e la pratica filosofica, e il suo rapporto con le altre discipline, all’interno della proposta dei quattro criteri di fondo «per un rinnovamento e un rilancio del contributo degli studi ecclesiastici a una Chiesa in uscita missionaria» che Papa Francesco elenca al n. 4 della Costituzione apostolica Veritatis gaudium (dicembre 2017) circa le università e le facoltà ecclesiastiche. In modo particolare ci si sofferma sul primo criterio, prioritario e permanente, «della contemplazione e della introduzione spirituale, intellettuale ed esistenziale nel cuore del kerygma, e cioè della sempre nuova e affascinante lieta notizia del Vangelo di Gesù». Dal Proemio di Veritatis gaudium è possibile, infatti, quasi “tratteggiare una filosofia” (come “visione sapienziale”) che può essere offerta in chiave di contributo di elaborazione di pensiero e di azione alla società di oggi, in un momento in cui emerge sempre più di fronte ai nostri occhi, come ricorda il Pontefice, «una grande sfida culturale, spirituale ed educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione».
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Pietrzak-Thébault, Joanna. "Drukowane "artes memoriae" – wsparcie dla pamięci czy obraz świata?" Acta Universitatis Lodziensis. Folia Litteraria Romanica, no. 8 (December 30, 2013): 89–100. https://doi.org/10.18778/1505-9065.8.08.

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La memoria fin dai tempi antichi veniva considerata non solo una capacità utile a chi praticava un lavoro intellettuale ma era vista anche come una virtù morale che permetteva di trasmettere e di salvaguardare l’eredità spirituale dell’umanità. Le "artes memoriae" conobbero uno sviluppo particolare durante tutto il medioevo e l’arrivo della stampa non significò affatto un loro declino. Durante tutto il Cinquecento i trattati venivano stampati in tutta Europa, accompagnati spesso da illustrazioni destinate ad aiutare la “fissazione” dei "loci". Un accesso più ampio al libro stampato spinse pure gli autori a produrre le versioni dei trattati nelle lingue volgari. Tommaso Garzoni nella sua descrizione delle professioni e degli stati più diversi dà, sul finire del secolo ("La Piazza universale di tutte le professioni del mondo", prima edizione 1585), un ruolo importante ai professori di memoria e Lodovico Dolce, uno dei più moderni e prolifici collaboratori editoriali vide il suo dialogo sulla memoria (un adattamento del "Congestiorum artificiosae memoriae" di Johannes Romberch) ristampato ben quattro volte (negli anni 1562–1586). Il testo è ancora oggi uno dei più diffusi nelle collezioni dei libri antichi, in Italia e all’estero. Il paradossale ruolo della stampa, quello di mantenere l’uso delle idee più diffuse e più tradizionali attraverso una nuova tecnologia, si fa notare in questo caso in modo particolarmente palese. Quando invece l’arte della memoria cessa di essere semplice strumento di lavoro e specchio fedele di un mondo conosciuto e ordinato, quando essa viene percossa dalle ambizioni di capire il mondo, di penetrare i suoi misteri, di trovare le parentele con la cabala e con le pratiche combinatorie, allora comincia tutta un’altra storia, quella di voler creare mondi artificiali e anche quella della modernità delle scienze.
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Birocchi, Italo. "La fase attardata in cui è rimasto il Codice Civile italiano. Una felix culpa per la scienza giuridica degli anni dieci del novecento. Il giurista come intellettuale." Revista da Faculdade de Direito, Universidade de São Paulo 112 (August 28, 2018): 439–84. http://dx.doi.org/10.11606/issn.2318-8235.v112i0p439-484.

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Il saggio esamina l’affermazione della scienza giuridica italiana agli inizi del Novecento. Il processo di affermazione prende avvio con la crisi del modello liberale fondato sul codice civile, verso la fine dell’Ottocento, ma è soprattutto nel decennio della Grande Guerra che giunge a maturazione. Le diverse discipline giuridiche si rendono autonome dalla civilistica e si specializzano dandosi strumenti espressivi propri (riviste di settore; manuali). Mentre si specializzano, le diverse discipline predicano di essere accomunate dal metodo, che si asserisce essere scientifico perché depurato dalla storia e dalle ideologie. Perciò se ne accredita anche la neutralità. E però l’asserita neutralità della scienza giuridica non toglie, ed anzi implica, che il giurista si rivolga alla pratica e sia impegnato civilmente e nella politica (si teorizza anzi che compito del giurista sia quello di proporsi come legislatore, per incidere nel sociale). Queste linee generali di emersione della scienza giuridica vengono in particolare confrontate attraverso le figure di sei grandi giuristi nella loro formazione giovanile, considerati appunto ciascuno nel rispettivo specialismo disciplinare e nell’unità del metodo (Asquini, Betti, Calamandrei, Jemolo, Mossa, Vassalli).
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White, Samuel, and Ikhwan Fazli. "Pax Britannica: a case study of pre-Hague Imperial laws of war*." Military Law and the Law of War Review 62, no. 2 (2024): 143–88. https://doi.org/10.4337/mllwr.2024.02.01.

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This article addresses the legal frameworks around violence mitigation in international armed conflicts as practiced by the late British Empire through the lens of broader trends across its pre-Hague external conflicts, as opposed to merely specific regions or wars in isolation. It acknowledges the need for a robust methodology to tackle the shifting and ad hoc treatment of non-Western peoples by late Imperial actors and commanders with decision-making capacity, particularly against the backdrop of our increasing public access to their correspondence and ordinances to subordinates. While traditional accounts have rejected the application of international laws of war to external conflicts against non-Western peoples, this paper contends that this preclusive method does not reconcile with the actual conduct of certain colonial commanders ‘on the spot’ across the British Empire’s frontiers. Accordingly, the paper is structured into two parts. The first introduces and explores the concept and development of international laws of war and considers how a practice-oriented approach based on longitudinal British Imperial practices is needed to sufficiently investigate the porous and contested aspects of international legal history. The second, with the methodology that has been outlined, then examines three prospective British Imperial customary laws of war by drawing and comparing secondary commentary and specific examples of wartime conduct: prohibitions on summary executions; sexual violence; and perfidy. By clearing away the ‘intellectual rubble’ to more holistically assess the legal frameworks at the time, it is hoped that the paper can facilitate an in-depth discussion of possible colonial war crimes including the consideration of further potential customs including prohibitions on brigandry, slavery, and the looting of cultural property. Cet article aborde les cadres juridiques relatifs à l’atténuation de la violence dans des conflits armés internationaux telle que pratiquée par l’Empire britannique tardif sous l’angle de tendances générales observées dans ses conflits extérieurs antérieurs au traité de La Haye, plutôt que dans des régions ou des guerres spécifiques prises isolément. Il reconnaît la nécessité d’une méthodologie solide pour aborder le traitement changeant et ad hoc des peuples non occidentaux par les acteurs de l’époque impériale tardive et les commandants ayant une capacité de prise de décision, en particulier dans le contexte de notre accès public croissant à leur correspondance et aux ordonnances adressées à leurs subordonnés. Alors que les comptes rendus traditionnels ont rejeté l’application du droit de la guerre international aux conflits externes contre des peuples non occidentaux, cet article soutient que cette méthode limitative n’est pas conciliable avec la conduite réelle de certains commandants coloniaux sur le terrain au-delà des frontières de l’Empire britannique. En conséquence, cet article est structuré en deux parties. La première introduit et explore le concept et le développement du droit de la guerre international et met en lumière le fait qu’une approche orientée sur la pratique basée sur les pratiques longitudinales de l’Empire britannique est nécessaire pour étudier suffisamment les aspects poreux et contestés de l’histoire du droit international. La deuxième partie, qui s’appuie sur la méthodologie décrite précédemment, examine ensuite trois lois coutumières de la guerre de l’Empire britannique en formulant et en comparant des commentaires secondaires et des exemples spécifiques de conduite en temps de guerre: les interdictions relatives aux exécutions sommaires, aux violences sexuelles et à la perfidie. En écartant les «blocages intellectuels» pour évaluer de manière plus globale les cadres juridiques de l’époque, nous espérons que ce document pourra faciliter une discussion approfondie sur les éventuels crimes de guerre coloniaux, y compris l’examen d’autres coutumes potentielles, notamment les interdictions relatives au brigandage, à l’esclavage et au pillage des biens culturels. Dit artikel bekijkt de juridische kaders rond matiging van geweld in internationale gewapende conflicten, zoals die op het eind werden toegepast door het Britse rijk, door de lens van de bredere trends die zijn externe conflicten van vóór de Haagse Conventie kenmerken, in tegenstelling tot louter specifieke regio’s of geïsoleerde oorlogen. Het erkent de behoefte aan een robuuste methodologie om het te hebben over de wisselende en ad-hocbehandeling van niet-westerse volkeren door actoren en bevelhebbers met beslissingsbevoegdheid tijdens de laatste jaren van het Britse rijk, vooral tegen de huidige achtergrond van toenemende publieke toegang tot hun correspondentie en ordonnanties aan ondergeschikten. Terwijl traditionele verslagen de toepassing van het internationale oorlogsrecht op externe conflicten tegen niet-westerse volkeren hebben verworpen, betoogt dit artikel dat deze methode van uitsluiting niet in overeenstemming is met het feitelijke gedrag van bepaalde koloniale bevelhebbers ‘ter plaatse’, buiten de grenzen van het Britse rijk. De paper bestaat bijgevolg uit twee delen. Het eerste introduceert en verkent het concept en de ontwikkeling van het internationale oorlogsrecht en gaat na in welke mate een praktijkgerichte benadering op basis van longitudinale praktijken uit het Britse rijk nodig is om de poreuze en betwiste aspecten van de internationale rechtsgeschiedenis voldoende te onderzoeken. In het tweede deel onderzoekt de auteur volgens de geschetste methodologie drie oorlogswetten uit het gewoonterecht van het Britse rijk door secundaire literatuur en specifieke voorbeelden van oorlogshandelingen te verzamelen en te vergelijken: het verbod op standrechtelijke executies, seksueel geweld en perfidie. Door het ‘intellectuele puin’ weg te ruimen om zo de juridische kaders van die tijd op een meer holistische wijze te beoordelen, hoopt de auteur met deze paper een diepgaande discussie over mogelijke koloniale oorlogsmisdaden te vergemakkelijken, inclusief het bestuderen van andere latere gewoonten, zoals het verbod op struikroverij, slavernij en het plunderen van culturele eigendom. Este artículo aborda los marcos legales en torno a la atenuación de la violencia en los conflictos armados internacionales tal como los practicaba el último Imperio Británico a través de la lente de tendencias más amplias en sus conflictos externos anteriores a La Haya, en contraposición a regiones meramente específicas o guerras aisladas. Se reconoce la necesidad de una metodología sólida para abordar el trato cambiante y ad hoc de los pueblos no occidentales por parte de los actores y de los últimos comandantes imperiales con capacidad de toma de decisiones, particularmente en el contexto del creciente acceso público a su correspondencia y a las ordenanzas impartidas a sus subordinados. Si bien los relatos tradicionales han rechazado la aplicación de las leyes internacionales de la guerra a los conflictos externos contra pueblos no occidentales, este artículo sostiene que este método excluyente no se reconcilia con la conducta real de ciertos comandantes coloniales “sobre el terreno” a lo largo de las fronteras del Imperio Británico. En consecuencia, el artículo se estructura en dos partes. La primera introduce y explora el concepto y el desarrollo del derecho internacional de la guerra y considera cómo se necesita un enfoque orientado a la práctica basado en prácticas imperiales británicas longitudinales para investigar suficientemente los aspectos porosos y controvertidos de la historia jurídica internacional. La segunda, con la metodología que se ha esbozado, examinándose tres posibles leyes consuetudinarias de guerra imperiales británicas, extrayendo y comparando comentarios secundarios y ejemplos específicos de conducta en tiempo de guerra: prohibiciones de ejecuciones sumarias; violencia sexual; y perfidia. Al remover los “escombros intelectuales” para evaluar de manera más integral los marcos legales de la época, se espera que el documento pueda facilitar una discusión en profundidad sobre posibles crímenes de guerra coloniales, incluida la consideración de otras posibles costumbres, incluidas las prohibiciones del bandolerismo, la esclavitud y el saqueo de bienes culturales. Questo articolo valuta i riferimenti normativi relativi alla mitigazione della violenza nei conflitti armati internazionali cosi come applicati dal tardo Impero britannico prendendo in considerazione le più ampie tendenze nei suoi conflitti esterni precedenti all’Aia, rispetto a specifiche regioni o a guerre combattute in autonomia. L’articolo riconosce la necessità di una solida metodologia per affrontare il trattamento mutevole e ad hoc riservato ai popoli non occidentali da parte degli attori e dei comandanti con capacità decisionale del tardo Impero, in particolare nello scenario di un crescente accesso pubblico alla loro corrispondenza e alle ordinanze ai subordinati. Mentre i resoconti tradizionali hanno respinto l’applicazione delle leggi internazionali di guerra ai conflitti esterni contro i popoli non occidentali, il presente documento sostiene che questo metodo preclusivo non si concilia con l’effettiva condotta di alcuni comandanti coloniali presenti in loco lungo le frontiere dell’Impero britannico. Di conseguenza, l’articolo è strutturato in due parti. La prima introduce ed esamina il concetto e lo sviluppo delle leggi internazionali di guerra e considera come un approccio orientato alla pratica, basato sulle pratiche imperiali britanniche nel tempo, sia necessario per indagare sufficientemente gli aspetti lacunosi e contestati della storia giuridica internazionale. La seconda parte, tenendo in considerazione la metodologia delineata, esamina tre leggi consuetudinarie di guerra dell’Impero britannico, attingendo e confrontando testimonianze ed esempi specifici di condotta bellica: divieti di esecuzioni sommarie, violenza sessuale e crudeltà. Rimuovendo i “bias intellettuali” per valutare in modo olistico i riferimenti normativi dell’epoca, si spera che tale documento possa facilitare una discussione approfondita sui possibili crimini di guerra coloniale, compresa la considerazione di ulteriori potenziali consuetudini, tra cui i divieti di brigantaggio, di schiavitù e il saccheggio di beni culturali. Dieser Artikel befasst sich mit den rechtlichen Rahmen zur Eindämmung von Gewalt in internationalen bewaffneten Konflikten, wie sie vom Britischen Empire in seiner Spätphase angewandt wurden, und betrachtet sie aus der Perspektive größerer Tendenzen, die seine externen Konflikte vor dem Haager Abkommen kennzeichnen, im Gegensatz zu lediglich spezifischen Regionen oder isolierten Kriegen. Im Artikel wird die Notwendigkeit einer robusten Methodologie anerkannt, um die wechselnde und Ad-hoc-Behandlung nicht westlicher Völker durch die Akteure und Befehlshaber mit Entscheidungskompetenz in der Spätphase des Britischen Empire, insbesondere vor dem gegenwärtigen Hintergrund des zunehmenden öffentlichen Zugangs zu ihrer Korrespondenz und ihren Anordnungen an Untergebene, anzusprechen. Während traditionelle Berichte die Anwendung des internationalen Kriegsrechts auf externe Konflikte gegen nicht westliche Völker abgelehnt haben, wird in diesem Artikel argumentiert, dass diese ausschließende Methode nicht übereinstimmt mit dem tatsächlichen Verhalten bestimmter Kolonialbefehlshaber „vor Ort“, außerhalb der Grenzen des Britischen Empire. Dementsprechend ist dieses Paper in zwei Teile gegliedert. Im ersten Teil werden das Konzept und die Entwicklung des internationalen Kriegsrechts vorgestellt und untersucht, und wird erörtert, wie ein praxisorientierter Ansatz auf der Grundlage longitudinaler Praktiken des Britischen Empire notwendig ist, um die porösen und umstrittenen Aspekte der internationalen Rechtsgeschichte ausreichend zu erforschen. Danach untersucht der zweite Teil, nach der erwähnten Methodologie, drei Kriegsgesetze aus dem Gewohnheitsrecht des Britischen Empire, indem sekundäre Kommentare und spezifische Beispiele des Verhaltens in Kriegszeiten herangezogen und verglichen werden: Verbote von standrechtlichen Hinrichtungen, sexueller Gewalt und Heimtücke. Indem der „intellektuelle Schutt“ zwecks einer mehr holistischen Beurteilung der damaligen rechtlichen Rahmen weggeräumt wird, hofft der Autor, mit diesem Paper gründliche Erörterungen über mögliche koloniale Kriegsverbrechen zu fördern, einschließlich der Prüfung weiterer möglicher Gewohnheiten, wie Verbote der Räuberei, der Sklaverei und der Plünderung von Kulturgütern.
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RINCÓN, Jorge Enrique García. "De Estero en Estero : Construcciones Educativas de las Comunidades Negras del Pacífico Sur Colombiano en Medio del Conflicto Armado." INTERRITÓRIOS 6, no. 12 (2020): 244. http://dx.doi.org/10.33052/inter.v6i12.248999.

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RESUMENEste artículo se ocupará de los procesos académicos, sociales, culturales y políticos que dieron origen a un movimiento intelectual y pedagógico del Pacifico Sur colombiano, con especial énfasis en los territorios afronariñenses. Vale aclarar que en materia de obras escritas se destacan los pensadores negros del departamento del Chocó quienes, incursionaron en el siglo XX en variados campos del conocimiento y desarrollaron una crítica fuerte al sistema de enseñanza nacional. En cambio, las experiencias educativas surgidas en la cotidianidad de los pueblos negros del suroccidente colombiano, se incubaron y consolidaron en los valles interandinos (norte del Cauca y sur del Valle), así como en Buenaventura y la Costa de Nariño. Estas subregiones, especialmente la costa del departamento de Nariño, asumieron la escuela como escenario para la eclosión del pensamiento ancestral afrocolombiano y las tradiciones culturales de sus pueblos en un intento por concretar en la práctica una ecuación política que involucra la Territorialidad como práctica de la educación.Costa de Nariño. Etnoeducación. Sistema de educación propia. comunidades afronariñenses. Territorialidad. Conflicto armado. ABSTRACTThis article will deal with the academic, social, cultural and political processes that gave rise to an intellectual and pedagogical movement in the Colombian South Pacific, with special emphasis on the Afro-Afro territories. It is worth clarifying that in terms of written works, the black thinkers of the department of Chocó stand out, who ventured into various fields of knowledge in the 20th century and developed a strong criticism of the national education system. On the other hand, the educational experiences that emerged in the daily life of the black peoples of southwestern Colombia were incubated and consolidated in the inter-Andean valleys (north of Cauca and south of the Valley), as well as in Buenaventura and the Costa de Nariño. These subregions, especially the coast of the department of Nariño, assumed the school as the setting for the emergence of Afro-Colombian ancestral thought and the cultural traditions of their peoples in an attempt to put into practice a political equation that involves Territoriality as a practice of education.Costa de Nariño. ethno-education. self-education system. afronariñenses communities. Territoriality. Armed conflict. RESUMOEste artigo discutirá aspectos acadêmicos, sociais, culturais e políticos que deram origem a um movimento intelectual e pedagógico no Pacífico Sul colombiano, com especial ênfase para os territórios de afronariñenses. Vale ressaltar que, em termos de obras escritas se destacam os pensadores negros do departamento de Chocó, que influenciaram no século XX, em diferentes áreas do conhecimento e desenvolveram uma forte crítica do sistema de educação nacional. Por outro lado, as experiências educativas que surgiram da cotidianidade dos povos negros do sudoeste colombiano, incubaram e se consolidaram nos vales interandinos (norte de Cauca e sul do Valle), bem como em Buenaventura e a costa de Nariño. Estas sub-regiões, especialmente a costa do departamento de Nariño, assumiram a escola como cenário para o surgimento do pensamento ancestral afro-colombiano e das tradições culturais de seus povos na tentativa de concretizar na prática, uma educação política que envolve a Territorialidade como prática de educação.Costa de Nariño. Etno-educação. Educação Própria. Comunidades afronarinenses. Territorialidade. Conflito armado.SOMMARIOQuesto articolo tratterà dei processi accademici, sociali, culturali e politici che hanno dato origine a un movimento intellettuale e pedagogico nel Sud Pacifico colombiano, con un'enfasi speciale sui territori afro-afro. Vale la pena chiarire che in termini di opere scritte, spiccano i pensatori neri del dipartimento di Chocó, che si sono avventurati in vari campi del sapere nel XX secolo e hanno sviluppato una forte critica al sistema educativo nazionale. D'altra parte, le esperienze educative emerse nella vita quotidiana dei popoli neri della Colombia sud-occidentale sono state incubate e consolidate nelle valli interandine (a nord di Cauca ea sud della valle), così come a Buenaventura e la Costa de Nariño. Queste sottoregioni, in particolare la costa del dipartimento di Nariño, hanno assunto la scuola come scenario per l'emergere del pensiero ancestrale afro-colombiano e delle tradizioni culturali dei loro popoli nel tentativo di mettere in pratica un'equazione politica che coinvolge la territorialità come pratica educativa.Costa di Nariño. Etnoeducazione. Sistema educativo proprio. Comunità africane. Territorialità. Conflitto armato.
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La Martire, Corrado. "What is the Arabic for zoon politikon? Ethics and politics in Ibn Tufayl (d. 581/1185)." Doctor Virtualis, no. 17 (May 14, 2022): 79–105. http://dx.doi.org/10.54103/2035-7362/17829.

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È possibile delineare due filoni interpretativi sul Hayy b. Yaqzān (Il vivente, figlio del desto) di Ibn Tufayl: secondo l’uno, l’opera è uno sguardo realistico su un solitario in una società corrotta e si ispira agli insegnamenti della Repubblica di Platone; secondo l’altro, l’opera ritrae un ideale puro e astratto di vita ascetica e insiste sull’imperativo morale dell’isolamento.Tuttavia entrambe queste interpretazioni precludono qualsiasi possibilità di felicità per l’uomo o per il filosofo all’interno di una società. In altre parole, tendono a interpretare Hayy b. Yaqzān come un tentativo di dimostrare che l’uomo non sia sociale o politico. La perfezione intellettuale e spirituale ricercata attraverso l’isolamento non può, a mio parere, essere separata da uno scopo pratico. L’isolamento del filosofo non viene praticato per distinguersi dalle società imperfette. Al contrario, tale isolamento è intrapreso per condurlo ad una realizzazione più alta e propriamente pratica.Su questa base, sostengo nell’articolo che l’uomo di Ibn Tufayl sia paragonabile allo ζῷον πολιτικόν aristotelico. Attraverso un confronto tra il Hayy di Ibn Tufayl e lo ζῷον πολιτικόν di Aristotele vedremo come Ibn Tufayl si serva dell’animale sociale/politico arabo (hayawān insī o madanī) di al-Fārābī e lo trasponga dal dominio della città a quello dell’individuo.Analizzando alcuni passaggi chiave, è possibile chiarire come il concetto di ζῷον πολιτικόν sia entrato nella filosofia araba e in particolare nella concezione di uomo di Ibn Tufayl attraverso il virtuoso di al-Fārābī e il solitario di Ibn Bājja.
 Prevailing academic views on Ibn Tufayl’s Hayy b. Yaqzān (Living, the Son of Wakeful) fall into two camps: either the work is a realistic look at an isolated human being amidst a morally bankrupt population and harks back to the teachings of Plato’s Republic, or it portrays a pure and abstract ideal of the spiritual life in the footsteps of the natural first man, and insists on the moral imperative of isolation. The difficulty with both interpretations is that they preclude any possibility of happiness for the human person or the philosopher living in a society. In other words, they tend to interpret Hayy b. Yaqzān as an attempt to demonstrate that the human is not essentially social or political. However, the intellectual and spiritual perfection sought through isolation cannot, in my opinion, be separated from a practical purpose. The isolation of the philosopher is not undergone to distinguish himself from imperfect human societies. On the contrary, such isolation is undertaken in order to lead one to a higher, and properly practical accomplishment.On this basis, I argue in this paper that Ibn Tufayl’s man is comparable to the Aristotelian ζῷον πολιτικόν. Through a comparison of Ibn Tufayl’s Hayy and Aristotle’s ζῷον πολιτικόν we shall see how Ibn Tufayl reuses the Arabic social/political animal (hayawān insī or madanī) of al-Fārābī and transposes it from the domain of the city to that of the individual. By analysing some key passages, it becomes possible to illustrate how the concept of ζῷον πολιτικόν has entered Arabic philosophy, and particularly in Ibn Tufayl’s conception of man through the lenses of al-Fārābī’s virtuous and Ibn Bājja’s solitary man.
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da Empoli, Domenico. "The Italian Law for the Protection of Competition and the Market." Journal of Public Finance and Public Choice 8, no. 2 (1990): 69–78. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907344956.

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Abstract Gli studi attinenti alla «politica della concorrenza” sono uno dei settori nei quali da maggior tempo collaborano economisti e giuristi, dato che, in assenza di questa cooperazione, i soli strumenti di cui dispone l’economista, senza quelli del giurista, non sono sufficienti ad interpretare ed applicare le norme antitrust.Soprattutto sulla spinta di queste esigenze si è sviluppato nelle Università americane l’insegnamento di corsi di «Law and Economics», disciplina ormai consolidata.Da un punto di vista intellettuale, pertanto, non vi è dubbio che il tema della concorrenza sia di particolare interesse.Peraltro, già da qualche tempo le opinioni degli studiosi circa gli effetti della politica della concorrenza e, quindi, sull’opportunità di introdurre una specifica legge al riguardo e, poi, di applicarla in modo rigoroso, non sono molto concordi.L’atteggiamento critico nei riguardi dell’intervento pubblico che caratterizza l’epoca attuale e che si può sintetizzare nella nozione di «fallimento dello Stato», non ha risparmiato neppure la politica della concorrenza, sui cui effetti sono state avanzate, e permangono, numerose incertezze.Peraltro, se un atteggiamento critico poteva avere un suo fondamento apprezzabile nei momento in cui si discuteva dell’opportunity o meno di introdurre questa legge, non vi è dubbio che, una volta che questa sia entrata in vigore, essa debba essere oggetto di studio, sempre critico, ma costruttivo.Per questo motivo, è apparsa molto utile la pubblicazione su questo numero di Economia delle Scelte Pubbliche degli atti di un convegno internazionale, organizzato a Reggio Calabria nei dicembre del 1990 dall’Istituto Superiore Europeo di Studi Politici, che ha avuto come oggetto la nuova legge italiana della concorrenza, confrontata con le normative già in vigore presso altri Paesi OCSE, oltre che con la normativa CEE.Assieme ai testi delle relazioni, viene anche pubblicato il testo della legge, sia nella traduzione inglese che in quella francese (ambedue non ufficiali).L’ordine di pubblicazione dei diversi contributi segue il seguente schema: dopo questa presentazione della legge italiana, segue l’articolo di Claudio Menis sulle relazioni tra legislazione CEE e legge italiana. Successivamente, vengono pubblicati (seguendo l’ordine alfabetico per paese) gli scritti che riflettono valutazioni della legge italiana alla luce dell’esperienza nazionale di ciascuno dei Paesi OCSE rappresentati: Belgio (van Meerhaeghe), Francia (Charrier), Germania (Ruppelt), Spagna (Canivell), Svizzera (Baldi) e Regno Unito (Howe).Infine, un articolo di Eric Lacey confronta i lineamenti essenziali della struttura della legge italiana con quelli della media dei Paesi OCSE.La presentazione della legge italiana, non è compito facile per un economista, per la necessità di ricorrere a termini giuridici molto specialistici.La legge considera tre principali fattispecie che sono suscettibili di danneggiare la concorrenza: i cartelli che restringono la libertà di concorrenza, l’abuso di posizione dominante e le concentrazioni.I «cartelli” (o «intese») sono definiti dalla legge come «gli accordi e/o le pratiche concordati tra le imprese, nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari». Esse sono vietate quando «abbiano per oggetto, o per effetto, di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante” (art. 1).L’«abuso di posizione dominante” è vietato dall’art. 3, che include anche una casistica, peraltro non del tutto esauriente, circa situazioni identificabili come abuso di posizione dominante.Le «operazioni di concentrazione», d’altra parte, hanno luogo, secondo l’art. 5, «quando due o più imprese procedono a fusione», «quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un’impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente o indirettamente [...], il controllo dell’insieme o di parti di una o più imprese», e «quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un’impresa comune». Sulla base dell’art. 6, tali operazioni sono vietate quando costituiscono o rafforzino una posizione dominante sul mercato.L’organo che ha il compito di garantire l’appHcazione della legge è l’Autorità, che è stata creata appositamente e che è composta da quattro membri, più il presidente, nominati sulla base di una determinazione adottata d’intesa dai presidenti dei due rami del Parlamento.Una caratteristica fondamentale del nuovo organo per la tutela della concorrenza è la sua indipendenza dal potere politico, che viene attenuata soltanto a proposito delle operazioni di concentrazione. Come afferma, infatti, l’art. 25, il Consiglio dei Ministri può elaborare criteri di carattere generate che autorizzino operazioni che sarebbero vietate ai sensi dell’art. 6 e, inoltre, può anche vietare specifiche operazioni di concentrazione qualora vi partecipino «enti o imprese di Stati che non tutelano l’indipendenza degli enti o delle imprese con norme di effetto equivalente a quello dei precedenti titoli o applicano disposizioni discriminatorie o impongono clausole aventi effetti analoghi nei confronti di acquisizioni da parte di imprese o enti italiani».Oltre ai poteri d’istruttoria e decisione nei riguardi delle tre fattispecie di cui si è detto, con la possibilità d’imporre anche sanzioni pecuniarie, l’Autorità ha anche poteri conoscitivi e consultivi, sulla cui base può esprimere pareri, o di sua iniziativa o su richiesta del presidente del Consiglio dei Ministri.
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Lorenzo, Di Maria, and Ferretti Andrea. "Discussione di L. De Fiore, Risposte pratiche, risposte sante. Pasolini, il tempo e la politica (Castelvecchi Editore 2018)." Lo Sguardo 26 (September 23, 2018). https://doi.org/10.5281/zenodo.1433936.

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L&rsquo;ultimo libro di Luciano De Fiore, <em>Risposte pratiche risposte sante. Pasolini, il tempo e la politica</em>, propone una lettura trasversale dell&rsquo;opera e delle vicende biografiche di uno dei pi&ugrave; studiati e influenti intellettuali italiani del secolo scorso. Dai tempi di Casarsa e dei primi versi friulani all&rsquo;analisi dei pi&ugrave; noti <em>scritti corsari</em>, il testo di De Fiore rispetta l&rsquo;eclettismo e la complessit&agrave; dell&rsquo;opera pasoliniana grazie ad un metodo che sa tenere insieme filosofia, letteratura e psicanalisi, senza tralasciare l&rsquo;importanza dei rapporti con istituzioni quali il PCI e la Chiesa cattolica. La tesi di fondo del libro &egrave; quella per cui non si possa render conto del pensiero e delle proposte politiche di Pasolini senza affrontare rigorosamente la sua concezione del tempo, della realt&agrave; e della storia. Proprio sulla base di questa chiave &egrave; cos&igrave; possibile ricostruire, riattualizzare e rilanciare nell&rsquo;oggi alcune delle intuizioni pi&ugrave; profonde del poeta, nonostante (o forse soprattutto) la loro indubbia problematicit&agrave;.
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Scaramellini, Guglielmo. "Coltura della vite, produzione e commercio del vino in Valtellina (secoli IX-XVIII)." Territori del vino in Italia, no. 6 (March 1, 2014). http://dx.doi.org/10.58335/territoiresduvin.829.

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La specializzazione vitivinicola della Valtellina (Alpi Retiche, Lombardia, Italia) è una costante che ha caratterizzato le vicende della valle e del suo popolamento fin dal suo affacciarsi alla storia documentata. Peculiarità che si è affermata nel tempo con la sistemazione del versante retico (esposto a sud e dalle condizioni ambientali favorevoli alla vite, ma impervio), mediante l’opera ciclopica e plurisecolare di terrazzamento artificiale, che ha promosso lo sviluppo di una vitivinicoltura di qualità dall’Alto Medioevo (nei possessi di grandi monasteri o enti ecclesiastici), pur con momenti di crisi per motivi ambientali, economici, bellici, fitopatologici. La specificità di questi terrazzamenti risiede nell’espansione areale, continuità territoriale, estensione altimetrica, intensità costruttiva, antichità cronologica, durata temporale: caratteri che si sostanziano in una quantità e qualità dei manufatti tale da costituire un unicum nell’intero sistema alpino.La realizzazione dei terrazzamenti ha prodotto la totale artefazione del territorio del versante retico, rendendolo grandemente produttivo e generando uno scarto tra valore naturale dei suoli (spesso nullo, essendo nuda roccia) e loro capacità produttiva, dando vita a una filiera economica (coltura - vinificazione - commercio) che ha dominato la vita locale dal XV secolo al XX.Le pratiche agronomiche di costruzione e uso dei terrazzamenti viticoli, in quanto basilari nell’organizzazione economica e sociale, sono state essenziali per la formazione e l’esistenza della società valtellinese, imprimendole speciali caratteri e connettendone tutte le componenti: i coltivatori, impegnati nella realizzazione dei manufatti con cospicue forme di auto-sfruttamento; i proprietari, la cui ricchezza dipendeva dalle rendite fondiarie della sovra-produzione ottenuta su terreni poveri e scarsi; i professionisti (medici, avvocati, notai), artigiani e artisti, non legati alla terra, traevano i loro guadagni dalla ricchezza messa in circolazione dalla domanda di beni e servizi dei proprietari fondiari. Tutte le espressioni della società, perciò, sono state legate al fenomeno del terrazzamento artificiale: giuridiche (contratti agrari) e agronomiche (tipologie colturali, sistemi produttivi, cicli ergonomici), “cultura materiale” contadina (dimora, edifici utilitari come i torchi comunitari, attrezzi del lavoro), infrastrutture (mobilità viaria, controllo delle acque), edilizia civile e religiosa; dalle difficili condizioni di vita degli agricoltori al benessere dei proprietari, tutto è dipeso, fino a un passato recente, dal plusvalore che solo il terrazzamento artificiale di ambienti morfologicamente ostili consentiva all’agricoltura locale tramite la coltivazione della vite e la produzione di vini di qualità. Il principale mercato di sbocco è stato sempre a Nord delle Alpi, soprattutto dopo l’aggregazione alle Leghe Grigie (1512-1797).Di tale caratteristica testimoniano non solo la documentazione d’archivio, ma anche una bibliografia molto varia, opera di studiosi, letterati e intellettuali di vario rilievo, italiani e stranieri (da Leonardo da Vinci a Matteo Bandello a Conrad Ferdinand Meyer a Hermann Hesse), che hanno contribuito alla diffusione europea della fama del vino di Valtellina secondo un modello basato su fama, eccellenza, valore economico, territorialità del prodotto (armonia col terroir e i suoi caratteri peculiari).
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Leles, Robson Felipe dos Santos, Polyanne Junqueira Silva Andresen Strini, Paulinne Junqueira Silva Andresen Strini, Simone Cristina Putrick, Euzebio Oliveira, and Carla Viana Dendasck. "Importanza della conoscenza dell’anatomia umana di educazione fisica." Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento, December 12, 2017, 21–40. http://dx.doi.org/10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/salute/anatomia-umana.

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Entrambe le aree di educazione fisica e di anatomia umana del mondo approccio legate allo studio e al funzionamento del corpo umano, con punti in comune ha dimostrato in tutta la storia dell’umanità. In questo modo, lo scopo di questo studio è di valutare l’importanza della conoscenza dell’anatomia umana per il corso di educazione fisica. Per questo, una recensione descrittiva della letteratura, per mezzo di ricerca su basi di dati elettroniche della biblioteca virtuale della salute (BVS), lillà, Medline, Scielo, Cochrane, Pepsic, Pubmed e Google Scholar. La selezione di articoli scientifici si tenne negli ultimi 10 anni, contemplando la produzione scientifica tra il 2006 e il 2016, utilizzando terminologie registrati in descrittori di Scienze di salute (DECS), la ricerca avanzata e i termini in Portoghese e inglese, come: “Anatomia” o “anatomia umana” e “educazione fisica” e “anatomy” o “human anatomy” e “physical education”. Prima gli studi presentati, può essere osservato l’importanza della conoscenza delle strutture anatomiche del corpo umano per studenti e professionisti dell’educazione fisica. Quindi possiamo concludere che la reale importanza viene sottovalutata, che richiedono ulteriori ricerche in grado di chiarire il ruolo chiave nella formazione intellettuale, tecniche e pratiche di laureati.
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Scoppettuolo, Antonio. "L’epistemologia e l’etica clinica di Giuseppe Moscati." Medicina e Morale 60, no. 3 (2011). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2011.167.

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Il saggio cerca di ricostruire la temperie culturale e filosofica nella quale si è formato ed ha operato il medico Giuseppe Moscati. Si tratta soprattutto di uno scavo nell’humus teorico ed epistemologico dell’arte medica dello scienziato e santo napoletano. Si esaminano perciò i fondamenti della scuola medica calando Moscati all’interno del dibattito sul positivismo scientifico dal quale si discosta attraverso la pratica di una medicina umanizzante. Seppure legato profondamente all’ambiente intellettuale e scientifico napoletano ha saputo apportare alla scienza e all’arte medica una impronta personalissima. ---------- The essay traces the philosophical and cultural climate in which the physician Giuseppe Moscati worked. This is above all a theoretical and epistemological investigation of the medical art of the Neapolitan medical scientist and saint. Therefore we examine the fundamentals of medical school withim the debate on scientific positivism from which Moscati deviates through the practice of humanizing medicine. Though he was deeply tied to the Neapolitan intellectual and scientific context, he left a personal mark on medical science.
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Giardina, Simona, and Vincenza Mele. "Spunti di riflessione bioetica dalla letteratura." Medicina e Morale 59, no. 6 (2010). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2010.194.

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L’articolo focalizza l’importanza di un dialogo tra bioetica e letteratura. Entrambe rivendicano ciò che manca o è andato perduto nella pratica medica e che riguarda soprattutto la relazione medico-paziente. L’intento è quello di far emergere il ruolo attivo della letteratura nella riflessione biomedica. L’introduzione nei curricula delle Facoltà di Medicina di speciali moduli didattici dedicati alle Scienze Umane non ha come fine solo l’arricchimento intellettuale della professione ma persegue una finalità rigorosamente operativa. Il vantaggio della letteratura è quello di trasmettere informazioni in forma umana, di farci avvicinare all’umanità degli altri, diminuendo la distanza tra noi e l’altro. La letteratura tocca i nostri cuori e allo stesso tempo le nostre menti. Dialogare con la letteratura e con le Scienze umane in genere può aiutare a sviluppare capacità quali l’osservazione, l’analisi, l’empatia, lo spirito critico, fondamentali nella pratica medica. Attraverso la lettura di testi significativi il futuro medico incontrerà il lato umano della medicina: la comprensione del malato nella sua unicità, la dimensione esistenziale della malattia, l’importanza del recupero di un dialogo profondo tra medico e paziente. ---------- The aim of this work is to highlight the importance of the dialogue between very different disciplines trying to bring to light the value and function of literature vis-à-vis bioethical concerns. One of the main areas where literature and bioethics coalesce in important literary texts is the relationship between humankind and sickness (with particular regard on doctor-patient relationship). This paper focalizes the anthropological and ethical aspects of this relationship. The intention is to encourage not just aesthetic experience but human experience of this relationship. The way in which literature deals with these aspects shows a great level of humanity and empathy. It is just by this way that the reader is fully immersed in that specific problem. Literature has a great power to awaken us to the humanity of others decreasing the distance between them and us. Literature can touch our hearts at the same time our heads. Literature provides insight into the human condition, suffering, personhood and offer a historical perspective on medical practice. Attention to literature and the arts helps to develop and nurture skills of observation, analysis, empathy and self-reflection - skills that are essential for human medical care. Through the poems, stories and essays, students will appreciate their roles not just as healers or caregivers but as compassionate human beings. They will see the importance of fostering the human side of medicine: understanding the needs of patients as unique individuals, expressing compassion and empathy in the face of tragedy and grief and making judgments in complex ethical situations.
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Bindi, Giulia, and Gabriele Giacomelli. "La paura nell’anziano: una ricerca intervento basata sull’osservazione partecipe." Nsc Nursing, 2021. http://dx.doi.org/10.32549/opi-nsc-49.

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Introduzione: La fragilità dell’anziano è fisica e psichica e su di entrambe vi è influenza degli eventi stressanti della vita. Le paure che insorgono possono essere determinate da stereotipi che spesso egli tende ad accettare e che lo portano a ritenersi incapace fino ad un lento declino intellettuale. Questa ricerca ha l'obiettivo di approfondire le conoscenze sulle paure dell’anziano ricoverato e sperimentare la “presenza dell’infermiere” come possibile intervento. Materiali e Metodi: All'interno di un Reparto “Cure Intermedie” è stata svolta una ricerca qualitativa con osservazione partecipante (studio osservazionale descrittivo tipo “serie di casi”). I dati raccolti sono stati analizzati attraverso il metodo l’analisi del contenuto. Risultati: Dalle osservazioni di 13 pazienti (9 donne e 4 uomini; età media 71 anni), sono emersi principalmente contenuti positivi come “Gioia (47)”, “Attesa (35)” e “Offerta-ricordo (33)”. Il contenuto "Paura (16)” diversamente dalla bibliografia consultata è risultato presente ma non preponderante. Discussione: Dall’analisi approfondita del materiale pare emergere che gli aspetti negativi comprendenti la “Paura” sono tra loro molto collegati ma il grosso nucleo di sofferenza viene destabilizzato dagli aspetti affettivi (speranza, aspettativa, amore) che arriva ad una prospettiva positiva (gioia, piacere, gratitudine). “Ascolto” e “disponibilità” sono stati i principali interventi attuati durante l’osservazione e coerentemente a quanto descritto in letteratura hanno permesso di registrare un impatto positivo sui pazienti. Un approfondimento è stato dedicato al concetto di “Offrire-dono” inteso come atto di riconoscimento attivo da parte del paziente verso l’operatore, con le sue implicazioni simboliche e psicologiche. Nell’analisi del materiale sono anche stati presi in considerazione aspetti legati alla psicologia positiva e allo “human caring”, come l’importanza e l’effetto del sorriso, della presenza fisica, dell’empatia nella condivisione e i risvolti nell’ambito di cura. In base agli indicatori della Diagnosi Infermieristica di Paura di Lynda Juall Carpenito-Moyet, la valutazione iniziale durante la fase di accertamento degli stati di paura del paziente, permette un'assistenza basata anche sulla pratica dell'ascolto, competenza fondamentale dell'infermiere. Nei pazienti valutati si è assistito ad una riduzione dello stato di paura nelle osservazioni successive e nelle stesse, ipotizzando un effetto efficace della “presenza”.
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Mariaenrica, Giannuzzi. "G. Fazio, Il tempo della secolarizzazione. Karl Löwith e la modernità." Lo Sguardo 26 (October 19, 2018). https://doi.org/10.5281/zenodo.1466802.

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<em>Il tempo della secolarizzazione. Karl L&ouml;with e la modernit&agrave;</em> (Mimesis, Milano-Udine, 2015) di Giorgio Fazio ripercorre la biografia intellettuale di Karl L&ouml;with, l&igrave; dove l&rsquo;asse biografico non &egrave; che un puntello per aggregare il dibattito filosofico di Weimar, e del Dopoguerra tedesco, intorno a temi e progetti fondamentali. Ed &egrave; conveniente che Fazio possa elencarne i principali per vedere poi quale sia stato il posto di un L&ouml;with soldato, di un L&ouml;with prima esistenzialista e poi <em>Naturphilosoph</em>, nel panorama singolarmente cupo dello scorso secolo. Il libro si divide in tre fasi, che potrebbero considerarsi la giovent&ugrave;, la maturit&agrave; e la vecchiaia del filosofo monacense. La prima parte &egrave; titolata Antropologia e modernit&agrave;, dove s&rsquo;indaga la posizione scettica di L&ouml;with rispetto alle spinte mitiche o cripto-protestanti di un Klages o di Martin Heidegger durante gli anni di formazione, che includono anche un interesse per la critica marxiana del mondo e dell&rsquo;esistenza borghese con Max Weber e Karl Jaspers. Di questo periodo, o poco precedente, &egrave; lo scritto (in genere non menzionato negli studi sul pensiero filosofico) <em>Fiala. Storia di una tentazione</em>, storia, in pratica, del progetto di uccidersi, che fa il paio con la famosa dissertazione di L&ouml;with <em>L&rsquo;individuo nel ruolo del co-uomo</em>, naturalmente analizzata qui a fondo, con maestria e dovizia di genealogie. Ma il momento forse pi&ugrave; famoso del pensiero L&ouml;withiano &egrave; quell&rsquo;andirivieni tra una storia &lsquo;giacobina&rsquo; della filosofia (<em>Da Hegel a Nietzsche</em>) che non risparmia colpi a nessun conservatorismo sciovinista della sua generazione, e l&rsquo;altro asse, la filosofia della storia. La seconda parte del libro &egrave;, infatti, chiamata Il tempo della secolarizzazione, dove questo tempo &egrave; diviso nel trittico Gli anni della decisione; Da Hegel a Nietzsche; Significato e fine della storia. Sono gli anni pi&ugrave; difficili per pensare un&rsquo;etica di tendenza socialista &ndash; Fazio dice &lsquo;scettica&rsquo; &ndash; sul tema della decisione, considerate le forti spinte fasciste dietro questo tema principe della costituzione schmittiana e del putsch hitleriano. Mentre ha corso la sussunzione nazionalista dell&rsquo;operaio-massa e il disfacimento di ogni orizzonte storico-letterario, ma anche di organizzazione sociale, legati al progetto umanista di <em>Bildung</em>, la l&ouml;withiana storia della filosofia analizza e dissolve la nuova temperie fatta di cicli vitalisti di ascesa e caduta, quando non regna l&rsquo;impolitico. &Egrave; questo il seme della critica soprattutto al post-hegelismo cantore dello Stato. Il seme statalista rimane un peccato originale della filosofia tedesca rivoluzionaria da Hegel a Nietzsche. Soprattutto una rivoluzione verso il secolarismo democratico che rimane, con il Marx dell&rsquo;<em>Ideologia tedesca</em>, solo nel regno delle idee teologiche e soprattutto lontana dall&rsquo;attenzione alle forme naturali, che Goethe avrebbe, per un attimo, indicato con successo. L&rsquo;uomo tedesco non ha trovato, e non pu&ograve; trovare, in virt&ugrave; della propria tradizione, una sintesi spirituale tra individuo e societ&agrave;, se non tramite una <em>Weltgeschichte</em> che sfocia nel militarismo, cio&egrave; &laquo;nello spirito della storia&raquo; e non nel &laquo;campo della natura&raquo; (cfr. <em>Il tempo della secolarizzazione, </em>p. 170-171).&nbsp;
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D’Agostino, Francesco. "Per una convivenza tra i popoli: pluralismo e tolleranza." Medicina e Morale 55, no. 3 (2006). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2006.352.

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L’articolo propone l’antico tema della convivenza tra i popoli, quanto mai attuale al giorno d’oggi, per il fatto che ci troviamo di fronte a nuove forme di conflitto, non gestibili con vecchi parametri concettuali, che impongono di riflettere sul come sia possibile una società multiculturale. Le strade ipotizzabili per una convivenza a carattere interculturale e interreligioso sono soltanto tre: la via dell’assimilazione, la via della marginalizzazione e la via dell’integrazione: le prime due sono state abbondantemente sperimentate in diversi contesti politico-nazionali e mostrano da tempo tutti i loro limiti, la terza via è quella che, molto faticosamente, si cerca di mettere alla prova in molti paesi del mondo di oggi ed è quella che richiede un significativo impegno intellettuale e di buona volontà (politica e morale). Un punto essenziale che qualifica il modello dell’integrazione è il primato della persona, secondo due linee: il primato della persona sullo Stato di cui sia cittadina e il primato della persona sulla comunità di cui essa sia un membro. La persona è intesa nel suo essere soggetto in relazione, giacché essa manifesta tutte le proprie potenzialità donandosi all’altro e non chiudendosi autoreferenzialmente in se stessa. Questo è il fondamento autentico di ogni progetto di pace, che prima ancora di essere un progetto politico possiede il carattere di un autentico progetto antropologico. Tale relazionalità chiede, pertanto, di essere garantita. Garante della relazionalità è proprio il diritto, quale forma di esperienza umana costitutivamente relazionale. Lo Stato dovrà operare per garantire la relazionalità multietnica, attraverso l’assunzione di un atteggiamento di imparzialità, distinguendo i valori elaborati dalle culture, e le pratiche sociali ad essi corrispondenti, in almeno tre categorie: quella dei valori che appaiono semplicemente tollerabili, quella dei valori che meritino di essere ritenuti rispettabili e quella, infine, dei valori che per la loro forza intrinseca debbano essere qualificati come condivisibili L’aspetto più arduo concerne l’integrazione, i suoi limiti e quindi la tolleranza verso le culture. Occorre, infatti, fissare i confini della tolleranza che dovrà essere sempre condizionata, argomentata, dinamica, credibile e dovrà, infine, possedere un carattere dialogico. ---------- The article proposes the ancient theme of the cohabitation between peoples, very actual nowadays, for the fact that we have to face new forms of conflict, not manageable with old conceptual parameters, that impose to reflect on how a multicultural society is possible. The roads for an intercultural and interreligious cohabitation are only three: the way of assimilation, the way of the marginalization and the way of the integration: first two have been abundantly experimented in different political- national contexts and they have shown for time all their limits, the third way is that which, very laboriously, many countries of the world of today are trying to test and it requires a meaningful intellectual engagement and good (politics and moral) will. An essential point that qualifies the model of the integration is the primacy of the person according to two lines: the person’s primacy on the State of which it is citizen and the person’s supremacy on community of which it is a member. The person is understood in his being subject in relationship, since it manifests the whole own potentialities giving itself to the other and not closing in itself. This is the authentic base of every project of peace, that possesses the character of an authentic anthropological project even before being a political project. Such relational nature, therefore, must be guaranteed. Guarantor of the relational nature is really the law, as form of human experience constitutively relational. The State must operate to guarantee the multiethnic relational nature, through the assumption of an attitude of impartiality, distinguishing the values elaborated from cultures and the social practices corresponding to them, in at least three categories: that of the values that appear simply tolerable, that of the values which deserves to be thought respectable and, finally, that of the values which must be qualified as shareable for their intrinsic strength. The most arduous aspect pertains to the integration, its limits and therefore tolerance toward cultures. Needs, in fact, fixing the confinements of tolerance that must be always conditioned, deduced, dynamics, believable and, finally, it must possess a dialogical character.
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