Academic literature on the topic 'Art, decorative'

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Dissertations / Theses on the topic "Art, decorative"

1

Raksadeja, K. "Digital and interactive media analysis of myths and traditions expressed in Thai fairground art." Thesis, Liverpool John Moores University, 2018. http://researchonline.ljmu.ac.uk/8604/.

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Abstract:
The core themes in Thai art have traditionally been didactic Buddhist ethical works and popular folkloric beliefs. Both are permeated with a cosmology and worldview that is supernatural but which is pervaded with ethical implications for people’s daily lives. Buddhist art aims to encourage selfless acts for the good of others, including other individuals, society, the country and the natural world. Such abstract themes have been rendered accessible to ordinary people by means of fantastical creatures and supernatural myths that insinuate moral values and demonstrate a coherent Theravada worldview that is uniquely Thai. This thesis explores the popular manifestations of such phenomena at the intersection of traditional folk beliefs and practices, popular entertainment, Thai official/ royal high culture and confessional Buddhist ethical instruction by analysing the art forms associated with temple fairgrounds at major festivals. Based on a review of related literature and analysis of Thai artists, it concludes that the renaissance of traditional Thai culture is reciprocal with authentic grassroots activities such as temple fairs fostered and supported by traditional patronage and cultural resources from the royal court culture and Buddhist ethics. Based on this analysis, my own work offers a modern rendering in the spirit of traditional forms utilising modern multimedia methods to create an immersive and interactive artistic experience.
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2

Hoban, Sally. "The Birmingham Municipal School of Art and opportunities for women's paid work in the Art and Crafts Movement." Thesis, University of Birmingham, 2014. http://etheses.bham.ac.uk//id/eprint/5124/.

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Abstract:
This thesis is the first to examine the lives and careers of professional women who were working within the thriving Arts and Crafts Movement in Birmingham in the late nineteenth and early twentieth centuries. It utilises previously unresearched primary and secondary sources in art galleries, the Birmingham School of Art and local studies collections to present a series of case studies of professional women working in the fields of jewellery and metalware, stained glass, painting, book illustration, textiles and illumination. This thesis demonstrates that women made an important, although currently unacknowledged, professional contribution to the Arts and Crafts Movement in the region. It argues that the Executed Design training that the women received at the Birmingham Municipal School of Art (BMSA) was crucial to their success in obtaining highly-skilled paid employment or setting up and running their own business enterprises. The thesis makes an important new contribution to the historiography of The Arts and Crafts Movement; women's work in Britain in the late nineteenth and early twentieth centuries; the history of education and the industrial and artistic history of Birmingham.
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3

Baldini, Elisa <1970&gt. "Arti decorative: Bologna e Faenza tra Ottocento e Novecento." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/2175/1/baldini_elisa_tesi.pdf.

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Abstract:
La ricerca approfondisce gli studi iniziati dalla dott.ssa Baldini in occasione della tesi di laurea e amplia le indagini critiche avviate per la mostra sull’Aemilia Ars, società attiva nel campo delle arti decorative bolognesi e romagnole tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Inizialmente si intendeva allargare questo tipo di ricerca a tutto il territorio regionale, ma data la complessità e l’estensione della materia, si è optato per una ridefinizione degli ambiti. La ricerca si è quindi interessata alle aree di Bologna e Faenza individuando le connessioni che, nel periodo indicato, intercorrono tra la cultura artistica locale e quella nazionale ed europea. Per quanto riguarda l’ambiente faentino ci si è concentrati sull’opera degli artisti del Cenacolo baccariniano e delle botteghe artigiane locali, che stabiliscono un apprezzabile contatto tra le due città. L’indagine si orienta soprattutto allo studio degli aspetti decorativi legati agli arredi urbani, agli allestimenti d’interni e alle arti applicate, considerando gli eventuali collegamenti con pittura, grafica e scultura. Nella prima parte del lavoro viene delineato sinteticamente il panorama artistico e culturale di Bologna e di Faenza nel periodo che va dall’ultimo decennio dell’Ottocento al primo decennio del secolo successivo. Le due città, connesse da una rete di collaborazioni tra artisti e laboratori artigianali, vivono un momento di particolare vivacità e grazie all’impegno di valenti personalità e alla congiunzione d’interessanti sinergie, sono in grado confrontarsi con importanti esempi nazionali ed internazionali. Il clima artistico faentino di questi anni risente ancora della significativa eredità neoclassica lasciata da Felice Giani, il quale oltre a fornire ad artisti e artigiani ineludibili esempi nei palazzi locali – tra cui primeggiano gli splendidi apparati decorativi di Palazzo Milzetti – si era fatto promotore insieme al Laderchi della locale Scuola di Disegno. La Scuola, che dal 1879 era divenuta Scuola d’Arti e Mestieri, viene diretta da Antonio Berti per un quarantennio, dal 1866 al 1906. Il Berti, formatosi in area fiorentina e sostanzialmente antiaccademico, si fa portatore a Faenza d’istanze macchiaiole. In questi anni la Scuola si proietta anche verso una concezione delle arti decorative che s’ispira al mondo inglese delle Arts and Crafts. L’artigianato bolognese nella seconda metà dell’Ottocento è ancora saldamente ancorato ad una tradizione che affonda le sue radici nei due secoli precedenti. La cultura figurativa della città è inoltre influenzata dalla Accademia Clementina, i cui insegnamenti non risentono particolarmente del clima internazionale. Nasce proprio in questo periodo Aemilia Ars, uno dei più innovativi movimenti del contesto nazionale nel campo delle arti decorative. I membri del gruppo, raccoltisi intorno alla carismatica figura di Alfonso Rubbiani nei primi anni Ottanta, sono attratti da influenze nordeuropee e sin dall’inizio si mostrano orientati a seguire precetti ruskiniani e preraffaelliti. Molto importante in entrambe le città, per l’evoluzione dello scenario artistico e artigianale – in questi anni più che mai unite in un rapporto di strettissima correlazione – è l’apporto e il sostegno offerto dai salotti, dai circoli, dai caffé e dai cenacoli locali. Queste realtà alimentano il processo di rinnovamento, fornendo valide occasioni d’incontro e confronto tra gli operatori culturali locali e ospiti italiani e stranieri; supportano inoltre le nuove esperienze tese allo svecchiamento del settore produttivo, attraverso quel fenomeno sociale così tipico di questi anni che è la filantropia di marca più o meno utopista e socialista. Solo per citare alcuni esempi si deve ricordare l’attività dei cenacoli che si raccolsero a Faenza intorno ad Angelo Marabini, a Pietro Conti e a Domenico Baccarini, ma anche il sostegno che le famiglie Cavazza e Pizzardi non fecero mancare alle iniziative del gruppo bolognese, o ancora l’attività di cenacoli artistici come l’Accademia della Lira e il Comitato per Bologna Storica ed Artistica. Nella seconda parte del lavoro l’attenzione si è focalizzata sull’attività degli artisti e artigiani legati ad Alfonso Rubbiani, uniti in un sodalizio che fin dalla metà degli anni Ottanta prende il nome di Gilda di San Francesco e successivamente si istituzionalizza in Aemilia Ars. Si è cercato di esaminare l’intero campo di interventi per settori produttivi, delineando le principali modalità e caratteristiche operative di Aemilia Ars, dando risalto ai maggiori operatori di ogni settore. Ha inoltre dato ampio spazio dal punto di vista documentario, iconografico e fenomenologico al raffronto tra il lavoro dei bolognesi e quello che si ritiene essere stato per questi artefici il più rilevante ambito di riferimento, cioè l’attività degli artisti e artigiani inglesi che si formarono ed operarono attorno alla figura di William Morris. In conformità ai dettami anglosassoni si avvia un rinnovamento della tradizione artigianale sensibile dal punto di vista formale al mondo della natura, da cui sono selezionate forme eccentriche, idonee a subire un processo di razionalizzazione sintetizzante. Per quanto riguarda le modalità di realizzazione, si assiste spesso all’adozione di metodiche ibride che risentono di una volontà di recupero di modi produttivi antichi congiunti a materiali nuovi o perlomeno inusuali. Questo slancio innovatore, che si avvale di elementi fitomorfi, si fonde a un gusto storicista rivolto in particolar modo al recupero di modelli tardogotici – assai diffuso in Europa – o del primo Rinascimento; in entrambi i casi si tratta di forme particolarmente adatte alla modalità lineare ed astrattiva a cui tendono i principali interpreti dell’ultimo ventennio dell’Ottocento. I settori produttivi che si sono indagati riguardano prevalentemente la ceramica, l’ebanisteria, i ferri battuti, l’oreficeria, le arti tessili e i cuoi. Gran parte di queste lavorazioni – che si erano attardate nella realizzazione di oggetti dalle forme pesanti, di ispirazione seicentesca, certamente poco adatte all’affermarsi di una produzione industriale – subiscono ora una decisa accelerazione verso forme più leggere e svelte che, adeguandosi alla possibilità di riproduzione seriale degli oggetti, si diffonderanno quasi capillarmente tra l’aristocrazia e la borghesia, faticando tuttavia a raggiungere le classi meno abbienti a causa degli elevati costi di produzione. Nell’ultima parte viene tracciato sinteticamente il quadro delle attività artistiche e artigianali faentine del periodo indicato, con una particolare attenzione all’opera delle personalità afferenti al Cenacolo baccariniano: Giovanni Guerrini (Faenza 1887 – Roma 1972), Francesco Nonni (Faenza 1885 – 1976), Domenico Rambelli (Faenza 1886 – Roma 1972), Orazio Toschi (Lugo 1887 – Firenze 1972) e Giuseppe Ugonia (Faenza 1881 – Brisighella 1944). Viene notato che i giovani artisti, riunitisi intorno alla figura di Domenico Baccarini, interessati all’area anglosassone ed impegnati nel rinnovamento dell’artigianato locale, si avvicinano marginalmente al gusto floreale nella fase iniziale di ispirazione simbolista, per approdare negli anni successivi ad esiti spesso più vicini all’Espressionismo o al gusto déco. Viene tracciato un panorama delle attività articolato per settori produttivi: ceramica, ebanisteria e ferri battuti, all’interno dei quali si è dato risalto a coloro che maggiormente hanno influito sull’innovazione e lo sviluppo dell’artigianato locale. Si è inteso ricercare quelle che furono le principali collaborazioni con gli artisti e le botteghe prese in esame nel capitolo precedente, mettendo in rilievo le affinità stilistiche con il contesto nazionale ed europeo. Oltre ai già citati artisti inglesi è stato messo in evidenza il riferimento all’area scozzese e mitteleuropea. Questa ricerca si propone lo studio delle relazioni che si stabiliscono tra l’estetica neomedievalista e l’aspirazione al rinnovamento delle arti decorative. Tale orientamento, che nasce e si sviluppa tra Francia e Inghilterra alla metà dell’Ottocento intorno agli scritti e alle opere di figure quali Eugène Viollet-le-Duc e John Ruskin, è prontamente recepito in Italia tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta dell’Ottocento dal gruppo di artisti e artigiani riunitosi nel capoluogo emiliano intorno ad Alfonso Rubbiani. In seguito questi artisti prenderanno strade diverse, portando con sé la propria cifra stilistica legata a quel gusto che in Italia si chiamerà “Stile Floreale”, che nel frattempo si diffonde anche attraverso importanti vetrine quali l’Esposizione Internazionale di Arte Decorativa di Torino e le Biennali veneziane nonché sulle pagine di autorevoli riviste come Emporium e Arte Italiana Decorativa e Industriale. Il successo dell’esperienza bolognese unito alla collaborazione che sorse con la città di Faenza, si ritiene abbia offerto significativi stimoli per la formazione di alcuni tra i principali artisti faentini di fine secolo.
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4

Baldini, Elisa <1970&gt. "Arti decorative: Bologna e Faenza tra Ottocento e Novecento." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/2175/.

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Abstract:
La ricerca approfondisce gli studi iniziati dalla dott.ssa Baldini in occasione della tesi di laurea e amplia le indagini critiche avviate per la mostra sull’Aemilia Ars, società attiva nel campo delle arti decorative bolognesi e romagnole tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Inizialmente si intendeva allargare questo tipo di ricerca a tutto il territorio regionale, ma data la complessità e l’estensione della materia, si è optato per una ridefinizione degli ambiti. La ricerca si è quindi interessata alle aree di Bologna e Faenza individuando le connessioni che, nel periodo indicato, intercorrono tra la cultura artistica locale e quella nazionale ed europea. Per quanto riguarda l’ambiente faentino ci si è concentrati sull’opera degli artisti del Cenacolo baccariniano e delle botteghe artigiane locali, che stabiliscono un apprezzabile contatto tra le due città. L’indagine si orienta soprattutto allo studio degli aspetti decorativi legati agli arredi urbani, agli allestimenti d’interni e alle arti applicate, considerando gli eventuali collegamenti con pittura, grafica e scultura. Nella prima parte del lavoro viene delineato sinteticamente il panorama artistico e culturale di Bologna e di Faenza nel periodo che va dall’ultimo decennio dell’Ottocento al primo decennio del secolo successivo. Le due città, connesse da una rete di collaborazioni tra artisti e laboratori artigianali, vivono un momento di particolare vivacità e grazie all’impegno di valenti personalità e alla congiunzione d’interessanti sinergie, sono in grado confrontarsi con importanti esempi nazionali ed internazionali. Il clima artistico faentino di questi anni risente ancora della significativa eredità neoclassica lasciata da Felice Giani, il quale oltre a fornire ad artisti e artigiani ineludibili esempi nei palazzi locali – tra cui primeggiano gli splendidi apparati decorativi di Palazzo Milzetti – si era fatto promotore insieme al Laderchi della locale Scuola di Disegno. La Scuola, che dal 1879 era divenuta Scuola d’Arti e Mestieri, viene diretta da Antonio Berti per un quarantennio, dal 1866 al 1906. Il Berti, formatosi in area fiorentina e sostanzialmente antiaccademico, si fa portatore a Faenza d’istanze macchiaiole. In questi anni la Scuola si proietta anche verso una concezione delle arti decorative che s’ispira al mondo inglese delle Arts and Crafts. L’artigianato bolognese nella seconda metà dell’Ottocento è ancora saldamente ancorato ad una tradizione che affonda le sue radici nei due secoli precedenti. La cultura figurativa della città è inoltre influenzata dalla Accademia Clementina, i cui insegnamenti non risentono particolarmente del clima internazionale. Nasce proprio in questo periodo Aemilia Ars, uno dei più innovativi movimenti del contesto nazionale nel campo delle arti decorative. I membri del gruppo, raccoltisi intorno alla carismatica figura di Alfonso Rubbiani nei primi anni Ottanta, sono attratti da influenze nordeuropee e sin dall’inizio si mostrano orientati a seguire precetti ruskiniani e preraffaelliti. Molto importante in entrambe le città, per l’evoluzione dello scenario artistico e artigianale – in questi anni più che mai unite in un rapporto di strettissima correlazione – è l’apporto e il sostegno offerto dai salotti, dai circoli, dai caffé e dai cenacoli locali. Queste realtà alimentano il processo di rinnovamento, fornendo valide occasioni d’incontro e confronto tra gli operatori culturali locali e ospiti italiani e stranieri; supportano inoltre le nuove esperienze tese allo svecchiamento del settore produttivo, attraverso quel fenomeno sociale così tipico di questi anni che è la filantropia di marca più o meno utopista e socialista. Solo per citare alcuni esempi si deve ricordare l’attività dei cenacoli che si raccolsero a Faenza intorno ad Angelo Marabini, a Pietro Conti e a Domenico Baccarini, ma anche il sostegno che le famiglie Cavazza e Pizzardi non fecero mancare alle iniziative del gruppo bolognese, o ancora l’attività di cenacoli artistici come l’Accademia della Lira e il Comitato per Bologna Storica ed Artistica. Nella seconda parte del lavoro l’attenzione si è focalizzata sull’attività degli artisti e artigiani legati ad Alfonso Rubbiani, uniti in un sodalizio che fin dalla metà degli anni Ottanta prende il nome di Gilda di San Francesco e successivamente si istituzionalizza in Aemilia Ars. Si è cercato di esaminare l’intero campo di interventi per settori produttivi, delineando le principali modalità e caratteristiche operative di Aemilia Ars, dando risalto ai maggiori operatori di ogni settore. Ha inoltre dato ampio spazio dal punto di vista documentario, iconografico e fenomenologico al raffronto tra il lavoro dei bolognesi e quello che si ritiene essere stato per questi artefici il più rilevante ambito di riferimento, cioè l’attività degli artisti e artigiani inglesi che si formarono ed operarono attorno alla figura di William Morris. In conformità ai dettami anglosassoni si avvia un rinnovamento della tradizione artigianale sensibile dal punto di vista formale al mondo della natura, da cui sono selezionate forme eccentriche, idonee a subire un processo di razionalizzazione sintetizzante. Per quanto riguarda le modalità di realizzazione, si assiste spesso all’adozione di metodiche ibride che risentono di una volontà di recupero di modi produttivi antichi congiunti a materiali nuovi o perlomeno inusuali. Questo slancio innovatore, che si avvale di elementi fitomorfi, si fonde a un gusto storicista rivolto in particolar modo al recupero di modelli tardogotici – assai diffuso in Europa – o del primo Rinascimento; in entrambi i casi si tratta di forme particolarmente adatte alla modalità lineare ed astrattiva a cui tendono i principali interpreti dell’ultimo ventennio dell’Ottocento. I settori produttivi che si sono indagati riguardano prevalentemente la ceramica, l’ebanisteria, i ferri battuti, l’oreficeria, le arti tessili e i cuoi. Gran parte di queste lavorazioni – che si erano attardate nella realizzazione di oggetti dalle forme pesanti, di ispirazione seicentesca, certamente poco adatte all’affermarsi di una produzione industriale – subiscono ora una decisa accelerazione verso forme più leggere e svelte che, adeguandosi alla possibilità di riproduzione seriale degli oggetti, si diffonderanno quasi capillarmente tra l’aristocrazia e la borghesia, faticando tuttavia a raggiungere le classi meno abbienti a causa degli elevati costi di produzione. Nell’ultima parte viene tracciato sinteticamente il quadro delle attività artistiche e artigianali faentine del periodo indicato, con una particolare attenzione all’opera delle personalità afferenti al Cenacolo baccariniano: Giovanni Guerrini (Faenza 1887 – Roma 1972), Francesco Nonni (Faenza 1885 – 1976), Domenico Rambelli (Faenza 1886 – Roma 1972), Orazio Toschi (Lugo 1887 – Firenze 1972) e Giuseppe Ugonia (Faenza 1881 – Brisighella 1944). Viene notato che i giovani artisti, riunitisi intorno alla figura di Domenico Baccarini, interessati all’area anglosassone ed impegnati nel rinnovamento dell’artigianato locale, si avvicinano marginalmente al gusto floreale nella fase iniziale di ispirazione simbolista, per approdare negli anni successivi ad esiti spesso più vicini all’Espressionismo o al gusto déco. Viene tracciato un panorama delle attività articolato per settori produttivi: ceramica, ebanisteria e ferri battuti, all’interno dei quali si è dato risalto a coloro che maggiormente hanno influito sull’innovazione e lo sviluppo dell’artigianato locale. Si è inteso ricercare quelle che furono le principali collaborazioni con gli artisti e le botteghe prese in esame nel capitolo precedente, mettendo in rilievo le affinità stilistiche con il contesto nazionale ed europeo. Oltre ai già citati artisti inglesi è stato messo in evidenza il riferimento all’area scozzese e mitteleuropea. Questa ricerca si propone lo studio delle relazioni che si stabiliscono tra l’estetica neomedievalista e l’aspirazione al rinnovamento delle arti decorative. Tale orientamento, che nasce e si sviluppa tra Francia e Inghilterra alla metà dell’Ottocento intorno agli scritti e alle opere di figure quali Eugène Viollet-le-Duc e John Ruskin, è prontamente recepito in Italia tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta dell’Ottocento dal gruppo di artisti e artigiani riunitosi nel capoluogo emiliano intorno ad Alfonso Rubbiani. In seguito questi artisti prenderanno strade diverse, portando con sé la propria cifra stilistica legata a quel gusto che in Italia si chiamerà “Stile Floreale”, che nel frattempo si diffonde anche attraverso importanti vetrine quali l’Esposizione Internazionale di Arte Decorativa di Torino e le Biennali veneziane nonché sulle pagine di autorevoli riviste come Emporium e Arte Italiana Decorativa e Industriale. Il successo dell’esperienza bolognese unito alla collaborazione che sorse con la città di Faenza, si ritiene abbia offerto significativi stimoli per la formazione di alcuni tra i principali artisti faentini di fine secolo.
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Thickpenny, Cynthia Rose. "Making key pattern in Insular art, AD 600-1100." Thesis, University of Glasgow, 2019. http://theses.gla.ac.uk/41009/.

Full text
Abstract:
Key pattern is a type of abstract ornament characterised by spiral shapes which are angular rather than curved. It has been used to decorate objects and architecture around the world from prehistory onward, but flourished in a unique form in Insular art (the art of early medieval Britain and Ireland, c. AD 600-1100). Ornament of many kinds was the dominant mode in Insular art, however, key pattern has remained the least studied and most misunderstood. From the 19th century, specialists mainly have relied on simplified, line-drawn reproductions rather than original artworks. These 'correct' hand-made details, isolate patterns from their contexts, and in the case of Insular key pattern, de-emphasise its important physical structures. This resulted in misunderstandings of key pattern's structure and an inability to recognise evidence for medieval artists' working processes. Postwar art historians and archaeologists then largely abandoned study of ornament structure altogether, in critical reaction to this earlier method. For two centuries, academics have overlooked the artists' role in pattern-making, and how their creative agency is reflected in patterns' internal structures. In response, this thesis presents a new, artist-centred method for the study of Insular key pattern, which adapts Michael Brennan's pioneering approach to Insular interlace (a different pattern), to suit key pattern's distinct structure. Close examination of objects and monuments, rather than idealised 'types', has revealed how Insular artists themselves understood key pattern and handled it in the moment of creation. The core of the thesis is an analysis of key pattern's structural properties, i.e. its physical parts and the abstract, often mathematical concepts that Insular makers used to arrange and manipulate these parts, in order to fix mistakes, fulfill specific design goals, or invent anew. Case studies of individual artworks support this analysis and demonstrate how key pattern is a vehicle for accessing Insular artists' thought processes, as they improvised with the pattern's basic structures for maximum creative effect. For the first time, this thesis also places Insular key pattern in its global context, via comparative analyses of key patterns from other world art traditions. This investigation has confirmed key pattern's origin in prehistoric basketry and weaving technologies and explains why Insular key pattern's geometric complexity remains unparalleled. The adaptation and expansion of this new analytical method for key pattern also proves its applicability to any type of ornament from any culture, making it immediately useful to art historians and archaeologists. This thesis therefore represents a larger paradigm shift that brings ornament study into the 21st century.
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Lu, Qiang. "The art of traditional architectural ornaments in northern China." [Bloomington, Ind.] : Indiana University, 2007. http://gateway.proquest.com/openurl?url_ver=Z39.88-2004&rft_val_fmt=info:ofi/fmt:kev:mtx:dissertation&res_dat=xri:pqdiss&rft_dat=xri:pqdiss:3297119.

Full text
Abstract:
Thesis (Ph.D.)--Indiana University, Dept. of Folklore and Ethnomusicology, 2007.<br>Title from dissertation home page (viewed Sept. 25, 2008). Source: Dissertation Abstracts International, Volume: 69-02, Section: A, page: 0705. Adviser: Henry Glassie.
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7

Donahue, Nathaniel J. "Decorative Modernity and Avant-Garde Classicism In Renoir's Late Work, 1892-1919." Thesis, New York University, 2014. http://pqdtopen.proquest.com/#viewpdf?dispub=3602655.

Full text
Abstract:
<p> Renoir's late work represents a paramount contribution to the history of modernism that has often been overlooked and obscured according to a paradigm of reactionary escapism. This dissertation instead positions Renoir's staunch commitment to the decorative arts, and his advocacy of decorative and classical styles of painting in the late work, as central to the political and cultural debates of its time--both as a link to the traditions of the eighteenth century that satisfied politically conservative cultural nationalists, and as a badge of avant-garde formalism among new collectors of modern art such as the Steins, Maurice Gangnat, Paul Guillaume, and Albert C. Barnes. Renoir's response to modernity was less one of denial than one of protest against a mode of production that diminished the hand crafted sensuality of the object in favor of machine made efficiency. This interpretation re-imagines the dominant teleology of Modernism by re-installing the decorative and the Symbolist movement as the important aesthetic revolutions they were for Renoir and his young admirers: the Nabis, Picasso, Maillol, and Matisse. During his late career Renoir adopted successive hybrid styles that combined decorative and classical forms and which encouraged synesthetic responses in the viewer. His pictures of music-making, dress-up, millenary, and the notorious late bather paintings and sculptures unabashedly revel in the depiction of decorative motifs and tactile flesh, ultimately locating the origins of aesthetic form in the slippages between the senses of sight and touch. </p><p> Ultimately Renoir's late work serves as an alternative paradigm of modernity, one that complicates the traditional narrative predicated on Greenbergian purity, media specificity, and flatness. Instead, Renoir presents a body of work which traffics in opposites: a decorative style that is willfully heterogeneous, synesthetic, and which explores the liminal space between the pictorial and the sculptural. As an antihero of modernism, a detailed understanding of Renoir's late work expands our understanding of this period by intertwining decorative, classical and avant-garde painting styles in a web connecting the diverse aesthetic movements and social upheavals of the late nineteenth and early twentieth centuries.</p>
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8

Measell, James Scott. "A provincial school of art and local industry : the Stourbridge School of Art and its relations with the glass industry of the Stourbridge district, 1850-1905." Thesis, University of Birmingham, 2016. http://etheses.bham.ac.uk//id/eprint/7008/.

Full text
Abstract:
Founded in 1851, the Stourbridge School of Art offered instruction in drawing, art and design to students engaged in industries, especially glass. Using social history methodology and primary sources such as Government reports, local newspapers and school records, this thesis explores the school’s development from 1850 to 1905 and explicates its relationships with the local glass industry. Within the context of political, economic, social and cultural forces, the school contributed to the town’s civic culture and was supported by gentry, clergy and industrialists. The governing Council held public meetings and art exhibitions and dealt with management issues. Working class men attended evening classes. Women from wealthy families attended morning classes. This thesis argues that a fundamental disconnect existed between the school’s purpose (art instruction to train designers) and its instruction (basic drawing and fine art). The school enrolled men employed in glass decorating but few from glass manufacturing. Classes reflected the South Kensington curriculum, and the art masters were unaware of the design needs of industry. Glass manufacturing firms provided modest financial support but did not encourage employees to attend, creating frustration for the Council. In contrast, similar schools in Brierley Hill and Wordsley were well-supported by the glass industry.
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9

Gaunt, Pamela Mary School of Art History/Theory UNSW. "The decorative in twentieth century art: a story of decline and resurgence." Awarded by:University of New South Wales. School of Art History/Theory, 2005. http://handle.unsw.edu.au/1959.4/25983.

Full text
Abstract:
This thesis tracks the complex relationship between visual art and the decorative in the Twentieth Century. In doing so, it makes a claim for the ongoing interest and viability of decorative practices within visual art, in the wake of their marginalisation within Modernist art and theory. The study is divided into three main sections. First, it demonstrates and questions the exclusion of the decorative within the central currents of modernism. Second, it examines the resurgence of the decorative in postmodern art and theory. This section is based on case studies of a number of postmodern artists whose work gained notice in the 1980s, and which evidences a sustained engagement with a decorative or ornamental aesthetic. The artists include Rosemarie Trockel, Lucas Samaras, Philip Taaffe, and several artists from the Pattern and Decoration Painting Movement of the 1970s. The final component of the study investigates the function and significance of the decorative in the work of a selection of Australian and international contemporary artists. The art of Louise Paramor, Simon Periton and Do-Ho Suh is examined in detail. In addition, the significance of the late work of Henri Matisse is analysed for its relevance to contemporary art practice that employs decorative procedures. The thesis put forward is that an historical reversal has occurred in recent decades, where the decorative has once again become a significant force in experimental visual art.
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Yallop, Jacqueline. "Narrative objects : decorative art in the museum and the novel, 1850-1880." Thesis, University of Sheffield, 2006. http://etheses.whiterose.ac.uk/14892/.

Full text
Abstract:
In the face of financial disaster, Dr Lydgate attempts to share his concerns with his wife, Rosamund, in George Eliot's Middlemarch (1871). Rosamund's refusal to engage with the crisis, or to sympathise with her husband's despair, is repeatedly presented by Eliot as a preoccupation with inanimate, decorative objects: Rosamund 'turned her neck and looked at a vase on the mantelpiece'. 1 The mid nineteenth-century novel increasingly explores what it means to own, collect and display objects, and how personal and public lives can be constructed and defined by 'things'. Recent critical discussion has examined the significance of the Great Exhibition in London in 1851, and the subsequent international exhibitions, as a catalyst for, and an expression of, new ways of producing and consuming objects. 2 These dazzling exhibitions, in conjunction with the foundation of the South Kensington Museum (1857), began to formulate principles of design and models of taste for the public. Increasingly influential, however, was the development of the smaller, regional museum collections of decorative objects which began to emerge in the second half of the nineteenth century. Most of these shared with their national counterparts an intention to educate the public; almost all retained the intimacy and distinct authoring of their roots with local collectors. This thesis draws together common impulses from real and fictional evidence to suggest ways in which people's relationships to their objects were becoming increasingly sophisticated and intimate. It explores the growing role of local municipal museums in presenting manufactured and decorative pieces, in reinforcing moral and social messages around collecting and display, and in popularising decorative 'things' in the home and beyond, while also examining the growing fictional fascination with, and the increasing visibility of, objects in the novel.
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