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Journal articles on the topic 'Interventistica'

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1

Natali, G., M. Mancuso, and D. Pantoli. "Emostati nella pratica angiografica ed interventistica." Rivista di Neuroradiologia 8, no. 5 (1995): 721–25. http://dx.doi.org/10.1177/197140099500800513.

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Abstract:
Nella pratica angiografica ed interventistica, l'emostasi della ferita in sede femorale viene comunemente ottenuta mediante compressione manuale o meccanica, esercitata subito cranialmente alla sede di puntura. Tali metodiche non sono scevre da complicazioni emorragiche, soprattutto in pazienti in trattamento eparinico e comportano inoltre discreto disagio nei pazienti e un periodo di ospedalizzazione di almeno 12 ore, necessario alla osservazione clinica della ferita. Viene proposto un nuovo sistema di emostasi, il VasoSeal, che utilizza cartucce di collagene, opportu-namente introdotte lungo il tramite della ferita angiografica, dalla superficie del vaso leso a quella cutanea. Oltre alla funzione di tappo della cartuccia, il sistema sfrutta le proprietà emostatiche del collagene, che stimola la vasocostrizione locale, la formazione del trombo piastrinico iniziale e inoltre partecipa alla attiva-zione del processo di formazione del trombo di fibrina, senza essere influenzato dall'azione anticoagulante dell'eparina. Tale sistema, estremamente utile a prevenire le complicazioni emorragiche nei pazienti con disturbi della coagulazione, anche indotti da trattamento eparinico post-interventistico, appare ulteriormente interessante per la riduzione a 5–6 ore del tempo di emostasi, consentendo un regime ambulatoriale anche per le attività angiografiche ed interventistiche.
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2

Montaldo, C., and L. Simonetti. "INTERVENTISTICA SPINALE." Neuroradiology Journal 22, no. 6 (2009): 684–86. http://dx.doi.org/10.1177/197140090902200618.

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3

Andreula, C., and E. Piovan. "INTERVENTISTICA SPINALE." Neuroradiology Journal 22, no. 6 (2009): 708–10. http://dx.doi.org/10.1177/197140090902200627.

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4

Arcuri, T., and S. Masala. "INTERVENTISTICA SPINALE." Neuroradiology Journal 22, no. 6 (2009): 711–13. http://dx.doi.org/10.1177/197140090902200628.

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5

Mangiafico, S., and F. Ricciardi. "INTERVENTISTICA SPINALE." Neuroradiology Journal 22, no. 6 (2009): 731–36. http://dx.doi.org/10.1177/197140090902200636.

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6

Castellan, L., A. Casasco, and S. Perini. "Neuroradiologia interventistica pediatrica." Rivista di Neuroradiologia 12, no. 1 (1999): 169–71. http://dx.doi.org/10.1177/197140099901200134.

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7

Lena, P., H. Quintard, J. Sedat, and Y. Chau Huu Danh. "Anestesia in neuroradiologia interventistica." EMC - Anestesia-Rianimazione 25, no. 1 (2020): 1–12. http://dx.doi.org/10.1016/s1283-0771(20)43266-9.

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8

Dal Pozzo, G., and M. Gallucci. "INTERVENTISTICA SPINALE: TRATTAMENTO DEL DOLORE RACHIDEO." Neuroradiology Journal 22, no. 6 (2009): 681–83. http://dx.doi.org/10.1177/197140090902200617.

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9

Capaccio, P., P. Canzi, M. Gaffuri, et al. "Modern management of paediatric obstructive salivary disorders: long-term clinical experience." Acta Otorhinolaryngologica Italica 37, no. 2 (2017): 160–67. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-1607.

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Abstract:
I disordini ostruttivi salivari sono infrequenti nell’età pediatrica. I recenti progressi tecnologici nel distretto della testa e del collo hanno modificato la strategia diagnostica e terapeutica dei disordini salivari. La diagnosi è oggi basata sull’eco color Doppler, sulla scialo-RMN, sulla cone beam 3D TC, mentre la litotrissia extracorporea ed intracorporea, la scialoendoscopia interventistica, la chirurgia scialoendoscopico- assistita, sono attualmente utilizzati come procedure conservative e mininvasive per la preservazione funzionale della ghiandola affetta. Abbiamo analizzato i risultati dell’esperienza clinica a lungo termine nel trattamento dei disordini ostruttivi dell’età pediatrica. Un gruppo consecutivo di 66 pazienti pediatrici (38 femmine) con sintomi salivari ostruttivi causati da parotite ricorrente pediatrica (32 pazienti), calcoli (20), stenosi duttali (5), e ranule (9) è stato incluso nello studio. 45 pazienti sono stati sottoposti a scialoendoscopia interventistica per parotite ricorrente, calcoli e stenosi, 12 pazienti sono stati sottoposti ad un ciclo di litotrissia extracorporea (ESWL), tre pazienti a chirurgia transorale scialoendoscopico-assistita, un paziente a drenaggio, sei a marsupializzazione e due a sutura della ranula. Nel 90,9% è stato raggiunto un risultato favorevole. L’approccio combinato di litotrissia salivare extracorporea e di scialoendoscopia interventistica è stato utilizzato in tre pazienti ed una procedura secondaria è stata eseguita in sette pazienti. Nessun paziente è stato sottoposto a scialoadenectomia nonostante la persistenza di modesti sintomi ostruttivi in sei pazienti. Non è stata osservata alcuna complicanza maggiore. Adottando un adeguato iter diagnostico mediante eco color Doppler delle ghiandole salivari, scialo-RMN e cone beam 3D TC, i pazienti pediatrici con disordini ostruttivi salivari possono essere efficacemente trattati con un approccio moderno mini-invasivo mediante tecniche di litotrissia extracorporea ed intracorporea, scialoendoscopia interventistica, e chirurgia transorale scialoendoscopico-assistita; questo approccio garantisce un risultato favorevole nella maggior parte dei pazienti evitando così il ricorso alla scialoadenectomia invasiva e mantenendo così la preservazione funzionale della ghiandola coinvolta.
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Bonaldi, G. "La Neuroradiologia interventistica nella patologia del basicranio." Rivista di Neuroradiologia 13, no. 3 (2000): 495–507. http://dx.doi.org/10.1177/197140090001300317.

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Abstract:
Il basicranio è sede di una grande varietà di eventi patologici; la sua complessità anatomica condiziona una difficile accessibilità terapeutica, in particolare chirurgica. La neuroradiologia interventistica diviene quindi strumento di grandi utilità e versatilità, potendo da un lato intervenire a supporto del chirurgo, con tecniche di embolizzazione preoperatoria, dall'altro potendo realizzare trattamenti definitivi di lesioni non altrimenti aggredibili. Le lesioni neoplastiche di interesse neurointervenzionistico che più frequentemente coinvolgono tale distretto sono: - i meningiomi, tendenzialmente meno ipervascolari rispetto a quelli della volta, possono beneficiare di un'embolizzazione preoperatoria, in tal caso solitamente realizzata con particelle solide di piccole dimensioni. L'obiettivo è quello di ottenere una devascolarizzazione il più radicale e il più distale possibile; per tale motivo vengono utilizzate particelle anche di diametro medio inferiore ai cento micron, le particelle più usate sono di P.V.A. (gelatina di alcol di polivinile), la tecnica è quella della microcateterizzazione iperselettiva dei rami durali afferenti. Spesso l'asportazione radicale di neoplasie della base cranica (tipicamente i meningiomi della regione cavernosa) non può prescindere da una dissecazione del tumore dalle pareti dall'arteria carotide interna, con conseguente rischio intraoperatorio di lesione od occlusione della stessa. In questi casi diventa importante l'esecuzione preoperatoria di un test d'occlusione per valutare i circoli di compenso. - I chemodectomi sono tumori ipervascolari, pressoché ubiquitari ma la cui sede più frequente è rappresentata dalla regione timpano-giugulare. Una loro asportazione chirurgica totale, che può condurre alla completa guarigione, non può assolutamente prescindere da una devascolarizzazione preoperatoria mediante embolizzazione. Quest'ultima può essere realizzata sia con particelle solide, sia con colle acriliche. - L'angiofibroma giovanile naso-faringeo è una lesione neoplastica benigna, modicamente vascolarizzata, originante a livello del forame sfeno palatino, spesso con coinvolgimento verso l'alto delle regioni etmoidali e del basicranio anteriore, con apporti al circolo patologico neoformato originanti dai sifoni carotidei o dalle arterie oftalmiche, di difficile embolizzazione per via endovascolare con tecnica di microcateterismo; la neoplasia può quindi essere embolizzata mediante puntura diretta (attraverso orifici naturali o per via percutanea) e successiva iniezione di colla acrilica. Alcune malformazioni vascolari che coinvolgono il basicranio sono di particolari interesse terapeutico mediante gli approcci endovascolari della neuroradiologia interventistica. Gli aneurismi del sifone carotideo intracavernoso, che solitamente si rendono evidenti clinicamente quando raggiungono le dimensioni dell'aneurisma gigante, possono essere trattati mediante embolizzazione selettiva con spirali di Guglielmi e risparmio dell'arteria portante; più frequentemente per il loro trattamento è necessario il sacrificio dell'asse carotideo interno, mediante occlusione con palloncini staccabili previo test d'occlusione. Le fistole carotido cavernose dirette sono più spesso di natura post-traumatica, meno frequentemente da rottura di aneurisma intracavernoso, da collagenopatia, da displasia fibro-muscolare. Il trattamento endovascolare è particolarmente elegante, e uno dei primi trattamenti eseguiti a livello intracranico per via endovascolare. La tecnica consiste nel ripristinare la normale pervietà dell'arteria carotide interna, occludendo il tramite patologico, mediante gonfiaggio di un palloncino staccabile nel versante venoso. Solo nelle lesioni traumatiche più gravi, con lacerazioni irregolari o multiple della parete arteriosa, può essere necessario il sacrificio della stessa. È possibile in casi selezionati anche un trattamento per via venosa, mediante stipamento del seno cavernoso con spirali staccabili di Guglielmi. Le fistole durali più frequenti sono a livello della loggia cavernosa e delle regioni dei seni trasverso e sigmoideo. Esse possono essere trattate mediante embolizzazione degli apporti arteriosi durali, con particelle solide oppure con con colle acriliche; è possibile anche un approccio per via venosa a livello di un seno durale di scarico, solitamente occluso per pregresso evento trombotico, e successivo stipamento con spirali metalliche. Nei casi ritenuti chirurgici, con clippaggio dell'origine delle vene di scarico intracraniche, l'embolizzazione preoperatoria può ridurre il rischio dell'intervento diminuendo la pressione nelle strutture venose.
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Mazza, Ernesto, Luca Carmignani, Alessandro Stecco, and e. Paolo Lucibello. "La Radiologia Interventistica Nella Palliazione Del Carcinoma Pancreatico." Tumori Journal 85, no. 1_suppl (1999): 54–59. http://dx.doi.org/10.1177/030089169908501s13.

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Capaccio, P., S. Torretta, L. Pignataro, and M. Koch. "Salivary lithotripsy in the era of sialendoscopy." Acta Otorhinolaryngologica Italica 37, no. 2 (2017): 113–21. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-1600.

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Abstract:
Negli ultimi decenni i tradizionali approcci terapeutici alla patologia ostruttiva salivare sono stati gradualmente sostituiti da trattamenti conservativi e mini-invasivi tra cui la litotrissia salivare, la scialoendoscopia, le tecniche di radiologia interventistica e la rimozione vidoendoscopica di calcoli per via trans-orale o trans-cervicale. Tra queste tecniche la scialoendoscopia è attualmente considerata il trattamento di scelta, tuttavia la sola scialoendoscopia interventistica non preceduta da tecniche di frammentazione garantisce una completa rimozione dei calcoli salivari all’incirca nel 15-20% dei casi. Inoltre il 10-20% dei calcoli non è raggiungibile endoscopicamente o con altri approcci chirurgici. In questi casi la litotrissia salivare extracorporea rappresenta il trattamento di scelta. Nonostante ciò negli ultimi anni la litotrissia salivare extracorporea è stata gradualmente sostituita dalle tecniche di frammentazione intracorporee eseguite sotto controllo endoscopico tra cui la litotrissia salivare intracorporea laser e pneumatica video-assistita. In questo articolo verranno descritte le tecniche e le indicazioni residue alla litotrissia salivare, comprendente la litotrissia extracorporea e la litotrissia salivare intracorporea laser, elettroidraulica, elettrocinetica e pneumatica video-assistite. Verranno inoltre fornite le indicazioni residue di tali trattamenti.
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Marletta, F. "La neuroradiologia interventistica spinale e … Il punto di vista del Radioterapista." Rivista di Neuroradiologia 15, no. 4 (2002): 473–76. http://dx.doi.org/10.1177/197140090201500417.

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Abstract:
L'insorgenza di metastasi ossee è un evento frequente nella storia naturale di quasi tutte le neoplasie maligne e spesso incide molto sulla qualità di vita del paziente determinando algie e fratture patologiche invalidanti. L'interessamento della colonna vertebrale può determinare la comparsa di una sindrome da compressione midollare con gravi sequele neurologiche. La radioterapia riveste un ruolo di fondamentale importanza nel controllo della sintomatologia dolorosa, nella prevenzione e terapia delle fratture patologiche e nei casi di compressione midollare. La radioterapia transcutanea ottiene percentuali di risposte sulla sintomatologia dolorosa superiori al 75% anche quando viene ridotta la durata del trattamento per l'utilizzo di frazionamenti non convenzionali della dose (ipofrazionamenti o erogazione di una singola dose elevata eventualmente ripetibile alla ripresa della sintomatologia). La risposta sulla ricalcificazione delle lesione osteolitiche si verifica solo nel 25% circa delle lesioni irradiate e comunque con tempi di comparsa piuttosto lunghi (nel 70% dei casi si evidenzia radiologicamente 6 mesi dopo la radioterapia). Per tale motivo l'utilizzo di tecniche micro-invasive, quale la vertebroplastica percutanea, in grado di ottenere un effetto antalgico ed un rapido consolidamento delle vertebra, utilizzata in quei pazienti che non necessitano di una chirurgia decompressiva, può, in associazione alla radioterapia, certamente migliorare la risposta, sia in termini di controllo della sintomatologia antalgica che di stabilizzazione vertebrale. I risultati della radioterapia in caso di compressione midollare sono molto variabili e dipendono dalla gravità del deficit neurologico alla diagnosi, dalla tempestività del trattamento e dalla radiosensibilità della neoplasia. Se al trattamento chirurgico (laminectomia) si associa la radioterapia post-operatoria le percentuali di miglioramento della sintomatologia neurologica raggiungono il 60% mentre si ottengono risposte del 35% con la sola chirurgia decompressiva.
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Briganti, F., G. La Tessa, S. Cirillo, et al. "Trattamento percutaneo delle stenosi dei tronchi sovra-aortici: Esperienza multicentrica in Campania." Rivista di Neuroradiologia 10, no. 2_suppl (1997): 109. http://dx.doi.org/10.1177/19714009970100s242.

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Abstract:
Nell'ambito della patologia stenotica dei vasi epiaortici la P.T.A. ha raggiunto un ruolo di primo piano; essa rappresenta il trattamento di prima scelta nelle stenosi delle origini delle arterie carotidi e succlavie. L'introduzione di protesi endovascolari (stent) ha migliorato i risultati del trattamento endovascolare. Questo lavoro valuta i risultati ottenuti da un gruppo di studio campano in tre differenti centri di neuroradiologia interventistica in quattro anni di attività sono stati trattati 35 pazienti affetti da patologia steno-ostruttiva del distretto epiaortico con un'età compresa tra i 60 ed i 72 anni. La valutazione dei risultati pertanto è stata fatta sul controllo angiografico immediato e clinico-strumentale (echo-doppler) a distanza.
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Granata, A., A. Clementi, M. Insalaco, et al. "Gli ultrasuoni nella pianificazione della fistola arterovenosa." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 24, no. 3 (2018): 67–72. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2012.1164.

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Abstract:
Presupposto fondamentale per una buona efficienza dialitica è la presenza di un accesso vascolare ben funzionante. La fistola arterovenosa con vasi nativi rappresenta l'accesso vascolare di prima scelta, sia per il basso rischio infettivo sia per la lunga sopravvivenza. Nel caso di grave depauperamento del patrimonio vascolare dell'avambraccio, la protesi in politetrafluoroetilene costituisce una valida alternativa. Il monitoraggio periodico con eco-color Doppler si è dimostrato in grado di individuare disfunzioni precoci sia della fistola arterovenosa che della protesi, anticipandone l'eventuale procedura interventistica e migliorandone la sopravvivenza a lungo termine. Tuttavia, è ancora controversa l'opportunità di un programma di monitoraggio ecografico sistematico dell'accesso vascolare.
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Jovane, Carlo, Sara Dominijanni, Emidio Costantini, et al. "Nefrologia Interventistica: una disciplina in evoluzione. L’esperienza di due centri italiani a confronto." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 32, no. 1 (2020): 40–46. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2020.1187.

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Abstract:
We describe the multidisciplinary work of nephrological realities belonging to two different Regional Health Systems, Lombardia and Lazio. The interventional nephrologist is a specialist in nephrology with ultra-specialist know-how for vascular access for dialysis. He is the coordinator of a team of vascular accesses and applies a team work with the other interventional nephrologists, with the vascular surgeon and the interventional radiologist, with whom he decides the diagnostic-therapeutic procedure to perform the best possible vascular access for that individual patient.
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Simonetti, L., P. Cenni, L. Raffi, and M. Leonardi. "Un semplice database per il monitoraggio dell'attività interventistica di un reparto di Neuroradiologia." Rivista di Neuroradiologia 16, no. 1_suppl (2003): 75. http://dx.doi.org/10.1177/19714009030160s126.

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FARNETI, P., G. MACRÌ, G. GRAMELLINI, M. GHIRELLI, F. TESEI, and E. PASQUINI. "Curva di apprendimento nella scialoendoscopia diagnostica e interventistica per le patologie salivari ostruttive." Acta Otorhinolaryngologica Italica 35, no. 5 (2015): 325–31. http://dx.doi.org/10.14639/0392-100x-352.

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Abstract:
La scialoendoscopia è un nuovo strumento diagnostico e chirurgico che offre l’opportunità di trattare alcune patologie delle ghiandole salivari con procedure non invasive e con risultati potenzialmente superiori alle precedenti tecniche. Come per tutte le nuove tecniche, per raggiungere rapidamente risultati paragonabili a quelli riportati in letteratura, è indispensabile un corretto programma di formazione che segua una graduale curva di apprendimento. Questo include un appropriato programma diagnostico, una corretta selezione dei pazienti e la conoscenza delle possibili insidie operatorie. Abbiamo eseguito uno studio retrospettivo confrontando le prime 141 procedure (74 parotidee e 67 sottomandibolari) eseguite con questa tecnica nel nostro Dipartimento dal 2009 al 2013 con analoghe esperienze riportate in letteratura. I pazienti sono stati divisi in 3 gruppi: Gruppo A (le prime 49 procedure effettuate), gruppo B (le successive 50), Gruppo C (le ultime 42 procedure effettuate). Fra i tre gruppi non sono state evidenziate differenze statisticamente significative nei tempi medi di durata delle procedure, nella percentuale di ricorrenza della sintomatologia dopo il trattamento, nel numero di pazienti che hanno necessitato di più trattamenti e nell’incidenza di complicanze minori. Non sono state riportate complicanze maggiori. Con l’acquisizione di una maggiore esperienza da parte dei chirurghi si è evidenziato un progressivo calo del numero di interventi eseguiti in anestesia generale rispetto a quelli in anestesia locale (51% vs 18% vs 14%). Solo in tre casi su 130 ghiandole trattate (2.3%) è stato necessario eseguire un’asportazione ghiandolare. Per i calcoli salivari è stato valutato il tipo di tecnica utilizzato per l’estrazione e la percentuale d’insuccesso che era analoga nei tre gruppi (13.6% vs 15% vs 15%). I nostri risultati non differiscono sostanzialmente da quelli riportati in letteratura. Abbiamo risolto la difficoltà iniziale nella cateterizzazione del dotto con esercizi chirurgici su cadavere o su teste di maiale. La mancanza di precisione degli strumenti diagnostici radiologici può essere migliorata autonomizzando il chirurgo nell’esecuzione delle ecografie pre e post-operatorie. Viene infine sottolineata l’opportunità di creare dei centri di scialoendoscopia con un bacino di utenza di circa 1 o 2 milioni di abitanti in modo da concentrare le patologie, far fronte agli elevati costi della strumentazione necessaria e poter guadagnare la necessaria esperienza nelle gestione delle varie tecniche chirurgiche.
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Lovaria, Andrea, Antonio Nicolini, and Daniele Meregalia. "La radiologia interventistica nel trattamento delle stenosi venose centrali nei pazienti con FAV dialitiche." Giornale di Tecniche Nefrologiche e Dialitiche 14, no. 3_suppl (2002): 35–37. http://dx.doi.org/10.1177/03949362020140s314.

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Lovaria, Andrea, Antonio Nicolini, and Daniele Meregalia. "La radiologia interventistica nel trattamento delle stenosi venose centrali nei pazienti con FAV dialitiche." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 14, Suppl. 3 (2002): S35—S37. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2002.1631.

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Testa, C. "Aneurismi cerebrali: Dalla clip alla embolizzazione." Rivista di Neuroradiologia 7, no. 5 (1994): 705–21. http://dx.doi.org/10.1177/197140099400700501.

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Abstract:
Alla fine degli anni '70, i Centri Neurochirurgici italiani progressivamente adottano protocolli per il trattamento «globale» delle emoraggie subaracnoidee (ESA). L'argomento si allarga: dall'aneurisma, responsabile dell'emorragia, a comprendere tutta la problematica propria ad una sindrome (quella da ESA, appunto) estremamente complessa nella sua presentazione e nei conseguenti risvolti diagnostico-terapeutici. Protocolli orientati alia «Chirurgia Tardiva» o alla «Chirurgia Precoce» vengono applicati in un numero crescente di Centri. A diffondere questi orientamenti contribuisce in particolare il «Cooperative Study on Timing for Ruptured Cerebral Aneurysms Surgery» (Kassell, 1980) cui partecipano alcuni Centri italiani. L'autore ha vissuto in prima persona questa evoluzione tecnico-culturale, che lentamente si consolida negli anni e che attualmente si trova a fronteggiare un'altra importante innovazione: i protocolli debbono d'ora in poi tenere conto anche della Neuroradiologia Interventistica, che a pieno diritto entra a far parte delle tecniche operatorie. Tra l'iniziale elaborazione di protocolli di trattamento delle ESA e le prime operazioni di Neuroradiologia Interventistica, si esaurisce l'arco di esperienza dell'autore, in tema di Neurochirurgia Vascolare. La evoluzione concettuale e pratica nel trattamento delle ESA viene esemplificata con la presentazione di tre successive casistiche del Centro di Bologna (1977–1982; 1982–1986; 1986–1992). I risultati ottenuti nelle tre casistiche vengono posti a confronto ed i motivi del progressivo miglioramento sono analizzati. Il miglioramento viene ascritto alia graduale elaborazione di un protocollo per il trattamento delle ESA «personalizzato», adattato quindi alle reali risorse umane e strumentali proprie al Centro di Bologna (così come qualsiasi altro Centro possiede peculiari proprie risorse). Senza disconoscere il grande merito dei Centri neurochirurgici ad «alto livello» (in buona parte negli U.S.A.), l'Autore ritiene che i Centri di «medio livello» (tra i quali Bologna si classifica) debbano e possano mirare a ottimizzare i propri risultati grazie ad una gestione non basata sulla imitazione di quanto altri (pur eccellenti) fanno; ma piuttosto sulla valorizzazione di quanto ciascun Centro ha realmente a disposizione. Il tutto è presentato in modo informale, sotto forma di una lunga lettera all'Editore di questa Rivista.
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Seguin, A., H. Dutau, C. H. Marquette, et al. "Chirurgia della trachea e dei bronchi: ruolo della broncoscopia interventistica per le lesioni non chirurgiche." EMC - Tecniche Chirurgiche Torace 19, no. 1 (2015): 1–12. http://dx.doi.org/10.1016/s1288-3336(15)70702-8.

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Licata, Gaetano. "L'analogia "La natura dell'Arte" in Aristotele (Fisica B, 3-9) e la Teoria Interventistica della Causalita." EPISTEMOLOGIA, no. 2 (March 2016): 175–94. http://dx.doi.org/10.3280/epis2015-002001.

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Esposito, Giovanni, and Anna Franzone. "The TAVI: Transcatheter Aortic Valve Implantation." Cardiologia Ambulatoriale, no. 1 (January 30, 2020): 49–57. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2020-1-4.

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Abstract:
L’impianto transcatetere di valvola aortica (Transcatheter Aortic Valve Replacement, TAVI) è una procedura di cardiologia interventistica, introdotta nel 2002, che prevede il posizionamento e l’impianto di una protesi biologica a livello dell’annulus aortico mediante accesso percutaneo, prevalentemente transfemorale. Dopo le prime esperienze cliniche, riservate a pazienti senza altre opzioni terapeutiche, la TAVI si è affermata come alternativa all’intervento chirurgico tradizionale di sostituzione valvolare grazie ad una serie di studi randomizzati che ne hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza in pazienti appartenenti a tutto lo spettro del rischio operatorio (da estremo a basso). L’utilizzo della TAVI è in continua crescita, a livello mondiale, e si assiste ad una progressiva espansione delle sue indicazioni cliniche (stenosi di valvola bicuspide, insufficienza aortica severa). Il presente articolo ha lo scopo di riassumere i recenti progressi nell’ambito del trattamento transcatetere della stenosi valvolare aortica, descrivere le caratteristiche della procedura e analizzare i risultati degli studi che ne hanno favorito la diffusione nella pratica clinica.
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Cosmai, Laura, Camillo Porta, Carmelo Privitera, et al. "Acute kidney injury from contrast-enhanced CT procedures in patients with cancer: white paper to highlight its clinical relevance and discuss applicable preventive strategies." ESMO Open 5, no. 2 (2020): e000618. http://dx.doi.org/10.1136/esmoopen-2019-000618.

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Abstract:
Patients with cancer are subjected to several imaging examinations which frequently require the administration of contrast medium (CM). However, it has been estimated that acute kidney injury (AKI) due to the injection of iodinated CM accounts for 11% of all cases of AKI, and it is reported in up to 2% of all computed tomography (CT) examinations. Remarkably, the risks of developing AKI are increased in the elderly, in patients with chronic kidney disease or diabetes, and with dehydration or administration of nephrotoxic chemotherapeutics. Given the common occurrence of post-contrast acute kidney injury (PC-AKI) in clinical practice, primary care physicians and all specialists involved in managing patients with cancer should be aware of the strategies to reduce the risk of this event. In 2018, a panel of five experts from the specialties of radiology, oncology and nephrology were speakers at the annual meeting of the Italian Society of Medical Radiology (Società Italiana di Radiologia Medica e Interventistica), with the aim of commenting on existing evidence and providing their experience on the incidence and management of PC-AKI in patients with cancer. The discussion represented the basis for this white paper, which is intended to be a practical guide organised by statements describing methods to reduce renal injury risks related to CM-enhanced CT examinations in patients with cancer.
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Lombardi, Maristella, Tagliente, Maria Rosaria, and Calabrese, Gerolmina. "Trattamento interventistico nelle cardiopatie congenite dell’adulto." Cardiologia Ambulatoriale, no. 2 (2016): 133–38. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2016-2-11.

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Marcucci, Dario. "Jahier interventista: il ruolo di Claudel e Proudhon." Incontri. Rivista europea di studi italiani 33, no. 2 (2018): 78. http://dx.doi.org/10.18352/incontri.10268.

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Fand, David I. "On the Savings and Loan Debacle (*)." Journal of Public Finance and Public Choice 10, no. 1 (1992): 35–50. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907539374.

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Abstract:
Abstract Scopo di questo lavoro è di indagare le ragioni che sono alia base del crollo dei risparmi e dei prestiti manifestatosi negli Stati Uniti a partire dai primi anni 80, fenomeno che, sebbene unico nella sua durata e singolare nelle sue dimensioni, è considerato dall’autore essere il risultato di forze ordinarie, generalmente presenti nella gestione del credito. L’esame di queste forze, arricchito di una serie di notazioni di storia monetaria, rappresenta il nucleo centrale dell’articolo. L’autore ne individua ed esamina quattro: la filosofia interventista dominante; l’atteggiamento eccessivamente ottimista nella valutazione delle istituzioni di deposito non bancarie; il mantenimento della costruzione residenziale, a qualunque costo; il rent-seeking dei politici e dei burocrati.
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Benadusi, Lorenzo. "Interventisti con prudenza: la pubblicistica militare dall'inquieto dopoguerra libico al maggio del 1915." VENTUNESIMO SECOLO, no. 38 (November 2016): 149–71. http://dx.doi.org/10.3280/xxi2016-038008.

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Papadia, Elena. "La generazione interventista e la memoria del Risorgimento. Il caso di Gualtiero Castellini." MEMORIA E RICERCA, no. 33 (May 2010): 115–33. http://dx.doi.org/10.3280/mer2010-033008.

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Piana, C., and U. Pasquini. "L'angiografia digitale nelle neoplasie cranioencefaliche." Rivista di Neuroradiologia 6, no. 2 (1993): 155–66. http://dx.doi.org/10.1177/197140099300600205.

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Abstract:
L'angiografia cerebrale nella diagnosi delle lesioni tumorali cranio-encefaliche riveste un ruolo condizionato dalla TC e dalla RM. L'esatta definizione anatomo-topografica e strutturale dei tumori cranio-encefalici viene infatti definita in modo ottimale da dette metodiche. L'angiografia continua a rivestire un ruolo come metodica immediatamente precedente l'atto operatorio o qualunque altro atto terapeutico aggressivo. Nel presente lavoro vengono descritti i principali quadri semeiotici angiografici dei tumori cerebrali, facendo riferimento alla sola angiografia digitale che costituisce l'elemento di novità sostanziale rispetto a precedenti lavori al riguardo. È da sottolineare come l'angiografia attualmente venga rivalutata ed abbia un ruolo insostituibile nel caso delle procedure interventistiche vascolari che non possono prescindere da un accurato bilancio angiografico preliminare. Sono da ricordare il trattamento chemioterapico endo-arterioso, l'embolizzazione pre-operatoria dei tumori ipervascolarizzati benigni, tra i quali il meningioma, e la pianificazione di interventi di neurochirurgia stereotassica.
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Galli, Franco, Luigi Tazza, and Luciano Carbonari. "Il team dell'accesso vascolare: istruzioni per I'uso." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 25, no. 2 (2013): 85–88. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2013.1013.

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Abstract:
Gestire l'accesso vascolare oggi è sempre più difficile per il nefrologo, soprattutto se deve farlo da solo. Il team dell'accesso vascolare è uno strumento importante del quale ciascun nefrologo dovrebbe dotarsi; è costituito da varie componenti, a iniziare da quella infermieristica “strutturalmente” già presente in un centro dialisi. Chirurgo vascolare e angioradiologo interventista sono ormai alleati irrinunciabili per il nefrologo che deve affrontare i problemi sempre più complessi dell'accesso vascolare. I componenti del team devono poter interagire fra loro sotto la sapiente regia del nefrologo, la cui cultura sul tema deve essere la più ampia, completa e aggiornata possibile. L'impossibilità di creare il team dell'accesso per mancanza di specialisti nella struttura in cui opera, non deve mai però impedire al nefrologo di individuare altri team esterni a cui fare riferimento per proporre i suoi casi complessi.
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Trani, Antonio, Antonio Cardinale, and Pierluigi Antonino Cappiello. "La terapia dell’insufficienza venosa cronica." Cardiologia Ambulatoriale 29, no. 1 (2021): 63–72. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2021-1-8.

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Abstract:
La malattia venosa cronica è una patologia ad altissima prevalenza nella popolazione generale, caratterizzata da andamento cronico e progressivo. Secondo la classificazione internazionale CEAP, viene differenziata in stadi di complessità e gravità crescenti, da C0 a C6. Si è soliti definire gli stadi iniziali C0-C2 nel loro complesso come malattia venosa cronica propriamente detta, mentre gli stadi avanzati C3-C6 definiscono più propriamente l’insufficienza venosa cronica. Senza un trattamento adeguato, la malattia venosa tende a peggiorare e progredire inevitabilmente verso gli stadi più avanzati, caratterizzati dalle ulcere venose. La causa iniziale e l’aggravamento progressivo sono sostenuti da stimoli infiammatori a carico della parete venosa e dei tessuti perivenosi, che provocano un danno strutturale di parete e delle valvole venose, conducendo all’ipertensione venosa e compromettendo la fisiologica funzione del ritorno venoso. In relazione allo stadio e alla severità, la malattia venosa cronica richiede tipologie di trattamento differenziate, sulla base dei sintomi e segni prevalenti, comprendenti l’utilizzo di farmaci venoattivi in associazione con tecniche interventistiche mininvasive e chirurgiche.
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Andreula, C. F. "Ernie discali lombosacrali e patologia degenerativa correlata. Trattamento interventistico spinale con chemiodiscolisi con nucleoptesi con O3e infiltrazione periradicolare e periganglionare." Rivista di Neuroradiologia 14, no. 1_suppl (2001): 81–88. http://dx.doi.org/10.1177/19714009010140s118.

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Andreula, C. F. "Ernie discali lombosacrali e patologia degenerativa correlata. Trattamento interventistico spinale con chemiodiscolisi con nucleoptesi con O3 e infiltrazione periradicolare e periganglionare." Rivista di Neuroradiologia 13, no. 4 (2000): 533–40. http://dx.doi.org/10.1177/197140090001300401.

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Piredda, Patrizia. "La costruzione retorica e le implicazioni etiche dell’uso dell’immagine dell’eroe nel discorso interventista di Quarto di Gabrielle d’Annunzio." Quaderni d'italianistica 34, no. 1 (2013): 115–31. http://dx.doi.org/10.33137/q.i..v34i1.19875.

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Abstract:
Questo articolo è uno studio sulle implicazioni etiche che soggiacciono alla retorica del linguaggio dannunziano, in particolar modo alla costruzione dell’immagine dell’eroe nei discorsi a favore dell’interventismo. Scopo dell’articolo è mostrare che d’Annunzio utilizza un nuovo modo di argomentazione, estraneo alle forme della retorica classica, fondata sull’entimema ossia sulla dimostrazione logica di una tesi, in quanto propone una nuova forma fondata invece sull’immediatezza del sentimento. Ciò comporta uno slittamento per cui chi ascolta non è più chiamato a valutare razionalmente l’argomento per vagliarne la validità, ma è chiamato ad aderirvi irrazionalmente, senza mediazione della ragione, e a prendere per vero il contenuto del discorso. Lo scopo dell’articolo è mostrare che un argomento forense, come i discorsi dannunziani per l’interventismo, quando viene esposto in termini apodittici, pur essendo mancante di un fondamento logico evidente, al fine di convincere chi ascolta a intraprendere una determinata azione, ha un’implicazione pratica che può essere considerata in termini kantiani immorale.
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Cangiano, Mimmo. "Raccontare la totalità. Uomini Contro di Francesco Rosi." Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 51, no. 1 (2017): 218–31. http://dx.doi.org/10.1177/0014585817691958.

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Abstract:
Il saggio si concentra sull’analisi del film Uomini contro (1970) di Francesco Rosi, analizzandolo nell’ottica lukácsiana dei concetti di totalità, tipico e realismo. L’autore intende dimostrare come Rosi, nella sua ‘rilettura’ di Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, abbia portato in gioco una peculiare interpretazione marxista tanto della Grande Guerra quanto del mezzo cinematografico come strumento adatto a fornire un’interpretazione di classe delle numerose relazioni sociali, politiche, economiche che attraversavano il Paese al tempo. Si dimostra poi come Rosi abbia inoltre connesso l’interpretazione dell’evento storico determinato ad una più generale lettura incentrata sugli effetti del primo conflitto mondiale sia nel rapporto di questo con l’Italia del primo ’900, sia con gli sviluppo storici (in particolare il Fascismo) successivi. Rispetto al libro di Lussu, il film di Rosi si caratterizzerebbe dunque non tanto per il suo essere uno riscrittura ‘attualizzante’ (sullo sfondo del ’68 e della guerra in Vietnam) di Un anno sull’altipiano, ma una riscrittura tesa a esaminare il conflitto mondiale (e le interpretazioni ideologiche di questo, Lussu compreso) tanto nell’ottica dialettica del momento storico determinato (rapporto della Grande Guerra con le necessità industriali italiane, ruolo degli intellettuali interventisti, crollo dell’Internazionale socialista, ecc.), quanto momento cardine degli sviluppi successivi del conflitto di classe.
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Alosco, Antonio. "Il percorso socialista di Gabriele D’Annunzio tra storia e letteratura." Forum Italicum: A Journal of Italian Studies 54, no. 1 (2020): 377–90. http://dx.doi.org/10.1177/0014585820909283.

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Abstract:
La complessa personalità di Gabriele D’Annunzio, in una costante sincronica evoluzione della produzione letteraria con l’attivismo politico, ha attraversato un periodo – spesso dimenticato dai critici – di vicinanza alle idee socialiste. Attratto dalla vitalità e dalle idee progressiste della sinistra che rispondeva alle leggi liberticide e reazionarie di Pelloux, se ne fece influenzare sia nel periodo dell’impresa fiumana, che in una prima fase di contestazione al fascismo, appoggiando la sinistra radicale. Influssi dannunziani si ritrovano, in quel periodo, nel linguaggio adottato dall’ Avanti! e nell’apprezzamento che anche ambienti socialisti dimostrarono per l’opera letteraria del Vate. Dopo il 1906 le strade dei socialisti e di D’Annunzio si divaricarono fino a contrapporsi. D’Annunzio rilanciò le posizioni nazionalistiche e, al rientro in Italia dopo il soggiorno in Francia tra il 1904 e il 1915, condusse un’attività politica tradottasi, nelle fasi iniziali della Prima guerra mondiale, nel sostegno attivo dei movimenti interventisti, poi nella partecipazione attiva sul campo come “uomo d’arme”, e da ultimo nelle azioni postbelliche degli irredentisti. Le imprese “rivoluzionarie” del poeta affascinarono anche alcune frange del socialismo italiano e l’impresa di Fiume, realizzata in collaborazione con il socialista Alceste De Ambris, raccolse gli elogi di Lenin e produsse la Carta del Carnaro, costituzione che conteneva elementi avanzati di matrice socialista.
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Pappalardo, Adriano. "DAL PLURALISMO POLARIZZATO AL PLURALISMO MODERATO. IL MODELLO DI SARTORI E LA TRANSIZIONE ITALIANA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 26, no. 1 (1996): 103–45. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200024059.

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Abstract:
IntroduzioneNegli anni novanta, l'Italia è entrata in un processo di transizione che è ormai divenuto oggetto di un'abbondante letteratura nazionale e straniera. Piuttosto ovviamente, la natura di tale transizione è ben diversa da quelle dei paesi postcomunisti e, come ha opportunamente sottolineato Pasquino (1994; 1995), poco comparabile con altri precedenti storici. Anche la Francia, che questo autore considera il miglior termine di confronto, lo è in realtà assai relativamente sotto una varietà di punti di vista. Mentre infatti la Quarta e, per lungo tempo, anche la Quinta Repubblica sono rimasti classici casi di pluralismo polarizzato (Sartori 1982, 256–262), l'Italia degli anni novanta non può più essere definita tale, e proprio per questo (o, almeno, anche per questo) si è avviata alla presente transizione. Come è noto, inoltre, le riforme golliste investirono essenzialmente le principali istituzioni politiche della repubblica, ma lasciarono inalterati il subsistema burocratico e la struttura (centralizzata) dello Stato, che sono, invece, componenti tutt'altro che secondarie per comprendere il decorso e gli eventuali sbocchi della crisi italiana. Ma, infine, tale crisi si intreccia anche al declino dello Stato sociale e interventista, coinvolgendo la ridefinizione dei confini fra politica ed economia e il ruolo delle grandi organizzazioni degli interessi, sindacati in testa. Come dire che, oltre al sistema politico-istituzionale ed alla pubblica amministrazione, le relazioni industriali e i loro attori pubblici e privati rappresentano una terza dimensione di cambiamento, che altrove è stata poco importante (Francia), ovvero incomparabilmente diversa (regimi postcomunisti).
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Lacquaniti, A., and M. Buemi. "Nefropatia da mezzodi contrasto: il parere del Nefrologo." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 24, no. 2 (2018): 6–8. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2012.1129.

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Abstract:
La nefropatia da contrasto (CIN) rappresenta oggi la terza causa di insufficienza renale acuta (AKI) in pazienti ospedalizzati, condizione da ricondurre a un incremento dei pazienti che si sottopongono a procedure radiologiche interventistiche richiedenti la somministrazione intravascolare di mezzi di contrasto iodati (ICM). Bisogna inoltre considerare un incremento di soggetti con fattori di rischio quali l'età avanzata, una preesistente patologia renale, scompenso cardiaco, infarto del miocardio, diabete mellito. Si considera CIN la presenza di un incremento assoluto (= 0.5mg/dL) e relativo (= 25%), rispetto ai valori basali, della creatinina sierica (sCreat) a 48–72 ore dall'esposizione dell'ICM. È noto però come in pazienti con variazioni acute del filtrato glomerulare (GFR), sCreat è un marker dotato di poca sensibilità e specificità diagnostica. Infatti, il 25–50% dell'incremento della creatinina, con alto valore predittivo di CIN, si verifica più frequentemente solo 24 ore dopo la somministrazione dell'ICM. Negli ultimi anni, sono stati condotti studi non solo al fine di identificare nuovi biomarcatori, ma anche per valutare eventuali strategie terapeutiche preventive. La somministrazione endovenosa di soluzione salina allo 0.9% è ampiamente accettata come terapia profilattica di CIN. Diversi sono inoltre gli studi condotti che prevedono la somministrazione di bicarbonato di sodio o di N-acetilcisteina (NAC). Purtroppo molti studi mancano di potenza statistica o sono basati su diverse definizioni di CIN. Ciò ha determinato la mancanza di linee guida universali accettate dai radiologi, nefrologi, cardiologi o da altre figure professionali coinvolte. Sono quindi necessari ulteriori studi al fine di validare i risultati sino ad ora ottenuti, specie utilizzando marcatori dotati di maggiore potere diagnostico e prognostico rispetto alla creatinina sierica, quali NGAL, Cistatina C e KIM-1.
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Biroli, F., F. De Gonda, L. Torcello, D. Prosetti, O. Manara, and V. Cassinari. "Fratture del dente dell'epistrofeo." Rivista di Neuroradiologia 2, no. 3 (1989): 273–78. http://dx.doi.org/10.1177/197140098900200309.

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Abstract:
Le fratture del dente dell'epistrofeo rappresentano circa il 15% delle fratture del rachide cervicale. Vengono esaminati venti casi consecutivi osservati presso la Divisione di Neurochirurgia di Bergamo nel triennio 1984–1987: undici casi erano del secondo tipo di Anderson-D'Alonzo, e nove casi del terzo tipo. In diciassette casi la diagnosi fu tempestiva, mentre in tre la frattura fu misconosciuta e trattata tardivamente. Nel primo gruppo, dopo aver costantemente ottenuto una buona riduzione della frattura, il trattamento iniziale è stato sempre l'applicazione di un presidio di Halo, sotto controllo scopico. II periodo medio di applicazione è stato di 115 giorni. L'unica complicazione osservata è stata il frequente allentamento delle viti del cerchio, talora con flogosi localizzate in relazione al prolungato mantenimento dell'anello. Nel secondo gruppo di pazienti, in cui è sempre stata constatata l'assenza di un callo riparativo, il nostro atteggiamento è stato interventistico, praticando un'artrodesi per via posteriore seguita da applicazione di Halo. Il protocollo di monitoraggio prevede l'esecuzione mensile di radiogrammi standard nelle due proiezioni associati ad uno studio tomografico al fine di valutare la formazione del callo osseo e l'allineamento tra i monconi di frattura. Solo dopo l'osservazione di una soddisfacente riparazione ossea si procede alla rimozione dell'Halo ed all'esecuzione di radiogrammi nelle prove funzionali di estensione e flessione per confermare la stabilità dei monconi. I risultati sono stati complessivamente buoni. Nel primo gruppo tutte le fratture di terzo tipo sono guarite con formazione di callo osseo. Una sola frattura del secondo tipo non ha mostrato alcun fenomeno riparativo a tre mesi, per cui è stata sottoposta ad intervento chirurgico come già indicato, con successiva guarigione. Nel secondo gruppo abbiamo avuto un solo parziale insuccesso dovuto ad un'infezione della ferita chirurgica, guarita comunque per seconda intenzione. In conclusione, le fratture non significativamente dislocate o angolate, siano di secondo o di terzo tipo, meritano a parer nostro un primo approccio conservativo, avendo un'alta probabilità di guarigione. Se dislocate od angolate significativamente, può essere corretto proporre elettivamente la stabilizzazione chirurgica, the rimane comunque la scelta obbligata nei casi di mancata saldatura, di pseudoartrosi o di fratture inveterate. Nel primo caso il trattamento più efficace appare quello con Halo. L'intervento chirurgico è preferibilmente eseguito, secondo varie tecniche fra cui quella da not descritta, per via posteriore.
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Andreula, C., and I. Kambas. "Il dolore lombosacrale da ernie discali lombosacrali e patologia degenerativa correlata." Rivista di Neuroradiologia 15, no. 4 (2002): 421–30. http://dx.doi.org/10.1177/197140090201500411.

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Abstract:
La patogenesi del dolore lombo-sacrale è ancora motivo di discussione e potrebbe essere sostenuta non solo da fattori meccanici diretti di compressione del disco (protrusione o ernia) sul nervo con conseguente alterazione della guaina mielinica, ma anche da fattori meccanici indiretti generati da stasi venosa e conseguente ischemia delle radici particolarmente sensibili all'ipossia e da fattori infiammatori di tipo immunomediato e di tipo bioumorale legati al disco. La gestione del paziente lombosciatalgico affidata al chirurgo dopo il fallimento della terapia medica, conservativa e fisiatrica ha rivelato che nelle casistiche chirurgiche più equilibrate la percentuale di successo degli interventi per ernia del disco lombosacrale si aggira sul 95–98% a breve termine con un'incidenza di reale recidiva erniaria nel 2–6%, la percentuale di successo scende a distanza fino all' 80–85%, per la comparsa di sintomatologia legata al fallimento chirurgico (Failed Back Surgery Sindrome FBSS), caratterizzata da recidive e/o cicatrici ipertrofiche, con sintomi rilevanti nel 20%, e vera e propria FBSS nel 15%. Tali dati hanno indotto a ricercare sempre nuove tecniche microchirurgiche per ridurre tali risultati indesiderati e contemporaneamente sono state approntate tecniche di trattamento percutaneo secondo procedure intervenzionali (chemiodiscolisi con chimopapaina, con ossigeno-ozono, nucleoaspirazione secondo la tecnica di Onik …) per ridurre al minimo da un lato l' “invasività” chirurgica, e dall'altro le non rare complicazioni di natura infettiva correlate all'intervento. Tutte le tecniche percutanee sono atti medici poco invasivi, con tempi di ospedalizzazione brevi. Il loro approccio extra canale spinale elimina i rischi connessi all'atto chirurgico di cicatrice post-operatoria, spesso responsabile di recidiva di sintomatologia dolorosa. Hanno inoltre il vantaggio di essere ripetibili nello stesso paziente senza precludere in caso di insuccesso il ricorso alla chirurgia tradizionale. Le percentuali di successo riportate da numerose casistiche si aggirano sul 65–75% di risultati ottimi o buoni. Queste procedure interventistiche spinali agirebbero sulla genesi meccanica del dolore riducendo quantitativamente il materiale nucleare, ma non espleterebbero alcuna azione sulla componente infiammatoria di origine radicolare e/o gangliare, talvolta causa autonoma del dolore. Pertanto in corso di trattamento di chemiodiscolisi con miscela di ossigeno-ozono, si è proceduto all'aggiunta di infiltrazione periradicolare e periganglionare con ossigeno-ozono, steroidi e anestetici. Gli autori riportano la loro personale esperienza sull'utilizzo del trattamento di Chemiodiscolisi con nucleoptesi con ossigeno-ozono con infiltrazione periradicolare e periganglionare nelle ernie discali lombosacrali e patologia degenerativa correlata.
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Carbonari, L., F. Galli, and L. Tazza. "Team dell'accesso vascolare: modelli organizzativi." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 24, no. 1 (2018): 2–8. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2012.1105.

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Abstract:
Il nefrologo, che si confronta con tutti i problemi inerenti all'insufficienza renale, è anche da sempre principale gestore della terapia emodialitica. Per tale motivo tocca al nefrologo, in prima istanza, occuparsi dell'accesso vascolare disponendone l'allestimento, la sorveglianza e la manutenzione a garanzia della possibilità di effettuare il trattamento sostitutivo. Rispetto a quanto avviene in altri paesi, in Italia l'attività dell'accesso non è ad oggi standardizzata né strutturata; ciascun centro dialisi si organizza in funzione delle capacità dei nefrologi ivi operanti e delle collaborazioni di altri specialisti presenti nell'ospedale, spesso senza un percorso strutturato e con modalità di intervento per lo più fondate sulla disponibilità personale e sul volontarismo. Partendo dalla storia dell'accesso vascolare in Italia, abbiamo individuato tre tipologie organizzative che correlano, da un lato, con il contesto storico in cui sono sorte e, dall'altro, con il progresso, in termini di dispositivi medici e competenze specialistiche, che ha via via modificato i comportamenti. Il modello organizzativo “primordiale” vede il nefrologo confezionare e correggere personalmente gli accessi disponibili in quell'epoca. Nel modello polispecialistico, che nasce successivamente, il nefrologo inizia a delegare ad alti specialisti, più competenti sul versante tecnico, singole fasi del lavoro; resta colui che inizia il percorso e detta i tempi ma perde, talora, il controllo della gestione complessiva. Nel modello strutturale integrato, ideale ma non ancora integralmente realizzabile, il chirurgo dedicato all'accesso dialitico ed il radiologo interventista interagiscono da vicino con il nefrologo, che funge da regista, coordinatore e amministratore di tutto il processo di gestione dell'accesso vascolare. La formazione culturale specifica e necessaria e la conoscenza del programma terapeutico complessivo sono condivise dal team dell'accesso. In tale modello integrato dovrebbero essere trovate soluzioni perché anche la responsabilità professionale ed il rimborso amministrativo risultino bene “integrate” tra i vari specialisti ed operatori sanitari che partecipano all'attività. Il rimborso a D.R.G. com'è attualmente regolato presenta incongruenze e può produrre effetti contrari alla migliore cura del paziente. Le Aziende ospedaliere attualmente non riservano all'accesso vascolare, parte irrinunciabile della terapia dialitica, l'attenzione necessaria e non comprendono come una corretta gestione del problema, fondata su percorsi organizzati, migliori la qualità di vita del paziente e contenga il costo assistenziale della dialisi. La gestione complessiva dell'accesso vascolare dialitico non può più fondarsi, attualmente, solo sulla “buona volontà” del nefrologo dializzatore, ma richiede regole strutturali. Pertanto andrebbero definite le motivazioni professionali mediante l'attribuzione di precisi compiti, con lo scopo di meglio identificare e minimizzare il “rischio organizzativo”. L'individuazione di meccanismi economico-organizzativi-normativi che privilegino anzitutto l'ottenimento del risultato e, a seguire, che premino il lavoro di tutta la squadra che l'ha generato è la condizione prima per creare il modello integrato. è più che mai tempo che l'accesso vascolare entri a pieno titolo nel sistema qualità della dialisi e per farlo, a nostro avviso, il modello organizzativo integrato è l'unica soluzione possibile.
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"Radiologia Interventistica." Tumori Journal 89, no. 3_suppl1 (2003): 192–93. http://dx.doi.org/10.1177/03008916030893s118.

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"Interventistica spinale percutanea." Neuroradiology Journal 21, no. 2_suppl (2008): 56–60. http://dx.doi.org/10.1177/19714009080210s216.

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"Neuroradiologia Interventistica Endovascolare: Berry Aneurysms." Neuroradiology Journal 21, no. 2_suppl (2008): 41–44. http://dx.doi.org/10.1177/19714009080210s212.

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Susanna, Bartolini. "Cateterismo percutaneo a palloncino delle arterie uterine nei casi placenta accreta: misure pratiche di riduzione della dose durante l’angiografia." Journal of Advanced Health Care, September 16, 2019. http://dx.doi.org/10.36017/jahc1909-007.

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Abstract:
Il cateterismo tramite palloni vascolari delle arterie uterine nei casi elettivi di parto con taglio cesareo, a seguito di diagnosi di placenta accreta, è una procedura di radiologia interventistica. Questa semplice procedura richiede una buona conoscenza delle varie strategie attuabili per la riduzione della dose al paziente e in questo caso un’attenzione in più rivolta a quei piccoli pazienti presenti nel grembo materno. Queste strategie di riduzione e di gestione della dose vengono attuate attraverso fattori propri delle apparecchiature e, attraverso corrette tecniche che sono dipendenti dall’operatore e dalla procedura stessa. Nel complesso la procedura, condotta da team multidisciplinare (radiologia interventistica, ginecologia ed ostetricia, neonatologia, anestesiologia area materno-infantile, terapia intensiva…) può essere suddivisa in: • fase angiografica: posizionamento pre-chirurgico dei cateteri a palloncino per limitare l’afflusso ematico arterioso diretto all’utero durante le fasi immediatamente successive al parto; • fase chirurgica: estrazione del neonato e della placenta, controllo del sanguinamento associato alla procedura chirurgica; • fase angiografica: con eventuale intervento di embolizzazione finalizzata ad occlusione selettiva delle arterie uterine, cercando di limitare il ricorso all’isterectomia nei casi non responsivi al trattamento mini-invasivo. Avere una familiarità elevata con questa tecnica diventa evidente poiché la procedura può essere convertita, secondo esigenze cliniche, da chirurgica ad angiografica e viceversa, e se si pensa che la condizione di placenta accreta è la terza causa di emorragia post-partum, emorragia che è prima causa di mortalità materna.
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Orlacchio, Antonio, Daniela Tosti, Fabrizio Chegai, and Germano Scevola. "Indicazioni operative per la radioprotezione e la sicurezza in radiologia interventistica." Journal of Radiological Review 5, no. 2 (2018). http://dx.doi.org/10.23736/s2283-8376.18.00056-6.

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49

Caola, I., F. Tessarolo, P. Caciagli, and G. Guarrera. "VALUTAZIONE DELLA STERILITÀ DEI DISPOSITIVI NEL RIUTILIZZO DEI CATETERI MONOUSO IN CARDIOLOGIA INTERVENTISTICA." Microbiologia Medica 20, no. 3 (2005). http://dx.doi.org/10.4081/mm.2005.3460.

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"17 Settembre 2015 – Sala Vesuvio - ore 15:30 – 17:15 Comunicazioni Libere: Interventistica." Neuroradiology Journal 28, no. 1_suppl (2015): 65–71. http://dx.doi.org/10.1177/1971400915599923.

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