Academic literature on the topic 'Lingue slave'

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Journal articles on the topic "Lingue slave"

1

Marković, Irena, and Monika Berić. "ANALISI CONTRASTIVA ITALIANO-CROATO-CECA NELLA FRASEOLOGIA ENTOMOLOGICA." Folia linguistica et litteraria XI, no. 30 (2020): 243–63. http://dx.doi.org/10.31902/fll.30.2020.14.

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Abstract:
Nella presente ricerca si è andati ad investigare in modo contrastivo quanto il comportamento e le caratteristiche degli insetti (in generale considerati universali) differiscano nelle tre lingue (italiano, croato e ceco) nelle espressioni idiomatiche. Si è partiti dalle espressioni idiomatiche italiane contenenti una componente entomologica (17 insetti), le quali cercano i loro equivalenti nel croato e nel ceco. Significa che l’analisi viene fatta soltanto unidirezionalmente dall’italiano al croato e ceco. Da un lato, la lingua croata e quella ceca, essendo della stessa origine (slava), dovrebbero accomunare equivalenti fraseologici totali (attraverso la variante protoslava), oppure attraverso i prestiti di terminologie religiose, ad esempio bibliche. D'altra parte, per via del diretto contatto italiano-croato, il croato dovrebbe avere più similarità fraseologica con l'italiano, a differenza del ceco. In base ai 4 passi della linguistica contrastiva e selezionando gli equivalenti totali, parziali e quelli diversi ci si è concentrati a spiegare (anche attraverso un’analisi concettuale) il perché delle diversità e quali siano le scelte linguistiche nei diversi equivalenti. Delle 72 espressioni in italiano, soltanto 9 (il 12%) sono equivalenti totali in tutte e tre le lingue. Differenziando le lingue, si nota un’affiliazione più stretta tra le lingue slave (24 equivalenze totali), che non tra il croato e l’italiano (15) e tra il ceco e l’italiano (11). L’analisi concettuale conferma questa affiliazione slava. Le lingue slave (croato e ceco), anche se storicamente e geograficamente più lontane, hanno conservato le loro specificità idiomatiche. D’altra parte l’italiano, essendo nell’ultimo millennio in stretto rapporto con il croato, ha sicuramente lasciato più repertorio idiomatico nel croato che nel ceco.
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2

Ožbot, Martina. "Alcuni cenni sugli italianismi in sloveno." Linguistica 48, no. 1 (2008): 159–66. http://dx.doi.org/10.4312/linguistica.48.1.159-166.

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Abstract:
Come è tipico delle aree di confine tra due o più lingue, anche nel caso dello sloveno e dell’italiano si possono osservare diversi fenomeni dovuti al contatto linguistico, uno dei temi di ricerca preferiti dal nostro Festeggiato. Gli scambi interlinguistici – lessicali, morfosintattici e altri – sono infatti tra le testimonianze più profonde della convivenza tra due o più lingue, specialmente nelle situazioni caratterizzate da una antica e continua presenza di contatto. Parlando dell’italiano e dello sloveno, e limitandoci ai lessemi italiani in sloveno, tralasciando quindi gli scambi nella direzione opposta, cioè gli elementi sloveni entrati in italiano – comunque meno numerosi e per lo più limitati alle varietà dialettali dell’area di confine – possiamo osservare che si tratta di prestiti assai numerosi e semanticamente molto eterogenei. Ricordiamo che gli italianismi presenti nello sloveno moderno rappresentano il secondo strato nell’insieme dei prestiti linguistici entrati in questa lingua dalle vicine parlate romanze nei diversi periodi di contatto. infatti, prima della differenziazione linguistica dalla quale hanno avuto origine l’italiano e lo sloveno, nella parlata slava che costituiva l’antenato dello sloveno moderno erano entrati diversi lessemi di origine romanza a partire dalla seconda metà del vi secolo, periodo in cui le popolazioni slave si sarebbero insediate sul territorio delle alpi Orientali dove vennero a contatto con i vicini romanzi. tali lessemi costituiscono il primo strato del contatto e sono stati studiati in modo approfondito da diversi romanisti. tra i contributi più importanti si vogliono ricordare gli studi, ormai classici, di Fran Šturm (1927, 1928) e quelli recenti di agata Šega (1998, 2007, 2008). Rientrano nel gruppo dei più antichi elementi romanzi lessemi come pogača (FOCaCea ‘focaccia’), hlača (CaLCea ‘calza’, pl. hlače ‘pantaloni’), kudati, dial. (COGitaRe ‘pensare’) e križ (CRUCe(M) ‘croce’). è inoltre presente in sloveno qualche altro romanismo ancora più antico, come češnja ‘ciliegia’, dal latino volgare CeReSia, entrato nello slavo già prima della migrazione di una parte dei parlanti slavi sul territorio summenzionato.
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3

Antonič, Nives, and Mojca Cerkvenik. "insegnamento dell’italiano e l’educazione interculturale in Slovenia." Revista de Italianística, no. 38 (December 29, 2019): 61–72. http://dx.doi.org/10.11606/issn.2238-8281.v0i38p61-72.

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Abstract:
L’articolo si propone di presentare una panoramica delle principali caratteristiche che riguardano l’insegnamento/apprendimento dell’italiano in Slovenia e una riflessione sull’importanza dell’educazione interculturale al fine di contribuire all’inclusione del singolo nella società che lo circonda. Dopo una sintetica illustrazione del quadro giuridico nel quale si inserisce la tutela delle lingue minoritarie in Slovenia, si presenta il percorso scolastico e le caratteristiche dell’insegnamento/apprendimento della lingua italiana come lingua materna (L1) e lingua seconda (L2) nel territorio bilingue nonché come lingua straniera (LS) nel resto della Slovenia. In particolare, vengono delineate le peculiarità del modello di educazione bilingue del Litorale sloveno, territorio di confine e area di contatto di culture prevalentemente romanze e slave. Infine, si evidenzia la necessità di applicare un approccio interculturale all’insegnamento in quanto il buon funzionamento della società multiculturale contemporanea dipende dalla consapevolezza della propria cultura congiuntamente all’esistenza di altre culture dell’ambiente. In questo modo sia insegnanti che studenti saranno coscienti del bisogno costante di accrescere le proprie competenze sia linguistiche che interculturali.
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4

Boaglio, Gualtiero. "Le sfide del multilinguismo ieri e oggi: il ruolo dell’italiano dalla monarchia asburgica all’Unione Europea." Annales Universitatis Paedagogicae Cracoviensis | Studia de Cultura 9, no. 3 (2018): 33–42. http://dx.doi.org/10.24917/20837275.9.3.4.

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Abstract:
Multietnicità e multilinguismo contrassegnavano la vita quotidiana dei tanti popoli che vivevano nella monarchia asburgica. Non esisteva una lingua ufficiale, anche se il tedesco era la lingua più prestigiosa, e una legge del 1867 stabiliva la parità linguistica a tutti i livelli. La prassi linguistica nel Litorale austriaco (Trieste, Gorizia/Gradisca, Istria) era particolarmente ricca di conflitti perché lo status dell’italiano veniva messo in discussione dalle lingue slave. Partendo dal passato, il contributo offre spunti di riflessione sul multilinguismo del tempo presente.Wyzwania związane z wielojęzycznością wczoraj i dziś – rola języka włoskiego od monarchii Habsburgów do Unii EuropejskiejWieloetniczność i wielojęzyczność była częścią życia codziennego wielu ludów mieszkających na terytorium cesarstwa Habsburgów. Nie było języka urzędowego: chociaż język niemiecki cieszył się największym prestiżem, ustawa z 1867 roku stanowiła o równości językowej na wszystkich poziomach. Praktyka codziennego użycia języka na wybrzeżu Adriatyku (Triest, Gorycja / Gradisca, Istria) jednak obfitowała w konflikty, ponieważ status języka włoskiego był podważany przez użytkowników języków słowiańskich. Wychodząc od sytuacji historycznej, artykuł zajmuje się kwestią wielojęzyczności w dzisiejszych czasach.
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Spinozzi Monai, Liliana. "L’articolo del romanzo ‘Figlio’ della diatesi passiva? Un’inpotesi inspirata a montague e sviluppata in chiave contrastive slavo-romanza." Linguistica 39, no. 1 (1999): 17–70. http://dx.doi.org/10.4312/linguistica.39.1.17-70.

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Abstract:
Romanzo vs slavo= passivo vs attivo = Art(icolo) vs Des(inenza) = AUX "avere" vs "essere". È in corso un vivace dibattito sulla categoria semantica della definitezza (Def) e sul grado e le modalità del suo esplicitarsi come determinante. Nel presente lavoro ci concentreremo sulla categoria dell 'articolo (Art), in prima istanza su quello Det(erminativo), elaborando alcuni spunti ricavati da disamine sul­ l'argomento compiute su versanti differenti, come quello dell'indoeuropeistica (p. es. Nocentini 1996), della germanistica (p. es. Ramat 1984b) e della slavistica (p. es. Benacchio l 996a e 1996b; Gebert 1996, Parenti 1996). Interessanti spunti di riflessio L’articolo del romanzo ‘Figlio’ della diatesi passiva? Un’inpotesi inspirata a montague e sviluppata in chiave contrastive slavo-romanza ne sono offerti anche da opere di carattere monografico sulla deissi (cfr. Vanelli 1992), sulla sintassi dei determinanti (G. Giusti 1993), sull'articolo italiano (cfr. i due voll. di Korzen 1996), o da rassegne come quella relativa alle diverse interpretazioni del rapporto Nome/Riferimento (Bersani-Berselli 1995)- intendendo per Nome il SN rappresentato dalla sola testa nominale - o quella sul passivo nelle lingue slave (Fici-Giusti 1994), che supporta non poco l'ipotesi da cui muovono queste pagine.
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Montinaro, Chiara. "L’apporto degli slavismi croati, serbi e sloveni all’italiano del nord-est." SPONDE 2, no. 1 (2022): 79–92. http://dx.doi.org/10.15291/sponde.4090.

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Abstract:
L’obiettivo di questo lavoro è quello di identificare il contributo degli slavismi croati, serbi e sloveni penetrati in italiano, partendo dall’etimologia connessa alle tre lingue slave appartenenti al gruppo meridionale oggetto di indagine (oltre che dall’origine genericamente slava riportata dai dizionari). In un secondo tempo, l’attenzione è focalizzata sui prestiti che si affermano come regionalismi (in particolare quelli del nord-est), in cui si definisce il passaggio dall’italiano regionale all’italiano standard. Il corpus, ricavato in prevalenza dallo spoglio del GRADIT (2007) e dello Zingarelli (2021), si rivela cospicuo e, dal punto di vista quantitativo, i dati relativi all’influsso serbo e croato sono senza dubbio quelli più numerosi: si tratta di 48 lemmi nel solo GRADIT, etichettati in prevalenza come tecnicismi. Tra le aree geografiche maggiormente influenti, il contributo friulano e veneto occupa un posto di primo piano. Così, se l’influsso serbo e croato appare più marcato nell’area legata alla terminologia storica e politica (si tratta soprattutto di tecnicismi), le interferenze slovene, che si realizzano principalmente nel friulano, forniscono in primo luogo gastronimi (ma non solo); l’area veneta, invece, si contraddistingue per i contatti tra veneto e croato.
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Matheson, Lister M. "Nicoletta Francovich Onesti, La lingua delle ultime sezioni della Cronaca di Peterborough. (Università degli Studi di Firenze, Istituto di Lingue e Letterature Germaniche, Slave, e Ugrofinniche.) Florence: All'Insegna del Giglio, 1983. Paper. Pp. 192." Speculum 62, no. 03 (1987): 767–68. http://dx.doi.org/10.1017/s003871340012322x.

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Djuric, Zeljko. "Traduzioni dall’italiano di Joakim Vujic (I parte)." Prilozi za knjizevnost, jezik, istoriju i folklor, no. 83 (2017): 31–52. http://dx.doi.org/10.2298/pkjif1783031d.

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Abstract:
Nel lontano 1802, a Trieste, dove ha raggiunto la comunit? serba che guidata dall?illustre scrittore Dositej Obradovic cercava di assorbire la cultura razionalistica europe per trapiantarla poi, almeno in parte, nell? tesssuto della cultura serba, Joakim Vujic studia le lingue straniere (italiano, francese, inghlese) e appena compiuto con successo i primi passi si mette a tradurre un romanzo italiano che gli ? venuto sotto mano: per esercitarsi nella lingua e per offrire al pubblico serbo un testo divertente e utile. Si tratta del romanzo di Antonio Piazza intitolato Il vero amore o sia la storia amorosa d?Irene ? Filandro, un testo linguisticamente complicato, non lontano, per stile, dalla tradizione del romanzo barocco italiano. Nella situazione culturale quando la lingua serba stava vivendo il periodo della sua lenta ed incerta maturazione, Joakim Vujic, nel tradurre, ha continuamente dovuto fare le scelte tra le soluzioni del serbo slavo, la lingua del ceto intellettuale, e del serbo volgare che in quel periodo si faceva strada per entrare nella letteratura. Il nostro lavoro cerca di descrivere e di analizzare il suo coraggioso tentativo.
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DE ALMEIDA, MARCOS ABREU LEITÃO. "AFRICAN VOICES FROM THE CONGO COAST: LANGUAGES AND THE POLITICS OF IDENTIFICATION IN THE SLAVE SHIP JOVEM MARIA (1850)." Journal of African History 60, no. 2 (2019): 167–89. http://dx.doi.org/10.1017/s0021853719000422.

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Abstract:
AbstractBetween 1845 and 1850, the Congo coast became the most important source of slaves for the coffee growing areas in the Brazilian Empire. This essay develops a new methodology to understand the making of the ‘nations’ of 290 Africans found on the slave ship Jovem Maria, which boarded slaves in the Congo river and was captured by the Brazilian Navy near Rio de Janeiro in 1850. A close reading of such ‘nations’ reveals a complex overlapping between languages and forms of identification that alters the historian's use of concepts such as ‘ethnolinguistic group’ and ‘Bantu-based lingua franca’ in the Atlantic world. Building on recent developments in Central African linguistics, the article develops a social history of African languages in the Atlantic that foregrounds how recaptives negotiated commonalities and boundaries in the diaspora by drawing on a political vocabulary indigenous to their nineteenth-century homes in Central Africa.
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Larson, Pier M. "Malagasy at the Mascarenes: Publishing in a Servile Vernacular before the French Revolution." Comparative Studies in Society and History 49, no. 3 (2007): 582–610. http://dx.doi.org/10.1017/s0010417507000631.

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Abstract:
European expansion from the fifteenth century produced much writing on, and sometimes in, non-European languages that served a broad array of imperial interests. Most European ventures into what one scholar has termed “colonial linguistics” were based on investigations among speakers of native tongues in the regions in which those speakers normally resided, twining language studies with observed “native” cultural qualities and setting out territories of colonial interest defined by local language and culture. Fewer colonial linguists ventured into plural societies to study the linguae francae of trade and labor that enabled communication across broad cultural and language differences, in part because such zones were considered dangerous and unstable, or lacking in mother tongues. Fewer still elected destinations of forced migration such as slave societies or freedmen's towns and villages to examine the mother tongues of persons who had come coercively from afar, though many such settings in certain periods offered a rich menu of languages for study. Those interested in the linguistic characteristics of slave societies tended to concern themselves more with the emerging European creoles, languages they could more easily understand than the native tongues of slaves or the contact languages of non-European provenance that sometimes coexisted with or preceded widespread use of European creole speeches in such locations. Today, most linguistic studies in the former slave colonies are focused exclusively on European creoles. Even recent monographs on African culture in the Americas only mention the speaking of African languages in passing, though language is a fundamental element of culture and linked in key ways to the continuity of ethnic ideas and practices. Together with the relative paucity of colonial documentation on slaves' lives and languages, the sited and topical hierarchy of colonial linguistics continues to powerfully structure historical studies of language in the former slave colonies.
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