Conciauro, Manuela. "MUSEUM STORIA DI UNA COLLEZIONE." Doctoral thesis, Università degli Studi di Palermo, 2014. http://hdl.handle.net/10447/91207.
Abstract:
Musei, gallerie e collezioni private nascono da presupposti e
con finalità primarie diverse anche se spesso l’attività di
gestione e quella rivolta al pubblico sono simili. Ovviamente la
storia del museo e quella del collezionismo sono ben distinte e
la linea di demarcazione è piuttosto netta, trovando i suoi
presupposti nella destinazione pubblica dell’attività museale.
Eppure non stupisce come vi siano numerosi esempi di
trasformazione o di evoluzione di gallerie e collezioni rivolte ad
un pubblico selezionato, in attività museale volta alla fruizione
del patrimonio esposto e al servizio della società. Invero anche
se tale “conversione” non è nella natura delle cose, essa trova i
presupposti nella chiara vocazione che hanno le opere che
vengono riconosciute come “d’arte” ad assumere il carattere di
bene “pubblico” e non più solo “privato”.
Invero, la trasformazione da galleria d’arte a istituzione
museale è completa nel momento in cui il gallerista si emancipa
dal suo ruolo di mercante dell’arte. Come sottolineano le parole
di Andy Warhol: «their art business isn’t (or shouldn’t) be art
museum business»1 (A. Warhol, 1975). Naturalmente questo
percorso non è semplice, tenuto conto anche dei vantaggi che
ha una simbiosi tra un museo e una galleria d’arte, nella
valorizzazione dell’opera di determinati artisti. Questo aspetto
è ancora più rilevante nell’arte contemporanea, dove il
posizionamento e l’attitudine rispetto al contesto del mercato è cruciale, essendo ancora in gioco la carriera di artisti
prevalentemente viventi. Se questo è vero, lo è anche il fatto che
il museo non può essere uno strumento di marketing o di
legittimazione del mercato dell’arte privato, con i suoi clienti e i
suoi collezionisti2.
Le ragioni e le modalità della trasformazione tuttavia non
sono quasi mai comuni o generalizzabili, ma sono frutto di una
scelta del gallerista o del collezionista, che può maturare
l’esigenza di un cambiamento della propria attività per esigenze
personali in parte spiegabili anche con mutamenti dei contesti
istituzionali e sociali attorno ai quali era maturata l’idea iniziale
oppure, ancora più semplicemente, perché le motivazioni
possono cambiare una volta esauriti gli obiettivi e il percorso
intrapreso.
Un saggio di quanto possa essere complesso indagare sulle
ragioni profonde della trasformazione di una attività da privata
a pubblica lo dà il famoso gallerista Aimè Maeght che con la
moglie Marguerite all’apertura nel 1964 dell’omonima
fondazione a Saint Paul de Vence dichiara: «Avevo bisogno
d’aria e di spazio. Non volevo creare una super galleria ma
qualcosa d’altro che appartenesse alla comunità e che fosse
anche libera d’agire (…) Ho creato questa fondazione
egoisticamente, per il mio piacere, sperando di poter
trasmettere ad altri un po’ di questo piacere, di questa gioia». Naturalmente l’importanza di entrare nel merito, indagando
i perché e i come di tali “passaggi”, è una delle ipotesi alla base
di questo lavoro legata al ruolo che le istituzioni museali
rivestono nel e per il territorio.
Tale ruolo, insieme con i fattori che contraddistinguono fin
dall’inizio l’attività del collezionista, rappresentano forse un
elemento di continuità anche nel cambiamento della forma
istituzionale.
La Sicilia propone pochi esempi di trasformazione di
un’attività profit, tipica di una galleria, in una no profit di tipo
museale. Nella storia analizzata, quella di Museum a Bagheria,
all’elemento della trasformazione diventa interessante associare
quello del carattere fondante la sua attività, la “sicilianità”.
Museum si caratterizza e deve la sua notorietà
principalmente al suo carattere di museo privato regionale, ma
ciò che lo distingue e lo rende unico rispetto ad altre esperienze
simili è la sua ininterrotta vocazione a promuovere l’arte
contemporanea siciliana anche a livello internazionale. Questa
scelta naturalmente ha condotto il suo fondatore, Ezio Pagano,
al coinvolgimento non solo di artisti siciliani che operano nel
territorio, ma anche di artisti siciliani di adozione e dei siciliani
nel mondo. In tal modo, Pagano mette al centro del suo
progetto la Sicilia, la sua identità e il senso di appartenenza che
essa genera negli artisti che “vivono” con consapevolezza
questa terra, più che i siciliani per nascita.
La storia di Museum ci porta a riflettere nuovamente ed in
modo differente sull’essere “siciliano” guardando soprattutto
all’esperienza di chi siciliano non lo è per i propri natali. È
questo, il secondo tema di fondo, dopo quello della “nascita”del museo, da cui questo lavoro trae ispirazione e a cui guarda
con attenzione Vi è poi un terzo tema di “attualità” che implicitamente
emerge nella trattazione della storia di Museum, è quello della
necessità di ripensare al modo di fare “museo” per l’arte
contemporanea in Sicilia. Questo probabilmente perché le
situazioni relative al contemporaneo in Sicilia permangono
ormai da diverso tempo nello stesso stato di immobilismo con
rischio concreto di cadere nell’azzeramento culturale. Basti
pensare alle vicende rocambolesche che hanno riguardato e in
parte continuano a riguardare il Museo d’arte contemporanea
di Palermo: Palazzo Belmonte Riso, la cui partenza si è subito
rivelata stentata, con organizzazioni di mostre più o meno
interessanti e con la fantomatica esposizione di quella che
doveva essere la collezione permanente del Riso, con la quale ripercorrere, attraverso i nomi più significativi, un percorso che
acconti la storia dell’arte contemporanea e siciliana in
particolare.
Inaugurato nel 2006 il museo ha stentato a decollare fino al
violento e definitivo arresto nel gennaio del 2012 con il
commissariamento del museo stesso a seguito di alcune
dichiarazioni dell’allora direttore Sergio Alessandro poi
sollevato dal suo incarico. Nel maggio successivo il Museo
Belmonte Riso è stato riaperto con una conferenza in grande
stile nella quale è stata presentata la collezione, finalmente
esposta nei locali del palazzo settecentesco, rimasti fino a quel
momento vuoti.
A distanza di un anno da quelle tristi vicende, si nota come
le attività del museo languiscano ancora e come sia difficile
dare consistenza a questa realtà che più di altre dovrebbe
costituire per la comunità un luogo vivo e partecipato. “Riso
amaro”4 così intitolava il suo articolo Helga Marsala nel 2006,
riferendosi alle ultime vicende dell’allora neonato museo
cittadino, ma quell’amarezza di ispirazione neorealista non è
del tutto svanita, anzi per certi versi ne conserva invariata
l’acredine. La precarietà e la discontinuità di un’attività
museale costituiscono i grossi ostacoli alla fidelizzazione del
fruitore. Il museo oggi fa parte del tessuto connettivo cittadino,
è una realtà con la quale ci si raffronta quotidianamente, un
luogo fatto non solo per fruire l’opera d’arte, ma che può
rappresentare la nuova dimensione di agorà dove ritrovarsi per
seguire una conferenza o anche prendere un caffè, acquistare un libro o ancora uno spazio dove portare i bambini per un
laboratorio. Nella storia di Museum, la continuità è sempre
stata un elemento fondamentale. L’attività di galleria avviata da
Ezio Pagano nel 1968 è stata portata avanti nel corso di un
trentennio con serietà e professionalità fino alla riconversione in
museo nel 1998.Museum, il primo museo d’arte contemporanea sul territorio
siciliano, è un’istituzione privata che ha fatto e continua a fare
dell’identità isolana la sua ragione d’essere. Questo museo
partito da un nucleo di centocinquanta opere, oggi ne vanta più
di cinquecento, frutto di acquisizioni e donazioni da parte di
artisti siciliani che, coinvolti da Pagano, hanno creduto e
continuano a credere in un progetto che fa di Museum l’unico
luogo in Sicilia dove sia possibile conoscere il panorama
storico-artistico del Novecento e del Duemila siciliani, fatto da
artisti noti e meno noti. La sua natura privata è stata discussa in
seno ad un’intervista di Paola Nicita a Gillo Dorfles che in
quella occasione rispose: «Purtroppo in tutta Italia il sostegno
dato alla cultura è molto scarso, e l’arte contemporanea è molto trascurata. Manca un’educazione di base, occorrerebbe iniziare
dalle elementari, moltiplicare le ore dedicate all’arte e alla
musica, non ridurle»5 e ancora: «Ho visitato il Museum di
Bagheria e l’idea di raccogliere le opere degli artisti siciliani mi
sembra ottima. Qui si trovano i nomi meno noti ma anche quelli
internazionali, come Carla Accardi, Pietro Consagra, Salvatore
Scarpitta, solo per citarne alcuni. È importante che ogni regione
abbia un suo museo». Poche, semplici affermazioni da parte del
celebre critico triestino per sottolineare nel caso di Museum
l’importanza che ha l’iniziativa privata in un contesto nazionale
e regionale lacunoso e assente nei confronti dell’arte e del
contemporaneo in particolare.Le fasi del lavoro di ricerca sono state sostanzialmente due,
la prima più complessa, è stata rivolta al rinvenimento dei
documenti quali inviti, locandine, comunicati stampa, articoli di giornale. La ricerca, l’esame e la classificazione di questo
materiale ha richiesto diversi mesi di duro lavoro fisico e ha
permesso di redigere la catalogazione dalla quale è stato
possibile ricostruire la storia delle gallerie dagli anni Sessanta ai
Novanta con la nascita di Museum, fino ai nostri giorni. Questo
percorso viene esposto nel primo capitolo.
La seconda fase nasce da un esame di alcune tappe che
hanno segnato il percorso di realizzazione di Museum,
definendone natura e ruoli. L’analisi svolta ha, in questo caso,
enormemente beneficiato dell’apporto indispensabile di Ezio
Pagano, a cui va naturalmente la mia gratitudine per avermi
guidata nella ricostruzione e nell’interpretazione di una storia
non facile da raccontare. Importante è stato inoltre il contributo
degli artisti “stranieri” coinvolti che, nel corso degli incontri
avuti, mi hanno aiutato a far emergere nuovi spunti per questa
fase della mia ricerca. Il secondo e il terzo capitolo contiene i
risultati di questa parte del mio lavoro.La tesi, è dunque divisa in tre capitoli.XIII
Il primo capitolo “Dalla galleria al Museum”, si presenta
naturalmente come il più corposo tra i tre; in esso si delinea il
percorso che ha portato alla nascita e alla formazione di
Museum, descrivendo la trasformazione dell’attività da quella
di galleria a quella museale, da profit a no profit. La ricostruzione
di tale percorso è stato fatto alla luce di un riesame dell’attività
svolta, degli artisti proposti, dei critici coinvolti, delle
pubblicazioni prodotte, della risonanza degli eventi sulla carta
stampata. L’excursus storico, realizzato attraverso le vicende
delle tre gallerie: Nibbio, Il Poliedro e Ezio Pagano
artecontemporanea, è stato condotto attraverso un’accurata
selezione degli eventi espositivi, partendo dagli inviti e dalle
locandine per ritrovarne le date certe, e seguendone, quando
possibile, l’eco della critica sulla carta stampata. Si è privilegiato
l’evento documentato e, al tempo stesso, più significativo per
importanza e richiamo di pubblico e critica. Tale selezione è
stata realizzata seguendo due criteri, il primo, più semplice e
immediato si basa sull’importanza dell’artista proposto, il
secondo invece sull’origine siciliana dell’artista, sulla qualità
della mostra e sulla risonanza dell’evento tra critica e pubblico.
Tale criterio permette di evidenziare l’attenzione del
gallerista nel corso dei decenni, verso gli artisti giovani del
territorio isolano, determinando inconsapevolmente la
vocazione identitaria di quello che sarebbe stato Museum. Il
passaggio da galleria a museo va ricondotto a scelte maturate
dal fondatore, alla sua visione sul significato e sul ruolo
dell’arte, ma, ed è questo un dato da non sottovalutare, ha
innescato ed è stato a sua volta frutto dei cambiamenti del
territorio ai quali è stata prestata ove opportuno la nostra
attenzione.Nel secondo capitolo, “Le Circumnavigazioni e oltre”, viene
approfondito il tema delle Circumnavigazioni, serie di mostre
itineranti organizzate da Ezio Pagano, da gallerista, come da
direttore di Museum. Al centro vi è il tema dell’emigrazione dei
siciliani nel mondo e il desiderio, attraverso le iniziative
promosse dal museo bagherese, di portare parte della loro
cultura originaria, nei luoghi che li hanno accolti. Questa serie
di mostre, che inizia con delle collettive in Sicilia e in Italia, è
divenuta, nell’arco di un ventennio, un mezzo di diffusione
della cultura siciliana nel mondo. Di quest’ultima si è esportata
la sua nuova facies, quella sconosciuta a chi ha lasciato da tempo
il proprio paese, ma, proprio per questo, fondamentale da
scoprire per comprenderne, attraverso l’arte contemporanea, gli
ultimi sviluppi e trasformazioni.
Il terzo capitolo, “Quelli che vanno e quelli che restano”,
cavalca il tema lanciato nel secondo, quello dell’emigrazione,
aprendo una riflessione sulla migrazione di artisti che ha
interessato gran parte dei protagonisti della nostra regione, in
taluni casi divenuti famosissimi, e che hanno visto nella
dimensione isolana un limite alla propria realizzazione. Si fa
riferimento, in tal senso, alla mostra “Sicilia!” curata da Marco
Meneguzzo e tenutasi ad Acireale (CT) nell’estate del 2006.
Questa interessante retrospettiva dell’arte siciliana tocca,
inevitabilmente il tema dell’emigrazione culturale in quanto
peculiarità dell’isola con la quale si crea un rapporto di
rassegnata accettazione o di dichiarata negazione.
Ma Sicilia è anche terra di accoglienza, così come viene
evidenziato attraverso la mostra Hotel des Etrangers6, grazie al contributo di un gruppo di artisti stranieri che ormai da tempo
vive in Sicilia. Tra questi, l’attenzione viene posta su tre artisti,
Hilde Margani Escher, Juan Esperanza e Nelida Amada
Mendoza, che rappresentano il gruppo di artisti stranieri
appartenenti anche alla collezione di Museum.
Questa doppia natura di straniero appartenente ad una
collezione di artisti specificamente siciliana, è stato il fulcro di
un’indagine che attraverso l’intervista diretta, ha cercato di
metterne a fuoco la particolare condizione. Il Viaggio in Sicilia
intrapreso al fine di incontrare questi artisti, ha consentito di
comprendere le ragioni delle scelte di vita di ciascuno dei tre
artisti “naturalizzati” siciliani, poiché da esse hanno preso
forma lo stile e la poetica che contraddistinguono la loro
produzione artistica. Ne è così scaturita una riflessione su
identità e appartenenza culturale, fattori che giustificano la loro
presenza nella collezione di Museum, che ha fatto e fa
dell’identità siciliana la propria ragione d’essere.