Academic literature on the topic 'STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE'

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Journal articles on the topic "STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE"

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Hirschman, Albert O. "IL CONCETTO DI INTERESSE: DALL'EUFEMISMO ALLA TAUTOLOGIA." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 17, no. 1 (April 1987): 3–22. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200016415.

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Abstract:
IntroduzioneIl concetto di «interesse» o «interessi» è uno dei piò centrali e controversi in economia e, piò in generale, nelle scienze sociali e nella storia. è anche un concetto con molti sensi, per non dire ambiguo, e il suo significato ha subito via via grossi spostamenti. Da quando è entrato nel linguaggio comune di diversi paesi europei, attorno alla metà del XVI secolo, come termine di derivazione latina (intérêt, interest, ecc.), il concetto ha indicato le forze fondamentali, basate sulla spinta dell'autoconservazione e all'auto-accrescimento, che motivano o dovrebbero motivare le azioni del principe o dello Stato, dell'individuo, e poi di gruppi di persone che occupano una posizione sociale o economica omogenea (classi, gruppi d'interesse). Quando è riferito all'individuo, il concetto ha assunto talvolta un significato assai ampio, inglobando per esempio l'interesse per l'onore, la gloria, l'amor proprio, e persino per l'aldilà. In altre epoche, al contrario, si è limitato ad indicare esclusivamente la ricerca di un vantaggio economico. In maniera analoga, l'espressione « perseguire i propri interessi» può ricoprire — fino ad essere una tautologia — tutto l'insieme delle azioni umane, ma spesso servirà, piò utilmente, ad indicare un modo specifico o stile di condotta, variamente concepito come azione « razionale » o « strumentale». Anche la stima in cui è tenuto il comportamento motivato dall'interesse ha subito considerevoli variazioni. Il termine entrò originariamente in uso, già alla fine del Medioevo, come eufemismo inteso a rendere rispettabile una data attività, quella di percepire un interesse sui prestiti, da tempo considerata contraria alla legge divina e conosciuta come il peccato dell'usura. Nella sua accezione piò ampia, ha acquistato talvolta un grande prestigio come chiave di un ordine sociale realizzabile, pacifico e progressista. E tuttavia è stato anche attaccato come concetto che degrada lo spirito umano ed è suscettibile di distruggere e di corrodere pericolosamente le fondamenta della società. Indagare su questi molteplici significati e su queste molteplici valutazioni significa di fatto esplorare buona parte della storia economica e in particolare della storia delle dottrine economiche e politiche occidentali nell'arco degli ultimi quattro secoli.
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Colao, Floriana. "La sovranità della Chiesa cattolica e lo Stato sovrano. Un campo di tensione dalla crisi dello Stato liberale ai Patti Lateranensi, con un epilogo nell'articolo 7 primo comma della Costituzione." Italian Review of Legal History, no. 8 (December 21, 2022): 257–312. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/19255.

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Abstract:
Il saggio ricostruisce la genesi della ‘Premessa’ al Trattato del Laterano del 1929, in cui le Due Alte Parti – governo italiano e Santa Sede, con le firme di Mussolini e del cardinale Gasparri – garantirono alla Chiesa «una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale». Da qui la «necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano […] con giurisdizione sovrana della Santa Sede», e l’art. 2, «l’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione». Il saggio considera che i giuristi – Vittorio Emanuele Orlando, che, da presidente del Consiglio nel maggio giugno 1919 tentò una trattativa con la Santa Sede per la risoluzione della Questione romana, e Amedeo Giannini, che tra i primi suggerì a Mussolini un «nuovo codice della legislazione ecclesiastica» – legarono la Conciliazione alla crisi dello Stato liberale ed al «regime diverso», insediatosi in Italia il 28 Ottobre 1922. Il saggio considera che già nel 1925 il guardasigilli Alfredo Rocco coglieva nelle ‘due sovranità’ una pietra d’inciampo nella costruzione dello Stato totalitario, anche se dichiarava di dover abbandonare l’«agnostico disinteresse del vecchio dottrinarismo liberale». Il saggio considera che Rocco rimase ai margini delle trattative con la Santa Sede, dal momento che metteva in guardia dal riconoscimento del «Pontefice sovrano, soggetto di diritto internazionale», e da «un altro Stato nello Stato», principio su cui convergevano giuristi quali Ruffini, Scaduto, Schiappoli, Orlando. Le trattative segrete furono affidate a Domenico Barone – consigliere di Stato, fiduciario del Duce – e Francesco Pacelli, avvocato concistoriale e fiduciario del cardinal Gasparri; la sovranità della Chiesa ed un suo ‘Stato’ appariva come la posta in gioco. Il saggio considera che la nascita dello Stato della Città del Vaticano complicava l’‘immagine’ del Regno d’Italia persona giuridica unitaria, ‘costruita’ dalla giuspubblicistica nazionale, difesa anche da Giovanni Gentile sul «Corriere della Sera». Mostra che il fascismo intese riconoscere il cattolicesimo «religione dominante dello Stato» per rafforzare la legge 13 Maggio 1871 n. 214, «sulle guarentigie pontificie e le relazioni fra Stato e Chiesa», che aveva previsto un favor religionis per la Chiesa cattolica. La Conciliazione risalta come l’approdo di un lungo processo storico, che offriva forma giuridica al ruolo che il cattolicesimo aveva e avrebbe rivestito per l’identità italiana; non a caso nel Marzo 1929 Agostino Gemelli celebrava una «nuova Italia riconciliata con la Chiesa e con sè stessa, con la propria storia e la propria bimillenaria civiltà». Il saggio mostra che la sovranità della Chiesa e lo Stato della Città del Vaticano furono molto discusse nel dibattito parlamentare sulla ratifica dei Patti firmati l’11 Febbraio 1929, con i toni duri di Mussolini, che definì la Chiesa «non sovrana e nemmeno libera». Rocco affermò che il «regime fascista» riconosceva «de iure» una sovranità «immutabile de facto»; rispondeva agli «improvvisati e non sinceri zelatori dello Stato sovrano, ma anticlericale», che «lo Stato è fascista, non abbandona parte alcuna della sua sovranità». Jemolo e Del Giudice – estimatori delle « nuove basi del diritto ecclesiastico – colsero il senso di questa «pace armata» tra governo e Santa Sede. Il saggio esamina l’ampio dibattito sulla «natura giuridica» della sovranità della Chiesa e sulla «statualità» dello Stato della Città del Vaticano, tra diritto pubblico, ecclesiastico, internazionale, teoria generale dello Stato. Coglie uno snodo nel pensiero di Santi Romano, indicato da Giuseppe Dossetti alla Costituente come assertore del «principio della pluralità degli ordinamenti giuridici». Il saggio esamina poi il confronto sullo Stato italiano come Stato confessionale, teoria sostenuta da Santi Romano, negata da Francesco Scaduto. Taluni – Calisse, Solmi, Checchini, Schiappoli – guardavano ai Patti Lateranensi come terreno del rafforzamento della sovranità dello Stato; Meacci scriveva di «Stato superconfessionale, cioè al di sopra di tutte le confessioni»; Piola e Del Giudice tematizzavano uno «Stato confessionista». Jemolo – che nel 1927 definiva la «sovranità della Chiesa questione forse insolubile» – affermava che, dopo gli Accordi, «il nostro Stato non sarà classificabile tra i Paesi separatisti, ma tra quelli confessionali». Il saggio esamina poi il dibattito sulla sovranità internazionale della Chiesa – discussa, tra gli altri, da Anzillotti, Diena, Morelli – a proposito della distinzione o unità tra la Santa Sede e lo Stato Città del Vaticano – prosecuzione dello Stato pontificio o «Stato nuovo» – e della titolarità della sovranità. Il saggio si sofferma poi sul dilemma di Ruffini, «ma cos’è precisamente questo Stato», analizzando uno degli ultimi scritti del maestro torinese, il pensiero di Orlando, Jemolo, Giannini, una monografia di Donato Donati e una di Mario Bracci, due dense «Lectures» di Mario Falco sul Vatican city, tenute ad Oxford, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano di Federico Cammeo, in cui assumeva particolare rilievo la «sovranità, esercitata dal Sommo Pontefice», per l’«importanza speciale» nei «rapporti con l’Italia». Quanto agli ecclesiasticisti, il saggio esamina le prospettive poi sviluppate nell’Assemblea Costituente, uno scritto del giovane Giuseppe Dossetti – docente alla Cattolica – sulla Chiesa come ordinamento giuridico primario, connotato da sovranità ed autonomia assoluta non solo in spiritualibus; le pagine di Jannaccone e D’Avack sulla «convergenza tra potestas ecclesiastica e sovranità dello Stato come coesistenza necessaria della Chiesa e dello Stato e delle relative potestà»; un ‘opuscolo’ di Jemolo «per la pace religiosa in Italia», che nel 1944 poneva la libertà come architrave di nuove relazioni tra Stato e Chiesa. Il saggio conclude il percorso della «parola sovranità» – così Aldo Moro all’Assemblea Costituente – nell’esame del sofferto approdo all’articolo 7 primo comma della Costituzione, con la questione definita da Orlando «zona infiammabile». Sull’‘antico’ statualismo liberale e sul ‘monismo giuridico’ si imponeva il romaniano pluralismo; Dossetti ricordava la «dottrina dell’ultimo trentennio contro la tesi esclusivista della statualità del diritto». Rispondeva alle obiezioni dei Cevolotto, Calamandrei, Croce, Orlando, Nenni, Basso in nome di un «dato storico», «la Chiesa cattolica […] ordinamento originario […] senza alcuna compressione della sovranità dello Stato». Quanto al discusso voto comunista a favore dell’art. 7 in nome della «pace religiosa», Togliatti ricordava anche le Dispense del 1912 di Ruffini – imparate negli anni universitari a Torino – a suo dire ispiratrici della «formulazione Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Tra continuità giuridiche e discontinuità politiche, il campo di tensione tra ‘le due sovranità’ si è rivelato uno degli elementi costitutivi dell’identità italiana, nel segnare la storia nazionale dei rapporti tra Stato e Chiesa dall’Italia liberale a quella fascista a quella repubblicana, in un prisma di temi-problemi, che ancora oggi ci interroga.
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Busino, Giovanni. "Note di storia economica e storia delle dottrine economiche." Revue européenne des sciences sociales, no. 145 (March 1, 2010): 101–63. http://dx.doi.org/10.4000/ress.743.

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Miletti, Marco Nicola. "Le facce d’un diamante. Appunti per una storia dell’immediatezza nella procedura penale italiana." Revista Brasileira de Direito Processual Penal 7, no. 2 (August 29, 2021): 827. http://dx.doi.org/10.22197/rbdpp.v7i2.596.

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Abstract:
Il saggio ripercorre alcune tappe dell’evoluzione del principio di immediatezza nella procedura penale italiana, entro l’arco cronologico compreso tra la fine del secolo XVIII e il codice Finocchiaro-Aprile del 1913. Dopo una breve rassegna delle diverse definizioni del lemma e un cenno diacronico alla demarcazione dal concetto di oralità, la ricerca muove dagli spunti offerti da ‘pionieri’ quali Francesco Mario Pagano e Niccola Nicolini; esamina la letteratura europea (francese e, soprattutto, tedesca) che permeò la riflessione dei giuristi italiani; quindi si addentra nella stagione post-unitaria. Quest’ultima fu connotata dal contrasto tra un codice di rito (1865) ancora prettamente inquisitorio e una dottrina tutt’altro che compatta: se i primi commentari e, ancor piú, la scuola carrariana classificavano l’immediatezza tra i canoni inderogabili della giustizia liberale, la scuola positiva vi scorgeva un indebito cedimento alle interferenze popolari ed emotive nel dibattimento. La lunga elaborazione del codice Finocchiaro-Aprile non solo stimolò un serrato confronto dottrinale ma partecipò a quel movimento per l’oralità grazie al quale Chiovenda confidava di modernizzare il rito civile e penale.
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Dieci, Daniele. "La politique de la ville e i quartiers sensibles in Francia: un profilo." STORIA URBANA, no. 135 (February 2013): 91–118. http://dx.doi.org/10.3280/su2012-135005.

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Abstract:
Il saggio tratta la storia delle politiche urbane francesi, approfondendo l'evoluzione cronologica del dispositivo pubblico della politique de la ville e della categoria pubblica di quartier sensible. Si parte dalle origini delle politiche urbane francesi che vedono il quartiere come unitŕ territoriale di riferimento passando attraverso i moti delle balie, che influenzano fortemente le policy, dagli anni '80 in poi. Parallelamente sono analizzati i testi normativi piů importanti, i dibattiti parlamentari, gli avvicendamenti politici, le riforme introdotte e la nascita della geografia prioritaria, concludendo con i moti urbani piů recenti e le critiche alle misure adottate dal governo francese.
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Caiazzo, Monica. "Il mito dell'alleanza italo-francese nella Grande Guerra." STORIA IN LOMBARDIA, no. 2 (December 2010): 62–94. http://dx.doi.org/10.3280/sil2010-002003.

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Abstract:
Con la crisi di coscienza provocata dallo scoppio della prima guerra mondiale gli intellettuali dovettero interpretare nuove realtŕ a partire dalla concezione di "guerra giusta". La consapevolezza di questa crisi indusse a ricercare nella propria memoria nazionale elementi unificanti, verso i quali convogliare i comportamenti delle masse. A questo processo di autoresponsabilizzazione contribuě il mito della fratellanza latina, nell'accezione di un'intesa prevalentemente culturale italo-francese. Milano fu il centro di questo rinnovato incontro tra culture teso al recupero di un'identitŕ nazionale che si ricongiungesse con la propria storia. Note biografiche: Monica Caiazzo č dottore di ricerca in "Storia delle istituzioni e della societŕ nell'Europa contemporanea". Attualmente insegna presso un istituto di secondo grado ed č tutor presso la cattedra di Storia contemporanea della Facoltŕ di scienze politiche dell'Universitŕ degli Studi di Milano. E-mail: monica_caiazzo@yahoo.it
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Ferrari, Paolo. "Introduzione a L'industria bellica nella storia d'Italia. Economia e tecnologia negli studi di Andrea Curami." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 261 (February 2011): 575–84. http://dx.doi.org/10.3280/ic2010-261001.

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Abstract:
Andrea Curami (1947-2010) č stato docente di Meccanica applicata e di altre materie al Politecnico di Milano, esperto di motori e di automobilismo, storico delle vicende militari ed economiche italiane tra Ottocento e seconda guerra mondiale. Si č occupato anche di storia dei trasporti e ha promosso le ricerche di un gruppo di studiosi riunito attorno a sé. A partire dagli studi sull'aeronautica, ha sviluppato un'analisi originale dell'industria bellica italiana, coniugando storia delle vicende militari e storia economica e della tecnologia, ponendo al centro i rapporti tra committenza pubblica e un mondo dell'industria, continuamente oscillante tra innovazione e sfruttamento delle risorse pubbliche, che progressivamente si afferma quale componente decisiva della classe dirigente. Curami ha in particolare studiato la Grande guerra quale snodo cruciale di questo processo, e il riarmo fascista, quando l'industria č in grado di imporre alle forze armate mezzi spesso obsoleti e inadeguati. Del riarmo fascista e della mancata mobilitazione nel secondo conflitto mondiale egli propone un modello interpretativo nel quale l'analisi tecnica diviene funzionale alla comprensione delle politiche seguite dalle imprese, con un'interpretazione originale dei rapporti tra forze armate, politica e grande industria.
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Petrillo, Agostino, and Palmas Luca Queirolo. ""Andando tranquilli verso la notte?" Discutendo con Mike Davis su Obama, la crisi, le frontiere.." MONDI MIGRANTI, no. 2 (October 2009): 97–102. http://dx.doi.org/10.3280/mm2009-002007.

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Abstract:
Mike Davis č uno dei piů originali sociologi urbani americani degli ultimi decenni. A partire da un testo divenuto ormai classico La cittŕ di quarzo, uscito nel 1990, in cui ricostruiva la storia urbana di Los Angeles in chiave di grande disutopia della dispersione spaziale e del controllo sociale, egli ha prodotto tutta una serie di lavori che hanno al loro centro il tema delle trasformazioni delle metropoli contemporanee e il ruolo che in esse giocano le lotte e i movimenti dei migranti. Il presente contributo si interroga, utilizzando la forma dell'intervista, sui temi delle frontiere, della crisi con le sue ricadute sulle vite dei migranti, sulle nuove opzioni politiche sul tema aperte dalla presidenza Obama.
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Fazzini, Ilaria. "Una pluralità di sguardi sulla follia. Storia delle internate cremonesi nella seconda metà dell'ottocento." STORIA IN LOMBARDIA, no. 2 (September 2020): 114–32. http://dx.doi.org/10.3280/sil2018-002006.

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Abstract:
La storia delle donne internate in manicomio, della loro vita dentro e fuori gli istituti psichiatrici, è divenuta negli ultimi decenni oggetto di grande interesse e studio. La presente ricerca, condotta a partire dallo studio e dall'analisi delle cartelle cliniche e dei fascicoli personali delle donne internate nel Manicomio di Cremona dal 1868 al 1904, ha lo scopo di indagare l'internamento della follia femminile nella seconda metà dell'Ottocento e di farne emergere le caratteristiche e le peculiarità. Le cartelle cliniche delle pazienti cremonesi si sono rivelate una fonte utile e preziosa che ha fatto emergere chiaramente come l'internamento delle donne in manicomio fosse un processo "corale". Al suo interno infatti si intrecciava una pluralità di voci e di "sguardi" che "costruivano" e definivano la follia femminile: dallo "sguardo" dei familiari e dei rappresentanti delle istituzioni religiose e politiche coinvolti nelle procedure di ammissione, alla "voce" inascoltata delle internate portatrici di una propria soggettività, fino alle diagnosi e alle cure degli alienisti. L'autrice analizza e indaga questi soggetti, mostrandone il ruolo nelle diverse fasi del processo di internamento e rintracciando i differenti riferimenti culturali e i diversi linguaggi da loro utilizzati per individuare, comprendere, descrivere e, nel caso delle internate, manifestare e narrare la follia.
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Colucci, Michele. "Il movimento antirazzista in Italia e le politiche migratorie, 1989-2002." ITALIA CONTEMPORANEA, no. 297 (March 2022): 124–44. http://dx.doi.org/10.3280/ic2021-297-s1oa-006.

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Abstract:
Il contributo ricostruisce l'evoluzione storica del movimento antirazzista in Italia, concentrandosi sul tema delle politiche migratorie. L'antirazzismo si diffonde in parallelo allo sviluppo dell'immigrazione straniera, che in Italia avviene in modo intenso dopo il 1989. Matura allora un dibattito nazionale sulle politiche migratorie: il movimento antirazzista contribuisce all'orientamento di tale dibattito e alle scelte legislative conseguenti.Nell'articolo vengono esaminate le principali fasi storiche comprese tra il 1989 e il 2002. Durante questo periodo il movimento antirazzista si confronta con l'emergere di pulsioni razziste, con l'inserimento sempre più diffuso dell'immigrazione nel mondo del lavoro, con la crescita quantitativa dell'immigrazione straniera, con la politicizzazione sempre più evidente del tema migratorio.Si tratta di un periodo in cui in Italia avvengono profonde trasformazioni sociali e politiche: la storia del movimento antirazzista può aiutare a comprenderle e contestualizzarle.
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Dissertations / Theses on the topic "STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE"

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Vitillo, Giacomo <1995&gt. "La storia delle idee dell'Europa." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16980.

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Abstract:
La mia tesi tenta di indagare le cause dell'attuale crisi europea. Per fare ciò si ripercorre nel primo capitolo la storia delle idee storico-filosofiche che hanno contribuito al processo di integrazione europea. Nel secondo capitolo si indagano invece le critiche che tale processo ha subito durante il suo sviluppo. Nell'ultimo capitolo si tenta di comparare le conclusioni raggiunte nel primo e nel secondo, in relazioni alle attuali crisi. Così facendo si tenta di indagare le problematiche di oggi alla luce del passato.
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Udrescu, Claudia Maria <1966&gt. "Politica nell'università. Politiche dell'università. Studio di caso: Università di Bucarest e Università di Bologna." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/3160/1/Claudia_Udrescu_Tesi.pdf.

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Abstract:
La mia tesi analizza il modo in cui è costruito il rapporto tra università e politica, con particolare sguardo sulle Università di Bucarest e di Bologna. E una ricerca empirica che si propone da una parte di fare una radiografia esatta della formulazione delle politiche dello stato in materia d’istruzione superiore, e dall’altro lato, di vedere la maniera in cui si sviluppa l’organizzazione interna delle università romene, prendendo come caso concreto l’Università di Bucarest. L’interesse per questo argomento è stato determinato dal fatto che la politica dell’educazione rappresenta una politica chiave nella ricostruzione dello stato democratico romeno dopo dicembre 1989. In secondo luogo l’intento di approfondire questo tema parte dal fatto che in Romania mancano degli studi consistenti sul percorso dell’università durante la transizione post communista, studi fatti nella prospettiva della scienza politica. In terzo luogo l’educazione è da sempre un argomento con portata politica. La tesi è articolata in tre parti, fondamentali per la comprehensione del rapporto tra politica è università: Università, Elites politiche e università, Stato e università. L’ipotesi è che l’educazione rappresenta un mezzo di legitimazzione per la politica, oppure, la carriera universitaria è un mezzo di legitimazzione per la carriera politica. Da qui deriva il fatto che l’università si constituisce in una fonte di reclutamento per i partiti politici e che in Romania le università private sono create per facilitare uno scambio di capitale, con lo scopo di facilitare il passaggio dal mondo politico verso il mondo accademico. Dal punto di vista metodologico, sono state utilizzate le fonti seguenti: archivio dell’università di Bucarest, fondo senato, periodo 1989-2004; archivio della Camera dei Deputati della Romania; l’archivio della Commisione per l’Insegnamento, la scienza e la gioventù della Camera dei Deputati e interviste semi-direttive con ex ministri dell’istruzione, consiglieri della Commisione per l’Insegnamento della Camera dei Deputati e altri politici. Inoltre, per il caso romeno è stata realizzata una banca dati con i membri del Parlamento romeno 1989-2008, per un totale di 2737 parlamentari, con lo scopo di realizzare il profilo educazionale dell’elite parlamentare nel post communismo. Nel periodo che abbiamo investigato, l’università si definisce attraverso il suo posizionamento verso il passato, da una parte perchè non esiste una politica dell’università romena che abbiamo incluso nello studio di caso, ma ci sono dei tentativi di conquistare i dirittti degli universitari, e dall’altra perchè il cambiamento dell’università è blocatto da routines di tipo burocratico. La relazione tra il mondo accademico e il mondo politico si costruisce a livello di cariera in un senso doppio: dal mondo accademico verso il mondo politico nello spirito della tradizione interbellica romena e dal mondo politico verso il mondo accademico, la cui comprensione è facilitata dal paragone con il caso italiano. Per la terza parte dello studio, possiamo osservare che lo stato è molto presente nello spazio educativo, fatto che rende difficile la negociazzione di una pertinente definizione dell’autonomia universitaria.
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Udrescu, Claudia Maria <1966&gt. "Politica nell'università. Politiche dell'università. Studio di caso: Università di Bucarest e Università di Bologna." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/3160/.

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Abstract:
La mia tesi analizza il modo in cui è costruito il rapporto tra università e politica, con particolare sguardo sulle Università di Bucarest e di Bologna. E una ricerca empirica che si propone da una parte di fare una radiografia esatta della formulazione delle politiche dello stato in materia d’istruzione superiore, e dall’altro lato, di vedere la maniera in cui si sviluppa l’organizzazione interna delle università romene, prendendo come caso concreto l’Università di Bucarest. L’interesse per questo argomento è stato determinato dal fatto che la politica dell’educazione rappresenta una politica chiave nella ricostruzione dello stato democratico romeno dopo dicembre 1989. In secondo luogo l’intento di approfondire questo tema parte dal fatto che in Romania mancano degli studi consistenti sul percorso dell’università durante la transizione post communista, studi fatti nella prospettiva della scienza politica. In terzo luogo l’educazione è da sempre un argomento con portata politica. La tesi è articolata in tre parti, fondamentali per la comprehensione del rapporto tra politica è università: Università, Elites politiche e università, Stato e università. L’ipotesi è che l’educazione rappresenta un mezzo di legitimazzione per la politica, oppure, la carriera universitaria è un mezzo di legitimazzione per la carriera politica. Da qui deriva il fatto che l’università si constituisce in una fonte di reclutamento per i partiti politici e che in Romania le università private sono create per facilitare uno scambio di capitale, con lo scopo di facilitare il passaggio dal mondo politico verso il mondo accademico. Dal punto di vista metodologico, sono state utilizzate le fonti seguenti: archivio dell’università di Bucarest, fondo senato, periodo 1989-2004; archivio della Camera dei Deputati della Romania; l’archivio della Commisione per l’Insegnamento, la scienza e la gioventù della Camera dei Deputati e interviste semi-direttive con ex ministri dell’istruzione, consiglieri della Commisione per l’Insegnamento della Camera dei Deputati e altri politici. Inoltre, per il caso romeno è stata realizzata una banca dati con i membri del Parlamento romeno 1989-2008, per un totale di 2737 parlamentari, con lo scopo di realizzare il profilo educazionale dell’elite parlamentare nel post communismo. Nel periodo che abbiamo investigato, l’università si definisce attraverso il suo posizionamento verso il passato, da una parte perchè non esiste una politica dell’università romena che abbiamo incluso nello studio di caso, ma ci sono dei tentativi di conquistare i dirittti degli universitari, e dall’altra perchè il cambiamento dell’università è blocatto da routines di tipo burocratico. La relazione tra il mondo accademico e il mondo politico si costruisce a livello di cariera in un senso doppio: dal mondo accademico verso il mondo politico nello spirito della tradizione interbellica romena e dal mondo politico verso il mondo accademico, la cui comprensione è facilitata dal paragone con il caso italiano. Per la terza parte dello studio, possiamo osservare che lo stato è molto presente nello spazio educativo, fatto che rende difficile la negociazzione di una pertinente definizione dell’autonomia universitaria.
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Brighenti, Maura <1979&gt. "L'orizzonte della nazione. Dottrine politiche e scienze sociali in Argentina (1830-1880)." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/2083/1/Brighenti_Maura_tesi.pdf.

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Brighenti, Maura <1979&gt. "L'orizzonte della nazione. Dottrine politiche e scienze sociali in Argentina (1830-1880)." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2009. http://amsdottorato.unibo.it/2083/.

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Filippini, Michele <1980&gt. "Una filologia della società. Antonio Gramsci e la scoperta delle scienze sociali nella crisi dell'ordine liberale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/820/1/Tesi_Filippini_Michele.pdf.

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Abstract:
Questa tesi di dottorato ha per suo oggetto la ricognizione degli elementi teorici, di linguaggio politico e di influenza concettuale che le scienze sociali tra Ottocento e Novecento hanno avuto nell’opera di Antonio Gramsci. La ricerca si articola in cinque capitoli, ciascuno dei quali intende ricostruire, da una parte, la ricezione gramsciana dei testi classici della sociologia e della scienza politica del suo tempo, dall’altra, far emergere quelle filiazioni concettuali che permettano di valutare la portata dell’influenza delle scienze sociali sugli scritti gramsciani. Il lungo processo di sedimentazione concettuale del lessico delle scienze sociali inizia in Gramsci già negli anni della formazione politica, sullo sfondo di una Torino positivista che esprime le punte più avanzate del “progetto grande borghese” per lo studio scientifico della società e per la sua “organizzazione disciplinata”; di questa tradizione culturale Gramsci incrocia a più riprese il percorso. La sua formazione più propriamente politica si svolge però all’interno del Partito socialista, ancora imbevuto del lessico positivista ed evoluzionista. Questi due grandi filoni culturali costituiscono il brodo di coltura, rifiutato politicamente ma al tempo stesso assunto concettualmente, per quelle suggestioni sociologiche che Gramsci metterà a frutto in modo più organico nei Quaderni. La ricerca e la fissazione di una specifica antropologia politica implicita al discorso gramsciano è il secondo stadio della ricerca, nella direzione di un’articolazione complessiva delle suggestioni sociologiche che i Quaderni assumono come elementi di analisi politica. L’analisi si sposta sulla storia intellettuale della Francia della Terza Repubblica, più precisamente sulla nascita del paradigma sociologico durkheimiano come espressione diretta delle necessità di integrazione sociale. Vengono così messe in risalto alcune assonanze lessicali e concettuali tra il discorso di Durkheim, di Sorel e quello di Gramsci. Con il terzo capitolo si entra più in profondità nella struttura concettuale che caratterizza il laboratorio dei Quaderni. Si ricostruisce la genesi di concetti come «blocco storico», «ideologia» ed «egemonia» per farne risaltare quelle componenti che rimandano direttamente alle funzioni di integrazione di un sistema sociale. La declinazione gramsciana di questo problema prende le forme di un discorso sull’«organicità» che rende più che mai esplicito il suo debito teorico nei confronti dell’orizzonte concettuale delle scienze sociali. Il nucleo di problemi connessi a questa trattazione fa anche emergere l’assunzione di un vero e proprio lessico sociologico, come per i concetti di «conformismo» e «coercizione», comunque molto distante dallo spazio semantico proprio del marxismo contemporaneo a Gramsci. Nel quarto capitolo si affronta un caso paradigmatico per quanto riguarda l’assunzione non solo del lessico e dei concetti delle scienze sociali, ma anche dei temi e delle modalità della ricerca sociale. Il quaderno 22 intitolato Americanismo e fordismo è il termine di paragone rispetto alla realtà che Gramsci si prefigge di indagare. Le consonanze delle analisi gramsciane con quelle weberiane dei saggi su Selezione e adattamento forniscono poi gli spunti necessari per valutare le novità emerse negli Stati Uniti con la razionalizzazione produttiva taylorista, specialmente in quella sua parte che riguarda la pervasività delle tecniche di controllo della vita extra-lavorativa degli operai. L’ultimo capitolo affronta direttamente la questione delle aporie che la ricezione della teoria sociologica di Weber e la scienza politica italiana rappresentata dagli elitisti Mosca, Pareto e Michels, sollevano per la riformulazione dei concetti politici gramsciani. L’orizzonte problematico in cui si inserisce questa ricerca è l’individuazione di una possibile “sociologia del politico” gramsciana che metta a tema quel rapporto, che è sempre stato di difficile composizione, tra marxismo e scienze sociali.
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7

Filippini, Michele <1980&gt. "Una filologia della società. Antonio Gramsci e la scoperta delle scienze sociali nella crisi dell'ordine liberale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/820/.

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Abstract:
Questa tesi di dottorato ha per suo oggetto la ricognizione degli elementi teorici, di linguaggio politico e di influenza concettuale che le scienze sociali tra Ottocento e Novecento hanno avuto nell’opera di Antonio Gramsci. La ricerca si articola in cinque capitoli, ciascuno dei quali intende ricostruire, da una parte, la ricezione gramsciana dei testi classici della sociologia e della scienza politica del suo tempo, dall’altra, far emergere quelle filiazioni concettuali che permettano di valutare la portata dell’influenza delle scienze sociali sugli scritti gramsciani. Il lungo processo di sedimentazione concettuale del lessico delle scienze sociali inizia in Gramsci già negli anni della formazione politica, sullo sfondo di una Torino positivista che esprime le punte più avanzate del “progetto grande borghese” per lo studio scientifico della società e per la sua “organizzazione disciplinata”; di questa tradizione culturale Gramsci incrocia a più riprese il percorso. La sua formazione più propriamente politica si svolge però all’interno del Partito socialista, ancora imbevuto del lessico positivista ed evoluzionista. Questi due grandi filoni culturali costituiscono il brodo di coltura, rifiutato politicamente ma al tempo stesso assunto concettualmente, per quelle suggestioni sociologiche che Gramsci metterà a frutto in modo più organico nei Quaderni. La ricerca e la fissazione di una specifica antropologia politica implicita al discorso gramsciano è il secondo stadio della ricerca, nella direzione di un’articolazione complessiva delle suggestioni sociologiche che i Quaderni assumono come elementi di analisi politica. L’analisi si sposta sulla storia intellettuale della Francia della Terza Repubblica, più precisamente sulla nascita del paradigma sociologico durkheimiano come espressione diretta delle necessità di integrazione sociale. Vengono così messe in risalto alcune assonanze lessicali e concettuali tra il discorso di Durkheim, di Sorel e quello di Gramsci. Con il terzo capitolo si entra più in profondità nella struttura concettuale che caratterizza il laboratorio dei Quaderni. Si ricostruisce la genesi di concetti come «blocco storico», «ideologia» ed «egemonia» per farne risaltare quelle componenti che rimandano direttamente alle funzioni di integrazione di un sistema sociale. La declinazione gramsciana di questo problema prende le forme di un discorso sull’«organicità» che rende più che mai esplicito il suo debito teorico nei confronti dell’orizzonte concettuale delle scienze sociali. Il nucleo di problemi connessi a questa trattazione fa anche emergere l’assunzione di un vero e proprio lessico sociologico, come per i concetti di «conformismo» e «coercizione», comunque molto distante dallo spazio semantico proprio del marxismo contemporaneo a Gramsci. Nel quarto capitolo si affronta un caso paradigmatico per quanto riguarda l’assunzione non solo del lessico e dei concetti delle scienze sociali, ma anche dei temi e delle modalità della ricerca sociale. Il quaderno 22 intitolato Americanismo e fordismo è il termine di paragone rispetto alla realtà che Gramsci si prefigge di indagare. Le consonanze delle analisi gramsciane con quelle weberiane dei saggi su Selezione e adattamento forniscono poi gli spunti necessari per valutare le novità emerse negli Stati Uniti con la razionalizzazione produttiva taylorista, specialmente in quella sua parte che riguarda la pervasività delle tecniche di controllo della vita extra-lavorativa degli operai. L’ultimo capitolo affronta direttamente la questione delle aporie che la ricezione della teoria sociologica di Weber e la scienza politica italiana rappresentata dagli elitisti Mosca, Pareto e Michels, sollevano per la riformulazione dei concetti politici gramsciani. L’orizzonte problematico in cui si inserisce questa ricerca è l’individuazione di una possibile “sociologia del politico” gramsciana che metta a tema quel rapporto, che è sempre stato di difficile composizione, tra marxismo e scienze sociali.
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8

De, Ligio Giulio <1982&gt. "Il ritorno del politico e delle sue ombre. Un "momento" dello spirito europeo nel recente dibattito francese." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/3125/1/Deligio_Giulio_tesi.pdf.

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De, Ligio Giulio <1982&gt. "Il ritorno del politico e delle sue ombre. Un "momento" dello spirito europeo nel recente dibattito francese." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amsdottorato.unibo.it/3125/.

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10

Cappuccilli, Eleonora <1987&gt. "Tra Dio e la sfera pubblica. Mary Astell nella storia costituzionale inglese." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amsdottorato.unibo.it/7610/1/Cappuccilli_Eleonora_Tesi.pdf.

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Abstract:
La tesi ricostruisce la vita e la dottrina politica di Mary Astell (1666-1731), pensatrice politica, filosofa e teologa inglese. La sua riflessione costituisce un capitolo essenziale ma poco esplorato della storia costituzionale e del pensiero politico inglese. Malgrado il suo conservatorismo anglicano, Astell incarna una critica proto-femminista al patriarcato. Questa critica, pur essendo specialmente affilata nel pensiero di Astell, è condivisa, al netto di alcune significative differenze, anche da altre importanti pensatrici tra metà Seicento e inizio Settecento. Essa è definita come antipatriarcalismo materiale, in quanto mette in discussione i rapporti materiali di potere tra i sessi e si oppone all'antipatriarcalismo formale di Locke. L'antipatriarcalismo materiale si lega all'irruzione femminile nella sfera pubblica in formazione, durante la grande ribellione degli anni Quaranta del Seicento, che è contestuale allo sviluppo di una agency femminile in campo economico e giuridico. Insieme al dibattito politico-religioso, dunque, si considerano i trattati giuridici, i manuali di condotta, le petizioni e le profezie femminili del secolo delle Rivoluzioni, al fine di ricostruire il contesto giuridico e sociale a cui appartengono Astell e le altre donne “straordinarie” del tempo. In questo scenario Astell elabora la sua teologia politica, che implica una critica delle politiche di tolleranza e del tentativo dei dissenzienti e dei whig di riscrittura della storia. Astell teorizza la necessità dell'ordine politico, laddove tutto il potere è nelle mani di Dio e del re, Suo vicario sulla terra. L'autorità divina assoluta consente di pensare un'eguaglianza radicale delle anime davanti a Dio, condizione che rende la subordinazione delle donne agli uomini impossibile da sostenere. Questa rivendicazione dell’uguaglianza delle donne emerge con forza nel dibattito sull'educazione, in cui Astell interviene proponendo la creazione di un ritiro filosofico-religioso femminile che inauguri una sfera pubblica separata in grado di preparare le donne ad affrontare la società degli uomini.
The thesis investigates the life and political thought of Mary Astell (1666-1731), English political thinker, philosopher and theologian. Her reflections constitute an essential but rather unexplored chapter of English political thought and Constitutional History. Despite her Anglican Toryism, she embodies a proto-feminist critique to early modern patriarchy. While this critique is most consistently advanced by Astell, it is shared, notwithstanding some significant differences, by other outstanding female thinkers of the Century of Revolution. It can be defined as material antipatriarchalism, insofar as it questions the material power relations between the sexes and opposes the formal antipatriarchalism of Locke. Material antipatriarchalism is strictly linked to the female irruption into the emerging public sphere during the great rebellion of 1640s, which concurs with women's economic and legal agency. Therefore, together with the political and religious debate, legal treatises, conduct books, female petitions and prophecies of XVII and early XVIII century are taken into account in order to reconstruct the judicial and social context to which Astell belongs. Against this backdrop Astell elaborates her own political theology, which entails a critique of toleration policies and of the dissenters' and Whigs' attempt to reinterpret the English past. Astell theorizes the necessity of political order, whereby all power is held by God and the King, His vicar on earth. Absolute divine authority, in turn, paves the way to the radical equality of all souls in front of God, a condition that makes women's subordination to men unsustainable. The claim to women's equality is strongly reflected in the educational debate, where Astell intervenes proposing the creation of a philosophical-religious retirement that should lead to a separate public sphere able to prepare women to confront the male-run society.
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Books on the topic "STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE"

1

Manuale di storia delle dottrine politiche. Milano: Il Saggiatore, 1985.

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2

Albertoni, Ettore A. Storia delle dottrine politiche in Italia. Milano: Edizioni di Comunità, 1990.

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3

Franco, Todescan, ed. Compendio di storia delle dottrine politiche. [Padova]: CEDAM, 2012.

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4

Sarubbi, Antonio. Manuale di storia delle dottrine politiche. Torino: G. Giappichelli, 1991.

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5

Storia delle dottrine politiche in Italia: Saggio. Milano: Arnoldo Mondadori, 1985.

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6

Albertoni, Ettore A. Storia delle dottrine politiche in Italia: Saggio. Milano: Mondadori, 1985.

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7

Raffaella, Gherardi, and Testoni Binetti Saffo, eds. La storia delle dottrine politiche e le riviste, 1950-2008. Soveria Mannelli: Rubbettino, 2008.

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8

Thermes, Diana. Innovazione metodologica e revisionismo storiografico nella storia delle dottrine politiche. Soveria Mannelli: Rubbettino, 2011.

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9

Convegno "La storia delle dottrine politiche e le riviste, 1950-2008" (2008 Bologna, Italy). La storia delle dottrine politiche e le riviste, 1950-2008. Soveria Mannelli: Rubbettino, 2008.

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10

Il passato del presente: Rodolfo De Mattei e la storia delle dottrine politiche in Italia. Pescara: Edizioni scientifiche abruzzesi, 2005.

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Conference papers on the topic "STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE"

1

Ferrighi, Alessandra. "Citta', spazio e tempo: l’applicazione di un HGIS per la storia urbana." In International Conference Virtual City and Territory. Roma: Centre de Política de Sòl i Valoracions, 2014. http://dx.doi.org/10.5821/ctv.7920.

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Abstract:
La città è frutto dell'opera dell'uomo. Attraverso processi di lunga durata l’uomo ha costruito la forma della città adattando lo spazio circostante e modificando l’ambiente. Indagando tali processi, la storia delle città può essere narrata attraverso la ricerca e lo studio delle fonti, le interpretazioni e le analisi delle stesse. I luoghi o gli eventi legati alla città sono caratterizzati dai due concetti di Spazio e Tempo. Ogni città è stata creata in un determinato spazio e in un determinato tempo; ogni evento si è svolto in momento preciso e in un luogo specifico. I personaggi della storia sono vissuti in un intervallo temporale, hanno contribuito a segnare quel momento con azioni che sono riconoscibili come tracce nella storia. Siano essi personaggi illustri, che uomini del fare. Questa ricerca è nata dall'idea di trovare altri e diversi modi di comunicare, grazie alle nuove tecnologie, le trasformazioni, le stratificazioni e i cambiamenti delle città legati agli eventi naturali, alle decisioni politiche e amministrative avvenute nel corso della storia delle città stesse. Quando si narra la storia della città si fa riferimento, anche se non espressamente, alle due tematiche di Spazio e Tempo perché, come detto, le azioni si svolgono in momenti e luoghi definititi o circoscrivibili. L'HGIS (Historical GIS) se applicato alla storia urbana consente di mettere in relazione Spazio e Tempo nella lettura delle trasformazioni della città e del territorio circostante.
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