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Dissertations / Theses on the topic 'Thomas Paine'

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1

Caron, Nathalie. "Thomas Paine : la pensée religieuse." Orléans, 1996. http://www.theses.fr/1996ORLE1020.

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Abstract:
La renommée de Paine (1737-1809) est due à la publication de "Common sense" en 1776, puis à celle de "Rights of man" en 1791-1792. Dans le premier de ces pamphlets, Paine plaidait pour l'indépendance des colonies américaines et pour l'établissement d'une république ; dans l'autre, il proposait, dans le contexte anglais, une défense virulente de la révolution française. Paine atteignit un public large grâce à un style mordant et efficace qui se voulait démocratique. Moins connus sont ses écrits théologiques d'orientation déiste. Paine pourtant attachait un grand prix à la dimension religieuse de son oeuvre qu'il rendit publique en 1794 lorsqu'il publia "The age of reason", véritable brulôt religieux rédigé à Paris à l'heure de la déchristianisation. Le déisme de Paine est élaboré en harmonie avec sa pensée politique et participe de la même démarche iconoclaste. Dans ses écrits politiques comme dans ses écrits religieux, Paine cherche à démystifier la réalité existante afin de reconstruire un nouveau systême sur des bases simples et rationnelles. En politique, il montre que le systeme monarchique est fondé sur de faux principes ; en religion, il expose la fausseté du christianisme en attaquant la Bible. L'objectif de cet homme des lumières est de mener l'humanité au bonheur par le biais du républicanisme. Mais ce processus ne peut être accompli que si l'individu parvient à se défaire de l'emprise des "prêtres" et des églises, piliers du système monarchique et source d'obscurantisme. Tout en laissant à chacun la liberte de vénérer Dieu comme il le souhaite, il faut donc laisser émerger le déisme - la croyance en un dieu unique et rien de plus. Seul le déisme propose une conception juste de Dieu et des intentions divines. Seul le déisme élève la création divine - homme et nature - au rang qu'elle mérite
Thomas Paine's fame is mainly due to the publication of two political pamphlets, "Common sense" in 1776, a plea in favour of the independence of the American colonies, and "Rights of man" in 1791-1792, a defence of the French revolution. His theological writings are not as well-known, although Paine took a deep interest in the religious dimension of his work and actively participated in the organization of the first American deistic society, in 1804-1805. Only in 1794 did he publicize his deistic views. In his "Age of reason", he contended that deism (the belief "in one god, and no more") was the only true religion and that christianisty was, in contrast, based on false principles. To this purpose, he forcefully attacked the Bible. His religious (deistic) and political (republican) approaches were similarly oriented. In both fields, he resorted to the same effective, democratic, iconoclastic style, and endeavoured to demystify church and state in order to reconstruct a new system on simple and rational bases. He was a man of the enlightenment and his foremost object was consequently to lead mankind to happiness, a process which he assumed could only be achieved if man managed to get rid of priests and churches. He claimed that every one should be able to worship god as they wished, yet believed that deism would eventually emerge as the only possible religion of an enlightened humanity
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2

Kinsel, Jason Anthony. "The Misunderstood Philosophy of Thomas Paine." University of Akron / OhioLINK, 2015. http://rave.ohiolink.edu/etdc/view?acc_num=akron1447685875.

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3

Battistini, Matteo <1979&gt. "Thomas Paine nella trasmissione atlantica della rivoluzione." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/819/1/Tesi_Battistini_Matteo.pdf.

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Abstract:
Call me Ismail. Così inizia notoriamente il celebre romanzo di Herman Melville, Moby Dick. In un altro racconto, ambientato nel 1797, anno del grande ammutinamento della flotta del governo inglese, Melville dedica un breve accenno a Thomas Paine. Il racconto è significativo di quanto – ancora nella seconda metà dell’Ottocento – l’autore di Common Sense e Rights of Man sia sinonimo delle possibilità radicalmente democratiche che l’ultima parte del Settecento aveva offerto. Melville trova in Paine la chiave per dischiudere nel presente una diversa interpretazione della rivoluzione: non come una vicenda terminata e confinata nel passato, ma come una possibilità che persiste nel presente, “una crisi mai superata” che viene raffigurata nel dramma interiore del gabbiere di parrocchetto, Billy Budd. Il giovane marinaio della nave mercantile chiamata Rights of Man mostra un’attitudine docile e disponibile all’obbedienza, che lo rende pronto ad accettare il volere dei superiori. Billy non contesta l’arruolamento forzato nella nave militare. Nonostante il suo carattere affabile, non certo irascibile, l’esperienza in mare sulla Rights of Man rappresenta però un peccato difficile da espiare: il sospetto è più forte della ragionevolezza, specie quando uno spettro di insurrezione continua ad aggirarsi nella flotta di sua maestà. Così, quando, imbarcato in una nave militare della flotta inglese, con un violento pugno Billy uccide l’uomo che lo accusa di tramare un nuovo ammutinamento, il destino inevitabile è quello di un’esemplare condanna a morte. Una condanna che, si potrebbe dire, mostra come lo spettro della rivoluzione continui ad agitare le acque dell’oceano Atlantico. Nella Prefazione Melville fornisce una chiave di lettura per accedere al testo e decifrare il dramma interiore del marinaio: nella degenerazione nel Terrore, la vicenda francese indica una tendenza al tradimento della rivoluzione, che è così destinata a ripetere continuamente se stessa. Se “la rivoluzione si trasformò essa stessa in tirannia”, allora la crisi segna ancora la società atlantica. Non è però alla classica concezione del tempo storico – quella della ciclica degenerazione e rigenerazione del governo – che Melville sembra alludere. Piuttosto, la vicenda rivoluzionaria che ha investito il mondo atlantico ha segnato un radicale punto di cesura con il passato: la questione non è quella della continua replica della storia, ma quella del continuo circolare dello “spirito rivoluzionario”, come dimostra nell’estate del 1797 l’esperienza di migliaia di marinai che tra grida di giubilo issano sugli alberi delle navi i colori britannici da cui cancellano lo stemma reale e la croce, abolendo così d’un solo colpo la bandiera della monarchia e trasformando il mondo in miniatura della flotta di sua maestà “nella rossa meteora di una violenta e sfrenata rivoluzione”. Raccontare la vicenda di Billy riporta alla memoria Paine. L’ammutinamento è solo un frammento di un generale spirito rivoluzionario che “l’orgoglio nazionale e l’opinione politica hanno voluto relegare nello sfondo della storia”. Quando Billy viene arruolato, non può fare a meno di portare con sé l’esperienza della Rights of Man. Su quel mercantile ha imparato a gustare il dolce sapore del commercio insieme all’asprezza della competizione sfrenata per il mercato, ha testato la libertà non senza subire la coercizione di un arruolamento forzato. La vicenda di Billy ricorda allora quella del Paine inglese prima del grande successo di Common Sense, quando muove da un’esperienza di lavoro all’altra in modo irrequieto alla ricerca di felicità – dal mestiere di artigiano all’avventura a bordo di un privateer inglese durante la guerra dei sette anni, dalla professione di esattore fiscale alle dipendenze del governo, fino alla scelta di cercare fortuna in America. Così come Paine rivendica l’originalità del proprio pensiero, il suo essere un autodidatta e le umili origini che gli hanno impedito di frequentare le biblioteche e le accademie inglesi, anche Billy ha “quel tipo e quel grado di intelligenza che si accompagna alla rettitudine non convenzionale di ogni integra creatura umana alla quale non sia ancora stato offerto il dubbio pomo della sapienza”. Così come il pamphlet Rights of man porta alla virtuale condanna a morte di Paine – dalla quale sfugge trovando rifugio a Parigi – allo stesso modo il passato da marinaio sulla Rights of Man porta al processo per direttissima che sentenzia la morte per impiccagione del giovane marinaio. Il dramma interiore di Billy replica dunque l’esito negativo della rivoluzione in Europa: la rivoluzione è in questo senso come un “violento accesso di febbre contagiosa”, destinato a scomparire “in un organismo costituzionalmente sano, che non tarderà a vincerla”. Non viene però meno la speranza: quella della rivoluzione sembra una storia senza fine perché Edward Coke e William Blackstone – i due grandi giuristi del common law inglese che sono oggetto della violenta critica painita contro la costituzione inglese – “non riescono a far luce nei recessi oscuri dell’animo umano”. Rimane dunque uno spiraglio, un angolo nascosto dal quale continua a emergere uno spirito rivoluzionario. Per questo non esistono cure senza effetti collaterali, non esiste ordine senza l’ipoteca del ricorso alla forza contro l’insurrezione: c’è chi come l’ufficiale che condanna Billy diviene baronetto di sua maestà, c’è chi come Billy viene impiccato, c’è chi come Paine viene raffigurato come un alcolizzato e impotente, disonesto e depravato, da relegare sul fondo della storia atlantica. Eppure niente più del materiale denigratorio pubblicato contro Paine ne evidenzia il grande successo. Il problema che viene sollevato dalle calunniose biografie edite tra fine Settecento e inizio Ottocento è esattamente quello del trionfo dell’autore di Common Sense e Rights of Man nell’aver promosso, spiegato e tramandato la rivoluzione come sfida democratica che è ancora possibile vincere in America come in Europa. Sono proprio le voci dei suoi detrattori – americani, inglesi e francesi – a mostrare che la dimensione nella quale è necessario leggere Paine è quella del mondo atlantico. Assumendo una prospettiva atlantica, ovvero ricostruendo la vicenda politica e intellettuale di Paine da una sponda all’altra dell’oceano, è possibile collegare ciò che Paine dice in spazi e tempi diversi in modo da segnalare la presenza costante sulla scena politica di quei soggetti che – come i marinai protagonisti dell’ammutinamento – segnalano il mancato compimento delle speranze aperte dall’esperienza rivoluzionaria. Limitando la ricerca al processo di costruzione della nazione politica, scegliendo di riassumerne il pensiero politico nell’ideologia americana, nella vicenda costituzionale francese o nel contesto politico inglese, le ricerche su Paine non sono riuscite fino in fondo a mostrare la grandezza di un autore che risulta ancora oggi importante: la sua produzione intellettuale è talmente segnata dalle vicende rivoluzionarie che intessono la sua biografia da fornire la possibilità di studiare quel lungo periodo di trasformazione sociale e politica che investe non una singola nazione, ma l’intero mondo atlantico nel corso della rivoluzione. Attraverso Paine è allora possibile superare quella barriera che ha diviso il dibattito storiografico tra chi ha trovato nella Rivoluzione del 1776 la conferma del carattere eccezionale della nazione americana – fin dalla sua origine rappresentata come esente dalla violenta conflittualità che invece investe il vecchio continente – e chi ha relegato il 1776 a data di secondo piano rispetto al 1789, individuando nell’illuminismo la presunta superiorità culturale europea. Da una sponda all’altra dell’Atlantico, la storiografia ha così implicitamente alzato un confine politico e intellettuale tra Europa e America, un confine che attraverso Paine è possibile valicare mostrandone la debolezza. Parlando di prospettiva atlantica, è però necessario sgombrare il campo da possibili equivoci: attraverso Paine, non intendiamo stabilire l’influenza della Rivoluzione americana su quella francese, né vogliamo mostrare l’influenza del pensiero politico europeo sulla Rivoluzione americana. Non si tratta cioè di stabilire un punto prospettico – americano o europeo – dal quale leggere Paine. L’obiettivo non è quello di sottrarre Paine agli americani per restituirlo agli inglesi che l’hanno tradito, condannandolo virtualmente a morte. Né è quello di confermare l’americanismo come suo unico lascito culturale e politico. Si tratta piuttosto di considerare il mondo atlantico come l’unico scenario nel quale è possibile leggere Paine. Per questo, facendo riferimento al complesso filone storiografico dell’ultimo decennio, sviluppato in modo diverso da Bernard Bailyn a Markus Rediker e Peter Linebaugh, parliamo di rivoluzione atlantica. Certo, Paine vede fallire nell’esperienza del Terrore quella rivoluzione che in America ha trionfato. Ciò non costituisce però un elemento sufficiente per riproporre l’interpretazione arendtiana della rivoluzione che, sulla scorta della storiografia del consenso degli anni cinquanta, ma con motivi di fascino e interesse che non sempre ritroviamo in quella storiografia, ha contribuito ad affermare un ‘eccezionalismo’ americano anche in Europa, rappresentando gli americani alle prese con il problema esclusivamente politico della forma di governo, e i francesi impegnati nel rompicapo della questione sociale della povertà. Rompicapo che non poteva non degenerare nella violenza francese del Terrore, mentre l’America riusciva a istituire pacificamente un nuovo governo rappresentativo facendo leva su una società non conflittuale. Attraverso Paine, è infatti possibile mostrare come – sebbene con intensità e modalità diverse – la rivoluzione incida sul processo di trasformazione commerciale della società che investe l’intero mondo atlantico. Nel suo andirivieni da una sponda all’altra dell’oceano, Paine non ragiona soltanto sulla politica – sulla modalità di organizzare una convivenza democratica attraverso la rappresentanza, convivenza che doveva trovare una propria legittimazione nel primato della costituzione come norma superiore alla legge stabilita dal popolo. Egli riflette anche sulla società commerciale, sui meccanismi che la muovono e le gerarchie che la attraversano, mostrando così precise linee di continuità che tengono insieme le due sponde dell’oceano non solo nella circolazione del linguaggio politico, ma anche nella comune trasformazione sociale che investe i termini del commercio, del possesso della proprietà e del lavoro, dell’arricchimento e dell’impoverimento. Con Paine, America e Europa non possono essere pensate separatamente, né – come invece suggerisce il grande lavoro di Robert Palmer, The Age of Democratic Revolution – possono essere inquadrate dentro un singolo e generale movimento rivoluzionario essenzialmente democratico. Emergono piuttosto tensioni e contraddizioni che investono il mondo atlantico allontanando e avvicinando continuamente le due sponde dell’oceano come due estremità di un elastico. Per questo, parliamo di società atlantica. Quanto detto trova conferma nella difficoltà con la quale la storiografia ricostruisce la figura politica di Paine dentro la vicenda rivoluzionaria americana. John Pocock riconosce la difficoltà di comprendere e spiegare Paine, quando sostiene che Common Sense non evoca coerentemente nessun prestabilito vocabolario atlantico e la figura di Paine non è sistemabile in alcuna categoria di pensiero politico. Partendo dal paradigma classico della virtù, legata antropologicamente al possesso della proprietà terriera, Pocock ricostruisce la permanenza del linguaggio repubblicano nel mondo atlantico senza riuscire a inserire Common Sense e Rights of Man nello svolgimento della rivoluzione. Sebbene non esplicitamente dichiarata, l’incapacità di comprendere il portato innovativo di Common Sense, in quella che è stata definita sintesi repubblicana, è evidente anche nel lavoro di Bernard Bailyn che spiega come l’origine ideologica della rivoluzione, radicata nella paura della cospirazione inglese contro la libertà e nel timore della degenerazione del potere, si traduca ben presto in un sentimento fortemente contrario alla democrazia. Segue questa prospettiva anche Gordon Wood, secondo il quale la chiamata repubblicana per l’indipendenza avanzata da Paine non parla al senso comune americano, critico della concezione radicale del governo rappresentativo come governo della maggioranza, che Paine presenta quando partecipa al dibattito costituzionale della Pennsylvania rivoluzionaria. Paine è quindi considerato soltanto nelle risposte repubblicane dei leader della guerra d’indipendenza che temono una possibile deriva democratica della rivoluzione. Paine viene in questo senso dimenticato. La sua figura è invece centrale della nuova lettura liberale della rivoluzione: Joyce Appleby e Isaac Kramnick contestano alla letteratura repubblicana di non aver compreso che la separazione tra società e governo – la prima intesa come benedizione, il secondo come male necessario – con cui si apre Common Sense rappresenta il tentativo riuscito di cogliere, spiegare e tradurre in linguaggio politico l’affermazione del capitalismo. In particolare, Appleby critica efficacemente il concetto d’ideologia proposto dalla storiografia repubblicana, perché presuppone una visione statica della società. L’affermazione del commercio fornirebbe invece quella possibilità di emancipazione attraverso il lavoro libero, che Paine coglie perfettamente promuovendo una visione della società per la quale il commercio avrebbe permesso di raggiungere la libertà senza il timore della degenerazione della rivoluzione nel disordine. Questa interpretazione di Paine individua in modo efficace un aspetto importante del suo pensiero politico, la sua profonda fiducia nel commercio come strumento di emancipazione e progresso. Tuttavia, non risulta essere fino in fondo coerente e pertinente, se vengono prese in considerazione le diverse agende politiche avanzate in seguito alla pubblicazione di Common Sense e di Rights of Man, né sembra reggere quando prendiamo in mano The Agrarian Justice (1797), il pamphlet nel quale Paine mette in discussione la sua profonda fiducia nel progresso della società commerciale. Diverso è il Paine che emerge dalla storiografia bottom-up, secondo la quale la rivoluzione non può più essere ridotta al momento repubblicano o all’affermazione senza tensione del liberalismo: lo studio della rivoluzione deve essere ampliato fino a comprendere quell’insieme di pratiche e discorsi che mirano all’incisiva trasformazione dell’esistente slegando il diritto di voto dalla qualifica proprietaria, perseguendo lo scopo di frenare l’accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi con l’intento di ordinare la società secondo una logica di maggiore uguaglianza. Come dimostrano Eric Foner e Gregory Claeys, attraverso Paine è allora possibile rintracciare, sulla sponda americana come su quella inglese dell’Atlantico, forti pretese democratiche che non sembrano riducibili al linguaggio liberale, né a quello repubblicano. Paine viene così sottratto a rigide categorie storiografiche che per troppo tempo l’hanno consegnato tout court all’elogio del campo liberale o al silenzio di quello repubblicano. Facendo nostra la metodologia di ricerca elaborata dalla storiografia bottom-up per tenere insieme storia sociale e storia intellettuale, possiamo allora leggere Paine non solo per parlare di rivoluzione atlantica, ma anche di società atlantica: società e politica costituiscono un unico orizzonte d’indagine dal quale esce ridimensionata l’interpretazione della rivoluzione come rivoluzione esclusivamente politica, che – sebbene in modo diverso – tanto la storiografia repubblicana quanto quella liberale hanno rafforzato, alimentando indirettamente l’eccezionale successo americano contro la clamorosa disfatta europea. Entrambe le sponde dell’Atlantico mostrano una società in transizione: la costruzione della finanza nazionale con l’istituzione del debito pubblico e la creazione delle banche, la definizione delle forme giuridiche che stabiliscono modalità di possesso e impiego di proprietà e lavoro, costituiscono un complesso strumentario politico necessario allo sviluppo del commercio e al processo di accumulazione di ricchezza. Per questo, la trasformazione commerciale della società è legata a doppio filo con la rivoluzione politica. Ricostruire il modo nel quale Paine descrive e critica la società da una sponda all’altra dell’Atlantico mostra come la separazione della società dal governo non possa essere immediatamente interpretata come essenza del liberalismo economico e politico. La lettura liberale rappresenta senza ombra di dubbio un salto di qualità nell’interpretazione storiografica perché spiega in modo convincente come Paine traduca in discorso politico il passaggio da una società fortemente gerarchica come quella inglese, segnata dalla condizione di povertà e miseria comune alle diverse figure del lavoro, a una realtà sociale come quella americana decisamente più dinamica, dove il commercio e le terre libere a ovest offrono ampie possibilità di emancipazione e arricchimento attraverso il lavoro libero. Tuttavia, leggendo The Case of Officers of Excise (1772) e ricostruendo la sua attività editoriale alla guida del Pennsylvania Magazine (1775) è possibile giungere a una conclusione decisamente più complessa rispetto a quella suggerita dalla storiografia liberale: il commercio non sembra affatto definire una qualità non conflittuale del contesto atlantico. Piuttosto, nonostante l’assenza dell’antico ordine ‘cetuale’ europeo, esso investe la società di una tendenza alla trasformazione, la cui direzione, intensità e velocità dipendono anche dall’esito dello scontro politico in atto dentro la rivoluzione. Spostando l’attenzione su figure sociali che in quella letteratura sono di norma relegate in secondo piano, Paine mira infatti a democratizzare la concezione del commercio indicando nell’indipendenza personale la condizione comune alla quale poveri e lavoratori aspirano: per chi è coinvolto in prima persona nella lotta per l’indipendenza, la visione della società non indica allora un ordine naturale, dato e immutabile, quanto una scommessa sul futuro, un ideale che dovrebbe avviare un cambiamento sociale coerente con le diverse aspettative di emancipazione. Senza riconoscere questa valenza democratica del commercio non è possibile superare il consenso come presupposto incontestabile della Rivoluzione americana, nel quale tanto la storiografia repubblicana quanto quella librale tendono a cadere: non è possibile superare l’immagine statica della società americana, implicitamente descritta dalla prima, né andare oltre la visione di una società dinamica, ma priva di gerarchie e oppressione, come quella delineata dalla seconda. Le entusiastiche risposte e le violente critiche in favore e contro Common Sense, la dura polemica condotta in difesa o contro la costituzione radicale della Pennsylvania, la diatriba politica sul ruolo dei ricchi mercanti mostrano infatti una società in transizione lungo linee che sono contemporaneamente politiche e sociali. Dentro questo contesto conflittuale, repubblicanesimo e liberalismo non sembrano affatto competere l’uno contro l’altro per esercitare un’influenza egemone nella costruzione del governo rappresentativo. Vengono piuttosto mescolati e ridefiniti per rispondere alla pretese democratiche che provengono dalla parte bassa della società. Common Sense propone infatti un piano politico per l’indipendenza del tutto innovativo rispetto al modo nel quale le colonie hanno fino a quel momento condotto la controversia con la madre patria: la chiamata della convenzione rappresentativa di tutti gli individui per scrivere una nuova costituzione assume le sembianze di un vero e proprio potere costituente. Con la mobilitazione di ampie fasce della popolazione per vincere la guerra contro gli inglesi, le élite mercantili e proprietarie perdono il monopolio della parola e il processo decisionale è aperto anche a coloro che non hanno avuto voce nel governo coloniale. La dottrina dell’indipendenza assume così un carattere democratico. Paine non impiega direttamente il termine, tuttavia le risposte che seguono la pubblicazione di Common Sense lanciano esplicitamente la sfida della democrazia. Ciò mostra come la rivoluzione non possa essere letta semplicemente come affermazione ideologica del repubblicanesimo in continuità con la letteratura d’opposizione del Settecento britannico, o in alternativa come transizione non conflittuale al liberalismo economico e politico. Essa risulta piuttosto comprensibile nella tensione tra repubblicanesimo e democrazia: se dentro la rivoluzione (1776-1779) Paine contribuisce a democratizzare la società politica americana, allora – ed è questo un punto importante, non sufficientemente chiarito dalla storiografia – il recupero della letteratura repubblicana assume il carattere liberale di una strategia tesa a frenare le aspettative di chi considera la rivoluzione politica come un mezzo per superare la condizione di povertà e le disuguaglianze che pure segnano la società americana. La dialettica politica tra democrazia e repubblicanesimo consente di porre una questione fondamentale per comprendere la lunga vicenda intellettuale di Paine nella rivoluzione atlantica e anche il rapporto tra trasformazione sociale e rivoluzione politica: è possibile sostenere che in America la congiunzione storica di processo di accumulazione di ricchezza e costruzione del governo rappresentativo pone la società commerciale in transizione lungo linee capitalistiche? Questa non è certo una domanda che Paine pone esplicitamente, né in Paine troviamo una risposta esaustiva. Tuttavia, la sua collaborazione con i ricchi mercanti di Philadelphia suggerisce una valida direzione di indagine dalla quale emerge che il processo di costruzione del governo federale è connesso alla definizione di una cornice giuridica entro la quale possa essere realizzata l’accumulazione del capitale disperso nelle periferie dell’America indipendente. Paine viene così coinvolto in un frammentato e dilatato scontro politico dove – nonostante la conclusione della guerra contro gli inglesi nel 1783 – la rivoluzione non sembra affatto conclusa perché continua a muovere passioni che ostacolano la costruzione dell’ordine: leggere Paine fuori dalla rivoluzione (1780-1786) consente paradossalmente di descrivere la lunga durata della rivoluzione e di considerare la questione della transizione dalla forma confederale a quella federale dell’unione come un problema di limiti della democrazia. Ricostruire la vicenda politica e intellettuale di Paine in America permette infine di evidenziare un ambiguità costitutiva della società commerciale dentro la quale il progetto politico dei ricchi mercanti entra in tensione con un’attitudine popolare critica del primo processo di accumulazione che rappresenta un presupposto indispensabile all’affermazione del capitalismo. La rivoluzione politica apre in questo senso la società commerciale a una lunga e conflittuale transizione verso il capitalismo Ciò risulta ancora più evidente leggendo Paine in Europa (1791-1797). Da una sponda all’altra dell’Atlantico, con Rights of Man egli esplicita ciò che in America ha preferito mantenere implicito, pur raccogliendo la sfida democratica lanciata dai friend of Common Sense: il salto in avanti che la rivoluzione atlantica deve determinare nel progresso dell’umanità è quello di realizzare la repubblica come vera e propria democrazia rappresentativa. Tuttavia, il fallimento del progetto politico di convocare una convenzione nazionale in Inghilterra e la degenerazione dell’esperienza repubblicana francese nel Terrore costringono Paine a mettere in discussione quella fiducia nel commercio che la storiografia liberale ha con grande profitto mostrato: il mancato compimento della rivoluzione in Europa trova infatti spiegazione nella temporanea impossibilità di tenere insieme democrazia rappresentativa e società commerciale. Nel contesto europeo, fortemente disgregato e segnato da durature gerarchie e forti disuguaglianze, con The Agrarian Justice, Paine individua nel lavoro salariato la causa del contraddittorio andamento – di arricchimento e impoverimento – dello sviluppo economico della società commerciale. La tendenza all’accumulazione non è quindi l’unica qualità della società commerciale in transizione. Attraverso Paine, possiamo individuare un altro carattere decisivo per comprendere la trasformazione sociale, quello dell’affermazione del lavoro salariato. Non solo in Europa. Al ritorno in America, Paine non porta con sé la critica della società commerciale. Ciò non trova spiegazione esclusivamente nel minor grado di disuguaglianza della società americana. Leggendo Paine in assenza di Paine (1787-1802) – ovvero ricostruendo il modo nel quale dall’Europa egli discute, critica e influenza la politica americana – mostreremo come la costituzione federale acquisisca gradualmente la supremazia sulla conflittualità sociale. Ciò non significa che l’America indipendente sia caratterizzata da un unanime consenso costituzionale. Piuttosto, è segnata da un lungo e tortuoso processo di stabilizzazione che esclude la democrazia dall’immediato orizzonte della repubblica americana. Senza successo, Paine torna infatti a promuovere una nuova sfida democratica come nella Pennsylvania rivoluzionaria degli anni settanta. E’ allora possibile vedere come la rivoluzione atlantica venga stroncata su entrambe le sponde dell’oceano: i grandi protagonisti della politica atlantica che prendono direttamente parola contro l’agenda democratica painita – Edmund Burke, Boissy d’Anglas e John Quincy Adams – spostano l’attenzione dal governo alla società per rafforzare le gerarchie determinate dal possesso di proprietà e dall’affermazione del lavoro salariato. Dentro la rivoluzione atlantica, viene così svolto un preciso compito politico, quello di contribuire alla formazione di un ambiente sociale e culturale favorevole all’affermazione del capitalismo – dalla trasformazione commerciale della società alla futura innovazione industriale. Ciò emerge in tutta evidenza quando sulla superficie increspata dell’oceano Atlantico compare nuovamente Paine: a Londra come a New York. Abbandonando quella positiva visione del commercio come vettore di emancipazione personale e collettiva, nel primo trentennio del diciannovesimo secolo, i lavoratori delle prime manifatture compongono l’agenda radicale che Paine lascia in eredità in un linguaggio democratico che assume così la valenza di linguaggio di classe. La diversa prospettiva politica sulla società elaborata da Paine in Europa torna allora d’attualità, anche in America. Ciò consente in conclusione di discutere quella storiografia secondo la quale nella repubblica dal 1787 al 1830 il trionfo della democrazia ha luogo – senza tensione e conflittualità – insieme con la lineare e incontestata affermazione del capitalismo: leggere Paine nella rivoluzione atlantica consente di superare quell’approccio storiografico che tende a ricostruire la circolazione di un unico paradigma linguistico o di un’ideologia dominante, finendo per chiudere la grande esperienza rivoluzionaria atlantica in un tempo limitato – quello del 1776 o in alternativa del 1789 – e in uno spazio chiuso delimitato dai confini delle singole nazioni. Quello che emerge attraverso Paine è invece una società atlantica in transizione lungo linee politiche e sociali che tracciano una direzione di marcia verso il capitalismo, una direzione affatto esente dal conflitto. Neanche sulla sponda americana dell’oceano, dove attraverso Paine è possibile sottolineare una precisa congiunzione storica tra rivoluzione politica, costruzione del governo federale e transizione al capitalismo. Una congiunzione per la quale la sfida democratica non risulta affatto sconfitta: sebbene venga allontanata dall’orizzonte immediato della rivoluzione, nell’arco di neanche un ventennio dalla morte di Paine nel 1809, essa torna a muovere le acque dell’oceano – con le parole di Melville – come un violento accesso di febbre contagiosa destinato a turbare l’organismo costituzionalmente sano del mondo atlantico. Per questo, come scrive John Adams nel 1805 quella che il 1776 apre potrebbe essere chiamata “the Age of Folly, Vice, Frenzy, Brutality, Daemons, Buonaparte -…- or the Age of the burning Brand from the Bottomless Pit”. Non può però essere chiamata “the Age of Reason”, perché è l’epoca di Paine: “whether any man in the world has had more influence on its inhabitants or affairs for the last thirty years than Tom Paine” -…- there can be no severer satyr on the age. For such a mongrel between pig and puppy, begotten by a wild boar on a bitch wolf, never before in any age of the world was suffered by the poltroonery of mankind, to run through such a career of mischief. Call it then the Age of Paine”.
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Battistini, Matteo <1979&gt. "Thomas Paine nella trasmissione atlantica della rivoluzione." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2008. http://amsdottorato.unibo.it/819/.

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Abstract:
Call me Ismail. Così inizia notoriamente il celebre romanzo di Herman Melville, Moby Dick. In un altro racconto, ambientato nel 1797, anno del grande ammutinamento della flotta del governo inglese, Melville dedica un breve accenno a Thomas Paine. Il racconto è significativo di quanto – ancora nella seconda metà dell’Ottocento – l’autore di Common Sense e Rights of Man sia sinonimo delle possibilità radicalmente democratiche che l’ultima parte del Settecento aveva offerto. Melville trova in Paine la chiave per dischiudere nel presente una diversa interpretazione della rivoluzione: non come una vicenda terminata e confinata nel passato, ma come una possibilità che persiste nel presente, “una crisi mai superata” che viene raffigurata nel dramma interiore del gabbiere di parrocchetto, Billy Budd. Il giovane marinaio della nave mercantile chiamata Rights of Man mostra un’attitudine docile e disponibile all’obbedienza, che lo rende pronto ad accettare il volere dei superiori. Billy non contesta l’arruolamento forzato nella nave militare. Nonostante il suo carattere affabile, non certo irascibile, l’esperienza in mare sulla Rights of Man rappresenta però un peccato difficile da espiare: il sospetto è più forte della ragionevolezza, specie quando uno spettro di insurrezione continua ad aggirarsi nella flotta di sua maestà. Così, quando, imbarcato in una nave militare della flotta inglese, con un violento pugno Billy uccide l’uomo che lo accusa di tramare un nuovo ammutinamento, il destino inevitabile è quello di un’esemplare condanna a morte. Una condanna che, si potrebbe dire, mostra come lo spettro della rivoluzione continui ad agitare le acque dell’oceano Atlantico. Nella Prefazione Melville fornisce una chiave di lettura per accedere al testo e decifrare il dramma interiore del marinaio: nella degenerazione nel Terrore, la vicenda francese indica una tendenza al tradimento della rivoluzione, che è così destinata a ripetere continuamente se stessa. Se “la rivoluzione si trasformò essa stessa in tirannia”, allora la crisi segna ancora la società atlantica. Non è però alla classica concezione del tempo storico – quella della ciclica degenerazione e rigenerazione del governo – che Melville sembra alludere. Piuttosto, la vicenda rivoluzionaria che ha investito il mondo atlantico ha segnato un radicale punto di cesura con il passato: la questione non è quella della continua replica della storia, ma quella del continuo circolare dello “spirito rivoluzionario”, come dimostra nell’estate del 1797 l’esperienza di migliaia di marinai che tra grida di giubilo issano sugli alberi delle navi i colori britannici da cui cancellano lo stemma reale e la croce, abolendo così d’un solo colpo la bandiera della monarchia e trasformando il mondo in miniatura della flotta di sua maestà “nella rossa meteora di una violenta e sfrenata rivoluzione”. Raccontare la vicenda di Billy riporta alla memoria Paine. L’ammutinamento è solo un frammento di un generale spirito rivoluzionario che “l’orgoglio nazionale e l’opinione politica hanno voluto relegare nello sfondo della storia”. Quando Billy viene arruolato, non può fare a meno di portare con sé l’esperienza della Rights of Man. Su quel mercantile ha imparato a gustare il dolce sapore del commercio insieme all’asprezza della competizione sfrenata per il mercato, ha testato la libertà non senza subire la coercizione di un arruolamento forzato. La vicenda di Billy ricorda allora quella del Paine inglese prima del grande successo di Common Sense, quando muove da un’esperienza di lavoro all’altra in modo irrequieto alla ricerca di felicità – dal mestiere di artigiano all’avventura a bordo di un privateer inglese durante la guerra dei sette anni, dalla professione di esattore fiscale alle dipendenze del governo, fino alla scelta di cercare fortuna in America. Così come Paine rivendica l’originalità del proprio pensiero, il suo essere un autodidatta e le umili origini che gli hanno impedito di frequentare le biblioteche e le accademie inglesi, anche Billy ha “quel tipo e quel grado di intelligenza che si accompagna alla rettitudine non convenzionale di ogni integra creatura umana alla quale non sia ancora stato offerto il dubbio pomo della sapienza”. Così come il pamphlet Rights of man porta alla virtuale condanna a morte di Paine – dalla quale sfugge trovando rifugio a Parigi – allo stesso modo il passato da marinaio sulla Rights of Man porta al processo per direttissima che sentenzia la morte per impiccagione del giovane marinaio. Il dramma interiore di Billy replica dunque l’esito negativo della rivoluzione in Europa: la rivoluzione è in questo senso come un “violento accesso di febbre contagiosa”, destinato a scomparire “in un organismo costituzionalmente sano, che non tarderà a vincerla”. Non viene però meno la speranza: quella della rivoluzione sembra una storia senza fine perché Edward Coke e William Blackstone – i due grandi giuristi del common law inglese che sono oggetto della violenta critica painita contro la costituzione inglese – “non riescono a far luce nei recessi oscuri dell’animo umano”. Rimane dunque uno spiraglio, un angolo nascosto dal quale continua a emergere uno spirito rivoluzionario. Per questo non esistono cure senza effetti collaterali, non esiste ordine senza l’ipoteca del ricorso alla forza contro l’insurrezione: c’è chi come l’ufficiale che condanna Billy diviene baronetto di sua maestà, c’è chi come Billy viene impiccato, c’è chi come Paine viene raffigurato come un alcolizzato e impotente, disonesto e depravato, da relegare sul fondo della storia atlantica. Eppure niente più del materiale denigratorio pubblicato contro Paine ne evidenzia il grande successo. Il problema che viene sollevato dalle calunniose biografie edite tra fine Settecento e inizio Ottocento è esattamente quello del trionfo dell’autore di Common Sense e Rights of Man nell’aver promosso, spiegato e tramandato la rivoluzione come sfida democratica che è ancora possibile vincere in America come in Europa. Sono proprio le voci dei suoi detrattori – americani, inglesi e francesi – a mostrare che la dimensione nella quale è necessario leggere Paine è quella del mondo atlantico. Assumendo una prospettiva atlantica, ovvero ricostruendo la vicenda politica e intellettuale di Paine da una sponda all’altra dell’oceano, è possibile collegare ciò che Paine dice in spazi e tempi diversi in modo da segnalare la presenza costante sulla scena politica di quei soggetti che – come i marinai protagonisti dell’ammutinamento – segnalano il mancato compimento delle speranze aperte dall’esperienza rivoluzionaria. Limitando la ricerca al processo di costruzione della nazione politica, scegliendo di riassumerne il pensiero politico nell’ideologia americana, nella vicenda costituzionale francese o nel contesto politico inglese, le ricerche su Paine non sono riuscite fino in fondo a mostrare la grandezza di un autore che risulta ancora oggi importante: la sua produzione intellettuale è talmente segnata dalle vicende rivoluzionarie che intessono la sua biografia da fornire la possibilità di studiare quel lungo periodo di trasformazione sociale e politica che investe non una singola nazione, ma l’intero mondo atlantico nel corso della rivoluzione. Attraverso Paine è allora possibile superare quella barriera che ha diviso il dibattito storiografico tra chi ha trovato nella Rivoluzione del 1776 la conferma del carattere eccezionale della nazione americana – fin dalla sua origine rappresentata come esente dalla violenta conflittualità che invece investe il vecchio continente – e chi ha relegato il 1776 a data di secondo piano rispetto al 1789, individuando nell’illuminismo la presunta superiorità culturale europea. Da una sponda all’altra dell’Atlantico, la storiografia ha così implicitamente alzato un confine politico e intellettuale tra Europa e America, un confine che attraverso Paine è possibile valicare mostrandone la debolezza. Parlando di prospettiva atlantica, è però necessario sgombrare il campo da possibili equivoci: attraverso Paine, non intendiamo stabilire l’influenza della Rivoluzione americana su quella francese, né vogliamo mostrare l’influenza del pensiero politico europeo sulla Rivoluzione americana. Non si tratta cioè di stabilire un punto prospettico – americano o europeo – dal quale leggere Paine. L’obiettivo non è quello di sottrarre Paine agli americani per restituirlo agli inglesi che l’hanno tradito, condannandolo virtualmente a morte. Né è quello di confermare l’americanismo come suo unico lascito culturale e politico. Si tratta piuttosto di considerare il mondo atlantico come l’unico scenario nel quale è possibile leggere Paine. Per questo, facendo riferimento al complesso filone storiografico dell’ultimo decennio, sviluppato in modo diverso da Bernard Bailyn a Markus Rediker e Peter Linebaugh, parliamo di rivoluzione atlantica. Certo, Paine vede fallire nell’esperienza del Terrore quella rivoluzione che in America ha trionfato. Ciò non costituisce però un elemento sufficiente per riproporre l’interpretazione arendtiana della rivoluzione che, sulla scorta della storiografia del consenso degli anni cinquanta, ma con motivi di fascino e interesse che non sempre ritroviamo in quella storiografia, ha contribuito ad affermare un ‘eccezionalismo’ americano anche in Europa, rappresentando gli americani alle prese con il problema esclusivamente politico della forma di governo, e i francesi impegnati nel rompicapo della questione sociale della povertà. Rompicapo che non poteva non degenerare nella violenza francese del Terrore, mentre l’America riusciva a istituire pacificamente un nuovo governo rappresentativo facendo leva su una società non conflittuale. Attraverso Paine, è infatti possibile mostrare come – sebbene con intensità e modalità diverse – la rivoluzione incida sul processo di trasformazione commerciale della società che investe l’intero mondo atlantico. Nel suo andirivieni da una sponda all’altra dell’oceano, Paine non ragiona soltanto sulla politica – sulla modalità di organizzare una convivenza democratica attraverso la rappresentanza, convivenza che doveva trovare una propria legittimazione nel primato della costituzione come norma superiore alla legge stabilita dal popolo. Egli riflette anche sulla società commerciale, sui meccanismi che la muovono e le gerarchie che la attraversano, mostrando così precise linee di continuità che tengono insieme le due sponde dell’oceano non solo nella circolazione del linguaggio politico, ma anche nella comune trasformazione sociale che investe i termini del commercio, del possesso della proprietà e del lavoro, dell’arricchimento e dell’impoverimento. Con Paine, America e Europa non possono essere pensate separatamente, né – come invece suggerisce il grande lavoro di Robert Palmer, The Age of Democratic Revolution – possono essere inquadrate dentro un singolo e generale movimento rivoluzionario essenzialmente democratico. Emergono piuttosto tensioni e contraddizioni che investono il mondo atlantico allontanando e avvicinando continuamente le due sponde dell’oceano come due estremità di un elastico. Per questo, parliamo di società atlantica. Quanto detto trova conferma nella difficoltà con la quale la storiografia ricostruisce la figura politica di Paine dentro la vicenda rivoluzionaria americana. John Pocock riconosce la difficoltà di comprendere e spiegare Paine, quando sostiene che Common Sense non evoca coerentemente nessun prestabilito vocabolario atlantico e la figura di Paine non è sistemabile in alcuna categoria di pensiero politico. Partendo dal paradigma classico della virtù, legata antropologicamente al possesso della proprietà terriera, Pocock ricostruisce la permanenza del linguaggio repubblicano nel mondo atlantico senza riuscire a inserire Common Sense e Rights of Man nello svolgimento della rivoluzione. Sebbene non esplicitamente dichiarata, l’incapacità di comprendere il portato innovativo di Common Sense, in quella che è stata definita sintesi repubblicana, è evidente anche nel lavoro di Bernard Bailyn che spiega come l’origine ideologica della rivoluzione, radicata nella paura della cospirazione inglese contro la libertà e nel timore della degenerazione del potere, si traduca ben presto in un sentimento fortemente contrario alla democrazia. Segue questa prospettiva anche Gordon Wood, secondo il quale la chiamata repubblicana per l’indipendenza avanzata da Paine non parla al senso comune americano, critico della concezione radicale del governo rappresentativo come governo della maggioranza, che Paine presenta quando partecipa al dibattito costituzionale della Pennsylvania rivoluzionaria. Paine è quindi considerato soltanto nelle risposte repubblicane dei leader della guerra d’indipendenza che temono una possibile deriva democratica della rivoluzione. Paine viene in questo senso dimenticato. La sua figura è invece centrale della nuova lettura liberale della rivoluzione: Joyce Appleby e Isaac Kramnick contestano alla letteratura repubblicana di non aver compreso che la separazione tra società e governo – la prima intesa come benedizione, il secondo come male necessario – con cui si apre Common Sense rappresenta il tentativo riuscito di cogliere, spiegare e tradurre in linguaggio politico l’affermazione del capitalismo. In particolare, Appleby critica efficacemente il concetto d’ideologia proposto dalla storiografia repubblicana, perché presuppone una visione statica della società. L’affermazione del commercio fornirebbe invece quella possibilità di emancipazione attraverso il lavoro libero, che Paine coglie perfettamente promuovendo una visione della società per la quale il commercio avrebbe permesso di raggiungere la libertà senza il timore della degenerazione della rivoluzione nel disordine. Questa interpretazione di Paine individua in modo efficace un aspetto importante del suo pensiero politico, la sua profonda fiducia nel commercio come strumento di emancipazione e progresso. Tuttavia, non risulta essere fino in fondo coerente e pertinente, se vengono prese in considerazione le diverse agende politiche avanzate in seguito alla pubblicazione di Common Sense e di Rights of Man, né sembra reggere quando prendiamo in mano The Agrarian Justice (1797), il pamphlet nel quale Paine mette in discussione la sua profonda fiducia nel progresso della società commerciale. Diverso è il Paine che emerge dalla storiografia bottom-up, secondo la quale la rivoluzione non può più essere ridotta al momento repubblicano o all’affermazione senza tensione del liberalismo: lo studio della rivoluzione deve essere ampliato fino a comprendere quell’insieme di pratiche e discorsi che mirano all’incisiva trasformazione dell’esistente slegando il diritto di voto dalla qualifica proprietaria, perseguendo lo scopo di frenare l’accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi con l’intento di ordinare la società secondo una logica di maggiore uguaglianza. Come dimostrano Eric Foner e Gregory Claeys, attraverso Paine è allora possibile rintracciare, sulla sponda americana come su quella inglese dell’Atlantico, forti pretese democratiche che non sembrano riducibili al linguaggio liberale, né a quello repubblicano. Paine viene così sottratto a rigide categorie storiografiche che per troppo tempo l’hanno consegnato tout court all’elogio del campo liberale o al silenzio di quello repubblicano. Facendo nostra la metodologia di ricerca elaborata dalla storiografia bottom-up per tenere insieme storia sociale e storia intellettuale, possiamo allora leggere Paine non solo per parlare di rivoluzione atlantica, ma anche di società atlantica: società e politica costituiscono un unico orizzonte d’indagine dal quale esce ridimensionata l’interpretazione della rivoluzione come rivoluzione esclusivamente politica, che – sebbene in modo diverso – tanto la storiografia repubblicana quanto quella liberale hanno rafforzato, alimentando indirettamente l’eccezionale successo americano contro la clamorosa disfatta europea. Entrambe le sponde dell’Atlantico mostrano una società in transizione: la costruzione della finanza nazionale con l’istituzione del debito pubblico e la creazione delle banche, la definizione delle forme giuridiche che stabiliscono modalità di possesso e impiego di proprietà e lavoro, costituiscono un complesso strumentario politico necessario allo sviluppo del commercio e al processo di accumulazione di ricchezza. Per questo, la trasformazione commerciale della società è legata a doppio filo con la rivoluzione politica. Ricostruire il modo nel quale Paine descrive e critica la società da una sponda all’altra dell’Atlantico mostra come la separazione della società dal governo non possa essere immediatamente interpretata come essenza del liberalismo economico e politico. La lettura liberale rappresenta senza ombra di dubbio un salto di qualità nell’interpretazione storiografica perché spiega in modo convincente come Paine traduca in discorso politico il passaggio da una società fortemente gerarchica come quella inglese, segnata dalla condizione di povertà e miseria comune alle diverse figure del lavoro, a una realtà sociale come quella americana decisamente più dinamica, dove il commercio e le terre libere a ovest offrono ampie possibilità di emancipazione e arricchimento attraverso il lavoro libero. Tuttavia, leggendo The Case of Officers of Excise (1772) e ricostruendo la sua attività editoriale alla guida del Pennsylvania Magazine (1775) è possibile giungere a una conclusione decisamente più complessa rispetto a quella suggerita dalla storiografia liberale: il commercio non sembra affatto definire una qualità non conflittuale del contesto atlantico. Piuttosto, nonostante l’assenza dell’antico ordine ‘cetuale’ europeo, esso investe la società di una tendenza alla trasformazione, la cui direzione, intensità e velocità dipendono anche dall’esito dello scontro politico in atto dentro la rivoluzione. Spostando l’attenzione su figure sociali che in quella letteratura sono di norma relegate in secondo piano, Paine mira infatti a democratizzare la concezione del commercio indicando nell’indipendenza personale la condizione comune alla quale poveri e lavoratori aspirano: per chi è coinvolto in prima persona nella lotta per l’indipendenza, la visione della società non indica allora un ordine naturale, dato e immutabile, quanto una scommessa sul futuro, un ideale che dovrebbe avviare un cambiamento sociale coerente con le diverse aspettative di emancipazione. Senza riconoscere questa valenza democratica del commercio non è possibile superare il consenso come presupposto incontestabile della Rivoluzione americana, nel quale tanto la storiografia repubblicana quanto quella librale tendono a cadere: non è possibile superare l’immagine statica della società americana, implicitamente descritta dalla prima, né andare oltre la visione di una società dinamica, ma priva di gerarchie e oppressione, come quella delineata dalla seconda. Le entusiastiche risposte e le violente critiche in favore e contro Common Sense, la dura polemica condotta in difesa o contro la costituzione radicale della Pennsylvania, la diatriba politica sul ruolo dei ricchi mercanti mostrano infatti una società in transizione lungo linee che sono contemporaneamente politiche e sociali. Dentro questo contesto conflittuale, repubblicanesimo e liberalismo non sembrano affatto competere l’uno contro l’altro per esercitare un’influenza egemone nella costruzione del governo rappresentativo. Vengono piuttosto mescolati e ridefiniti per rispondere alla pretese democratiche che provengono dalla parte bassa della società. Common Sense propone infatti un piano politico per l’indipendenza del tutto innovativo rispetto al modo nel quale le colonie hanno fino a quel momento condotto la controversia con la madre patria: la chiamata della convenzione rappresentativa di tutti gli individui per scrivere una nuova costituzione assume le sembianze di un vero e proprio potere costituente. Con la mobilitazione di ampie fasce della popolazione per vincere la guerra contro gli inglesi, le élite mercantili e proprietarie perdono il monopolio della parola e il processo decisionale è aperto anche a coloro che non hanno avuto voce nel governo coloniale. La dottrina dell’indipendenza assume così un carattere democratico. Paine non impiega direttamente il termine, tuttavia le risposte che seguono la pubblicazione di Common Sense lanciano esplicitamente la sfida della democrazia. Ciò mostra come la rivoluzione non possa essere letta semplicemente come affermazione ideologica del repubblicanesimo in continuità con la letteratura d’opposizione del Settecento britannico, o in alternativa come transizione non conflittuale al liberalismo economico e politico. Essa risulta piuttosto comprensibile nella tensione tra repubblicanesimo e democrazia: se dentro la rivoluzione (1776-1779) Paine contribuisce a democratizzare la società politica americana, allora – ed è questo un punto importante, non sufficientemente chiarito dalla storiografia – il recupero della letteratura repubblicana assume il carattere liberale di una strategia tesa a frenare le aspettative di chi considera la rivoluzione politica come un mezzo per superare la condizione di povertà e le disuguaglianze che pure segnano la società americana. La dialettica politica tra democrazia e repubblicanesimo consente di porre una questione fondamentale per comprendere la lunga vicenda intellettuale di Paine nella rivoluzione atlantica e anche il rapporto tra trasformazione sociale e rivoluzione politica: è possibile sostenere che in America la congiunzione storica di processo di accumulazione di ricchezza e costruzione del governo rappresentativo pone la società commerciale in transizione lungo linee capitalistiche? Questa non è certo una domanda che Paine pone esplicitamente, né in Paine troviamo una risposta esaustiva. Tuttavia, la sua collaborazione con i ricchi mercanti di Philadelphia suggerisce una valida direzione di indagine dalla quale emerge che il processo di costruzione del governo federale è connesso alla definizione di una cornice giuridica entro la quale possa essere realizzata l’accumulazione del capitale disperso nelle periferie dell’America indipendente. Paine viene così coinvolto in un frammentato e dilatato scontro politico dove – nonostante la conclusione della guerra contro gli inglesi nel 1783 – la rivoluzione non sembra affatto conclusa perché continua a muovere passioni che ostacolano la costruzione dell’ordine: leggere Paine fuori dalla rivoluzione (1780-1786) consente paradossalmente di descrivere la lunga durata della rivoluzione e di considerare la questione della transizione dalla forma confederale a quella federale dell’unione come un problema di limiti della democrazia. Ricostruire la vicenda politica e intellettuale di Paine in America permette infine di evidenziare un ambiguità costitutiva della società commerciale dentro la quale il progetto politico dei ricchi mercanti entra in tensione con un’attitudine popolare critica del primo processo di accumulazione che rappresenta un presupposto indispensabile all’affermazione del capitalismo. La rivoluzione politica apre in questo senso la società commerciale a una lunga e conflittuale transizione verso il capitalismo Ciò risulta ancora più evidente leggendo Paine in Europa (1791-1797). Da una sponda all’altra dell’Atlantico, con Rights of Man egli esplicita ciò che in America ha preferito mantenere implicito, pur raccogliendo la sfida democratica lanciata dai friend of Common Sense: il salto in avanti che la rivoluzione atlantica deve determinare nel progresso dell’umanità è quello di realizzare la repubblica come vera e propria democrazia rappresentativa. Tuttavia, il fallimento del progetto politico di convocare una convenzione nazionale in Inghilterra e la degenerazione dell’esperienza repubblicana francese nel Terrore costringono Paine a mettere in discussione quella fiducia nel commercio che la storiografia liberale ha con grande profitto mostrato: il mancato compimento della rivoluzione in Europa trova infatti spiegazione nella temporanea impossibilità di tenere insieme democrazia rappresentativa e società commerciale. Nel contesto europeo, fortemente disgregato e segnato da durature gerarchie e forti disuguaglianze, con The Agrarian Justice, Paine individua nel lavoro salariato la causa del contraddittorio andamento – di arricchimento e impoverimento – dello sviluppo economico della società commerciale. La tendenza all’accumulazione non è quindi l’unica qualità della società commerciale in transizione. Attraverso Paine, possiamo individuare un altro carattere decisivo per comprendere la trasformazione sociale, quello dell’affermazione del lavoro salariato. Non solo in Europa. Al ritorno in America, Paine non porta con sé la critica della società commerciale. Ciò non trova spiegazione esclusivamente nel minor grado di disuguaglianza della società americana. Leggendo Paine in assenza di Paine (1787-1802) – ovvero ricostruendo il modo nel quale dall’Europa egli discute, critica e influenza la politica americana – mostreremo come la costituzione federale acquisisca gradualmente la supremazia sulla conflittualità sociale. Ciò non significa che l’America indipendente sia caratterizzata da un unanime consenso costituzionale. Piuttosto, è segnata da un lungo e tortuoso processo di stabilizzazione che esclude la democrazia dall’immediato orizzonte della repubblica americana. Senza successo, Paine torna infatti a promuovere una nuova sfida democratica come nella Pennsylvania rivoluzionaria degli anni settanta. E’ allora possibile vedere come la rivoluzione atlantica venga stroncata su entrambe le sponde dell’oceano: i grandi protagonisti della politica atlantica che prendono direttamente parola contro l’agenda democratica painita – Edmund Burke, Boissy d’Anglas e John Quincy Adams – spostano l’attenzione dal governo alla società per rafforzare le gerarchie determinate dal possesso di proprietà e dall’affermazione del lavoro salariato. Dentro la rivoluzione atlantica, viene così svolto un preciso compito politico, quello di contribuire alla formazione di un ambiente sociale e culturale favorevole all’affermazione del capitalismo – dalla trasformazione commerciale della società alla futura innovazione industriale. Ciò emerge in tutta evidenza quando sulla superficie increspata dell’oceano Atlantico compare nuovamente Paine: a Londra come a New York. Abbandonando quella positiva visione del commercio come vettore di emancipazione personale e collettiva, nel primo trentennio del diciannovesimo secolo, i lavoratori delle prime manifatture compongono l’agenda radicale che Paine lascia in eredità in un linguaggio democratico che assume così la valenza di linguaggio di classe. La diversa prospettiva politica sulla società elaborata da Paine in Europa torna allora d’attualità, anche in America. Ciò consente in conclusione di discutere quella storiografia secondo la quale nella repubblica dal 1787 al 1830 il trionfo della democrazia ha luogo – senza tensione e conflittualità – insieme con la lineare e incontestata affermazione del capitalismo: leggere Paine nella rivoluzione atlantica consente di superare quell’approccio storiografico che tende a ricostruire la circolazione di un unico paradigma linguistico o di un’ideologia dominante, finendo per chiudere la grande esperienza rivoluzionaria atlantica in un tempo limitato – quello del 1776 o in alternativa del 1789 – e in uno spazio chiuso delimitato dai confini delle singole nazioni. Quello che emerge attraverso Paine è invece una società atlantica in transizione lungo linee politiche e sociali che tracciano una direzione di marcia verso il capitalismo, una direzione affatto esente dal conflitto. Neanche sulla sponda americana dell’oceano, dove attraverso Paine è possibile sottolineare una precisa congiunzione storica tra rivoluzione politica, costruzione del governo federale e transizione al capitalismo. Una congiunzione per la quale la sfida democratica non risulta affatto sconfitta: sebbene venga allontanata dall’orizzonte immediato della rivoluzione, nell’arco di neanche un ventennio dalla morte di Paine nel 1809, essa torna a muovere le acque dell’oceano – con le parole di Melville – come un violento accesso di febbre contagiosa destinato a turbare l’organismo costituzionalmente sano del mondo atlantico. Per questo, come scrive John Adams nel 1805 quella che il 1776 apre potrebbe essere chiamata “the Age of Folly, Vice, Frenzy, Brutality, Daemons, Buonaparte -…- or the Age of the burning Brand from the Bottomless Pit”. Non può però essere chiamata “the Age of Reason”, perché è l’epoca di Paine: “whether any man in the world has had more influence on its inhabitants or affairs for the last thirty years than Tom Paine” -…- there can be no severer satyr on the age. For such a mongrel between pig and puppy, begotten by a wild boar on a bitch wolf, never before in any age of the world was suffered by the poltroonery of mankind, to run through such a career of mischief. Call it then the Age of Paine”.
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Maamari, Adriana Mattar. "A república e a democracia em Thomas Paine." Universidade de São Paulo, 2008. http://www.teses.usp.br/teses/disponiveis/8/8133/tde-07072008-093222/.

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Abstract:
Esta pesquisa tem por objetivo o estudo dos escritos de Thomas Paine para poder elaborar filosoficamente sua concepção democráticarepublicana no contexto da Filosofia das Luzes e sobretudo, no quadro histórico das revoluções americana e francesa do final do século XVIII. A ambição deste escritor é precisamente ajudar à construção de um Estado em que as decisões políticas são tomadas pelo sufrágio universal, em que todo o povo é progressivamente incorporado à cidadania e tratado com igualdade de direitos, e que pela vocação laica este Estado mantem-se completamente independente de toda tendência de natureza religiosa. Seus escritos, sua vida e algumas interlocuções com seus contemporâneos serão examinados ao longo deste trabalho.
This research aims to study Thomas Paine\'s writings in order to elaborate philosophically his republican-democratic conception in the context of the Philosophy of Enlightenment and especially in the historical framework of the American and French revolutions of the late eighteen\'s century. This author\'s ambition is precisely to help build a state in which political decisions result from universal suffrage, where all people are progressively integrated into citizenship and have equal rights, a state that by its laical vocation is kept completely independent from all religious influence. His writings, his life and some debates with his contemporaries will be examined in the course of this work.
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Dudeck, Phillip. "Thomas Paine/“Base Poltroon And Cowardly Tale-Bearers”." W&M ScholarWorks, 2020. https://scholarworks.wm.edu/etd/1616444468.

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Abstract:
Thomas Paine: Public Policymaker for Liberty and Equality Thomas Paine was a prolific writer and thinker of the eighteenth and nineteenth century. His words were read throughout the Atlantic world by people from all walks of life. One of the less covered aspects of his life was his influence on public policies on various states. Paine through his works spread his ideas of equality and liberty by advocating, and writing public policies. From the French Revolution through his death, Paine maintained specific policies he thought would bring about the liberal republic he desired. Encompassed mainly in Agrarian Justice and Rights of Man, Paine goes beyond writing propaganda and writes specific public policies that were adopted by France, the United States, and Uruguay. “Base Poltroon and Cowardly Tale-bearers”: How the Dueling Gentleman Defied the Modern State Beginning in the sixteenth century dueling had entered British peerage as a way of handling private affairs of honor. For the next three centuries dueling was practiced by the elites in both Great Britain and the United States. Dueling goes directly against the modernist state as the group that has a legitimate monopoly on violence. Both countries throughout that time passed laws and ordinances to try to stop dueling. By the mid nineteenth century even though dueling was on the decline the state still rarely upheld dueling laws and prosecuted duelists. Andrew Jackson, Henry Clay, the Duke of Wellington, and William Pitt all dueled even while occupying the most powerful offices of their respective countries. Dueling laws failed to uphold the modernist state because those in power were the ones who dueled and used it to maintain their social capital.
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Lazzuri, Jennifer L. "The authority of the Bible as evidenced in selected responses to Thomas Paine's The age of reason." Theological Research Exchange Network (TREN), 1994. http://www.tren.com.

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Ecker, Jordan P. "Thomas Paine's (Un)Common Sense and the Politics of Radical Disagreement." Oberlin College Honors Theses / OhioLINK, 2017. http://rave.ohiolink.edu/etdc/view?acc_num=oberlin1494169402027553.

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Vickers, Vikki J. ""My pen and my soul have ever gone together" : Thomas Paine and the American Revolution /." free to MU campus, to others for purchase, 2002. http://wwwlib.umi.com/cr/mo/fullcit?p3060151.

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Abstract:
Thesis (Ph. D.)--University of Missouri-Columbia, 2002.
There are two leafs 90 with different information so paging after leaf 90 is misnumbered. Typescript. Vita. Includes bibliographical references (leaves 235-247). Also available on the Internet.
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Carvalho, Daniel Gomes de. "O pensamento radical de Thomas Paine (1793-1797): artífice e obra da Revolução Francesa." Universidade de São Paulo, 2017. http://www.teses.usp.br/teses/disponiveis/8/8138/tde-12062018-135137/.

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Abstract:
Esta tese examina três escritos de Thomas Paine (1737-1809) elaborados durante a Revolução Francesa, os quais representam as reflexões mais radicais de seu pensamento religioso, político e social. Em primeiro lugar, será analisado o panfleto The Age of Reason, expressão máxima de seu radicalismo religioso, que teve sua primeira parte escrita em 1793 e a segunda em 1794. Contrapondo-se, por um lado, às religiões reveladas e, por outro lado, à descristianização do período jacobino, nesse texto o deísmo é apresentado como a face religiosa da democracia vindoura. Em segundo lugar, será analisado o texto Dissertation on the First Principles of Government, redigido e publicado em 1795, a mais acabada exposição da teoria democrática. A um só tempo contrário ao liberalismo termidoriano e crítico do que fora o jacobinismo, nesse texto Paine opõe-se categoricamente àqueles que pensavam a propriedade privada como um direito natural que poderia ser equivalente ou mesmo superior aos direitos naturais de liberdade e a igualdade. Por fim, será analisado o texto Agrarian Justice, expressão máxima de seu radicalismo social, produzido no inverno de 1795-1796 (publicado em 1797). Em reação tanto ao liberalismo irredutível dos termidorianos, quanto às propostas igualitaristas de Graco Babeuf, o texto apresenta-se como uma proposta de erradicação da pobreza sem romper com os princípios do que seria política liberal. Pretende-se captar o sentido do pensamento de Paine no contexto da Revolução Francesa e discutir a validadade da afirmação de Eric Hobsbawm na Era das Revoluções, segundo a qual Paine, radical nos Estados Unidos, seria um moderado girondino na França. Na contramão da maioria das interpretações correntes, a pesquisa objetiva repensar a figura de Paine, mostrando sua relevância como intérprete da Revolução Francesa e como nome fundamental para a história do pensamento político, religioso e social.
This thesis examines three writings of Thomas Paine (1737-1809) elaborated during the French Revolution, which represents the most radical reflections of his religious, political and social thought. In the first place, the pamphlet The Age of Reason will be analyzed, that contains the maximum expression of his religious radicalism, which have had its first part written in 1793 and the second in 1794. Contradicting, on the one hand, to the revealed religions, and, on the other hand, to the dechristianization of the Jacobin period, in this text, deism is presented as the religious face of the coming democracy. Secondly, the text Dissertation on the First Principles of Government will be analyzed, the most complete exposition of his democratic theory, drafted and published in 1795. Contrary to Thermidorian and critical of what Jacobinism was, in this text Paine categorically opposes those who thought private property as a natural right that could be equivalent or even superior to the natural rights of freedom and equality. Finally, the text Agrarian Justice will be analyzed, the maximum expression of its social radicalism, produced in the winter of 1795-1796 (published in 1797). In reaction to both the irreducible liberalism of the Thermidorians and the egalitarian proposals of Graco Babeuf, the text presents itself as a proposal to eradicate poverty without breaking with the principles of what would be liberal politics. This analysis seeks to capture the meaning of Paine\'s thinking in the context of the French Revolution and to discuss the validity of Eric Hobsbawm\'s statement in the Age of Revolutions that Paine, radical in the United States, would be a \"moderate Girondist\" in France. Contrary to current interpretations, this research aims to rethink the figure of Paine, showing his relevance as an interpreter of the French Revolution and as a fundamental name for the history of political, religious and social thought.
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Hamilton, Matthew K. Chet Guy. "The rise and fall of a revolutionary relationship George Washington and Thomas Paine, 1776-1796 /." [Denton, Tex.] : University of North Texas, 2009. http://digital.library.unt.edu/permalink/meta-dc-11037.

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Hamilton, Matthew K. "The Rise and Fall of a Revolutionary Relationship: George Washington and Thomas Paine, 1776-1796." Thesis, University of North Texas, 2009. https://digital.library.unt.edu/ark:/67531/metadc11037/.

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Abstract:
This study is a cultural and political analysis of the emergence and deterioration of the relationship between George Washington and Thomas Paine. It is informed by modern studies in Atlantic history and culture. It presents the falling out of the two Founding Fathers as a reflection of two competing political cultures, as well as a function of the class aspirations of Washington and Paine. It chronologically examines the two men's interaction with one another from the early days of the American Revolution to the Reign of Terror of the French Revolution. Along the way this study highlights the dynamics that characterized the Washington-Paine relationship and shows how the two men worked together to further their own agendas. This study also points to Thomas Paine's involvement with a web of Democratic Societies in America and to Washington's increasing wariness and suspicion of these Societies as agents of insurrection.
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Ramsey, Colin Tucker. "The labor of writing : the literary cultures of the artisan class and the "lower sorts" during the era of the American revolution /." free to MU campus, to others for purchase, 2001. http://wwwlib.umi.com/cr/mo/fullcit?p3052239.

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Abu-Shabakeh, Katherine Wesley. "Figures of speech and political manipulations: The scapegoating of the monarch in Thomas Paines's Common Sense." CSUSB ScholarWorks, 1988. https://scholarworks.lib.csusb.edu/etd-project/339.

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Lamb, Robert. "Egalitarian political thought in the 1790s : equality in the moral philosophies of Thomas Paine and William Godwin." Thesis, University of Exeter, 2007. http://ethos.bl.uk/OrderDetails.do?uin=uk.bl.ethos.438753.

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Bosc, Yannick. "Le conflit des libertés : Thomas Paine et le débat sur la déclaration et la constitution de l'an III." Aix-Marseille 1, 2000. http://www.theses.fr/2000AIX10023.

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Abstract:
Notre etude analyse le debat sur la declaration et la constitution de l' ete 1795, a partir de la critique formulee par thomas paine dans son discours a la convention le 19 messidor an iii. Cette critique denonce un projet de constitution "retrograde des veritables principes de liberte". Nous decrivons le contenu et les justifications du projet de constitution presente par la commission des onze ainsi que le debat auquel il donne lieu a l'assemblee en les confrontant a la conception politique defendue par thomas paine. Les questions de la citoyennete, de la representation, du rapport entre etat de nature et etat social, entre droit materiel et droit personnel, de la relation a la terreur, sont les axes principaux de notre recherche qui tend a mettre en evidence le conflit politique du liberalisme egalitaire et du liberalisme economique au cours du moment thermidorien.
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Alkormaji, A. "Public quarrelling in the Romantic period : the rhetorical styles of John Burgoyne, Thomas Paine, William Cobbett, and Percy Bysshe Shelley." Thesis, Nottingham Trent University, 2014. http://irep.ntu.ac.uk/id/eprint/27890/.

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Abstract:
This thesis focuses on the concept and style of quarrelling in the writings of four British Romantic authors: General John Burgoyne (1722-1792), Thomas Paine (1737-1809), William Cobbett (1763-1835), and Percy Bysshe Shelley (1792-1822). All four authors engaged in radical writing about war, politics and various controversial social issues during the American War of Independence and the Regency period (1811-1820). This study situates their political arguments in the historical context and the political discourse of the time. It demonstrates how their style of arguing is particularly aptly described by the term 'quarrelling' because of the combination of personal motives, interests and conflicts with the discussion of larger public problems during this turbulent historical period. I start with a discussion of General Burgoyne’s pamphlets, through which he sought both to justify the political decision of the surrender of British troops at Saratoga and to clear his name of accusations of being personally responsible for losing the war. I compare Burgoyne’s suppression of anger and use of a polite style of arguing to Thomas Paine’s gradual transition from a humble quarrelling approach in his pamphlet The Case of the Officers of Excise to a more openly angry and sarcastic attitude in his later works in support of America’s independence. Paine’s predominantly rational and objective rhetoric is then contrasted to William Cobbett’s cantankerous attitude in his pamphlets, letters and his own newspaper The Political Register, through which he conducted polemical battles blending public issues with personal conflicts. Finally, the thesis compares the rhetorical devices of quarrelling exemplified in the political prose of Burgoyne, Paine and Cobbett to the use of poetry for the purposes of political quarrelling by Shelley. In this wide range of quarrelling attitudes, the thesis outlines the fluctuation between personal emotions, in particular anger, and an objective or polite tone in the written quarrels of each author, as well as between these authors. It thus demonstrates how their stylistic choices were affected by their social positions and circumstances and the different audiences they were addressing. The comparison of these four authors’ methods of combining personal and public arguing aims to give a sense of how quarrels were conducted within the public sphere in the Romantic period.
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Dowd-Lukesh, Summer. "Pseudodemocratic Rhetoric and Social Hierarchies: The Relative Lack of Influence of Rousseau's Radical Egalitarianism on Early American Political Thought." Scholarship @ Claremont, 2014. http://scholarship.claremont.edu/scripps_theses/438.

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Abstract:
Enlightenment theorists like John Locke and Montesquieu were incredibly influential for the American Revolution. However, while Jean-Jacques Rousseau is widely regarded as one of the most influential Enlightenment writers in history and while his work was very influential in Europe, especially during the French Revolution, Rousseau's theories were not widely read and he is not considered a strong influence on American political theory. In this thesis, I argue that Rousseau is considered noninfluential in particular because of the conflict between his theories of communtarianism and egalitarianism and Federalist political projects that aimed to convert the United States into a large, mercantalist, international presence. Anti-Federalists were much more receptive to Rousseau's theories but were unable to commit to them fully because of their reliance on chattel slavery and his firm opposition to the institution. Finally, I argue that the tensions between early American politicians and Rousseau's theories of egalitarianism showcase the pseudodemocratic nature of early American politics and rhetoric and explain American government's oligarchic tendencies.
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Lounissi, Carine. "La notion de philosophie politique dans l'oeuvre de Thomas Paine et son rapport à la pensée européenne et américaine dans la seconde moitié du XVIIIe siècle." Paris 3, 2006. http://www.theses.fr/2006PA030034.

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Abstract:
C'est dans l'ère des Révolutions que se situe la carrière d'écrivain politique de Thomas Paine (1737-1809). Son premier écrit marquant, Common Sense, publié en janvier 1776, proposa un programme révolutionnaire en un double sens : il définit la démocratie représentative comme seul régime politique légitime, et par là même, il changea le sens des concepts de révolution, de constitution et de république à partir d'une interprétation de la théorie du contrat qui refusait toute dimension monarchique ou aristocratique, en un mot, héréditaire, au politique. La remise en contexte de sa pensée permet d'appréhender pleinement l'originalité de ses prises de positions. Pionnier, donc, à la fois libéral et républicain, il s'attacha à défendre l'égalité des droits politiques, notamment le suffrage universel, aussi bien dans la jeune république américaine que dans la France révolutionnaire. Sa conception de la révolution fut celle d'un modéré, qui ne céda ni aux tentations anarchistes ni aux utopies communistes. Il fut, cependant, meilleur théoricien de la révolution qu'historien des Révolutions, comme en témoigne notamment Rights of Man. Ennemi de la royauté, il n'en resta pas moins sensible à des considérations humanistes qui le poussèrent à prôner le régicide symbolique et à tenter de faire exiler Louis XVI et sa famille sur le sol américain. Membre du cercle girondin, il fut également victime de la Terreur, mais échappa à la guillotine. En 1802, il rentra en Amérique, déçu de son expérience révolutionnaire européenne, la France à nouveau dans les fers et la Grande-Bretagne n'ayant pas été tentée de suivre son exemple, mais son opposition aux vues d'Edmund Burke ne se démentit jamais, tant il resta convaincu que l'égalité dans la liberté était un horizon politique indépassable
It is during the age of Revolutions that the career of Thomas Paine (1737-1809) as a political writer unfurled. His first significant writing, Common Sense, published in January 1776, put forward a programme which was revolutionary in two ways : he established representative democracy as the only legitimate political regime, and thus, he altered the meaning of the concepts of revolution, constitution and republic, relying on an interpretation of the social contract theory which excluded all monarchical or aristocratic, in a word, hereditary elements from the political sphere. Studying his thought in relation to the theories of his time enables one to get the full measure of its originality. A pioneer, therefore, at the same time liberal and republican, he defended the equality of political rights, especially universal suffrage. His conception of revolution was that of a moderate who did not yield to anarchism or to communism. However, he was more successful in the theorization of revolution than in the historiography of the Revolutions, as Rights of Man notably proves. A foe of royalty, he nonetheless remained faithful to his humanism which led him to ask for the banishment of Louis XVI and his family in America. He was part of the circle of the Girondin thinkers and he was a victim of the Terror, though he escaped the guillotine. In 1802, he went back to the United States, disappointed by his European revolutionary experience, with France groaning under new chains and Great Britain having refused to follow the example of the men of 1789, but his hostility to Edmund Burke's views never ceased, so convinced he remained that the enjoyment of liberty for all was a perpetual political horizon
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Boss, Aleksandra. "Of Opaque Bodies and Transparent Eyeballs." Doctoral thesis, Humboldt-Universität zu Berlin, 2018. http://dx.doi.org/10.18452/19153.

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Abstract:
Die vorliegende Dissertation stellt eine Interpretation von Thomas Paines THE AGE OF REASON (1794) und Ralph Waldo Emersons NATURE (1836) als politiktheoretische Traktate vor, die normative Demokratiekonstrukte entwickeln. Diese Demokratiekonstrukte werden anhand ihrer Parameter vergleichend und historisierend gelesen. Die Annahme ist hierbei, dass sich die normativen Demokratieentwürfe beider Autoren mithilfe der Denkfigur des rhizomatischen Panoptizismus explizieren lassen. Die Dissertation leitet diese Denkfigur anhand von Texten des französischen Poststrukturalismus und auf Grundlage des soziologischen Ansatzes der Surveillance Studies her und erläutert seine Relevanz für das Verständnis und die Verhandlung von Demokratie in den Epochen der frühen Republik und des Antebellum in den USA. Ebenso findet eine Analyse der diskursiven Vermittlung dieser Denkfigur durch das religiöse Vokabular von Deismus, Unitarismus und Transzendentalismus in beiden Traktaten statt. Ein ausführliches close reading legt schließlich dar, wie einzelne Parameter eines rhizomatischen Panoptizismus in den Texten entwickelt, repräsentiert und diskutiert werden.
The present dissertation introduces an interpretation of Thomas Paine’s THE AGE OF REASON (1794) and Ralph Waldo Emerson’s NATURE (1836) as politico-theoretical tracts that develop normative constructions of democracy. At the core of the analysis lies a comparative and historicist reading of the parameters of these constructions. The thesis informing the analysis posits that both normative constructions of democracy can be made explicit with the aid of the concept of a rhizomatic panopticism. The dissertation develops this concept on the basis of French poststructuralist texts and with theoretical approaches from the sociological field of Surveillance Studies in mind, explaining its relevance for the understanding of democracy during the Early-Republic and Antebellum periods in the USA. Furthermore, the discursive mediation of the introduced concept through the religious vocabularies of Deism, Unitarianism, and Transcendentalism in both tracts receives attention. Finally, a close reading elucidates how the distinct parameters of a rhizomatic panopticism are developed, represented, and discussed in both texts.
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Doub, Andrew S. "Public Records, Private Texts: Richard Carlile's Publication of The Age of Reason and the Birth of Public Domain." BYU ScholarsArchive, 2017. https://scholarsarchive.byu.edu/etd/6456.

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Abstract:
Between 1818 and 1824, radical printer and publisher Richard Carlile made a determined effort to disseminate copies of Thomas Paine's banned text The Age of Reason in England. Despite strict censorship laws and harsh legal penalties used to curtail previous publishers of this title, Carlile employed a number of creative techniques that kept Paine's deistic writings in print and in circulation during the Regency period. These included republishing public domain court documents when he was charged with seditious libel and reading The Age of Reason in its entirety into testimony during his trial, making it part of the public record. Copied from trial transcripts and reprinted in cheap pamphlet form, Carlile's editions of The Age of Reason would sell an impressive 20,000 copies in these formats. He managed to provide wide-scale access to a work that had been suppressed by the British government since its original publication in 1794. My paper argues that Carlile's approach to subverting Regency-era censorship of The Age of Reason provided an early test for the recognition of the public domain in British law. Instead of continuing to suppress this text, the British government acknowledged the public's right to read the text in this format, allowing Carlile to use his own court documents to continue its publication. This event paved the way for recognition of the public ownership of texts and access to public records in nineteenth-century British print culture.
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Townsend, Colby. "Rewriting Eden With The Book of Mormon: Joseph Smith and the Reception of Genesis 1-6 in Early America." DigitalCommons@USU, 2019. https://digitalcommons.usu.edu/etd/7681.

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Abstract:
The colonists living in the new United States after the American War for Independence were faced with the problem of forming new identities once they could no longer recognize themselves, collectively or individually, as subjects of Great Britain. After the French Revolution American politicians began to weed out the more radical political elements of the newly formed United States, particularly by painting one of the revolution’s biggest defenders, Thomas Paine, as unworthy of the attention he received during the American War for Independence, and fear ran throughout the states that an anarchic revolution like the French Revolution could bring the downfall of the nation. State, local, and regional organizations sprang up to fight Jacobinism, the legendary secret group of murderers and anarchists that fought against the French government. This distressing situation gave rise to new literature that sought to describe the “real” origins and background of Jacobinism in the War in Heaven and in Eden, and a new movement against Jacobinism was established. Fears about the organization of secret societies did not wane in the decades after the French Revolution, but worsened in the last half of the 1820s when a Freemason, William Morgan, disappeared under mysterious circumstances in connection to an exposé of Masonry he had written. Most Americans assumed that Freemasons had abducted and murdered Morgan in order to keep their oaths and rites secret. One influential early American who was influenced by this socio-historical was Joseph Smith, Jr., the founding prophet of Mormonism. Smith interpreted the Eden narrative in light of the movement against secret societies, and literary motifs common to anti-Jacobin literature during the period provided language and interpretive strategies for understanding the Eden narrative that would influence how Smith produced his new scripture. Only a few months after the publication of the Book of Mormon Smith edited the version of Eden found there into the text of the Bible itself and made the biblical narrative conform to the version found in the Book of Mormon through his own revisions and additions.
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Feman, Seth Alexander. "Paint by Nation: Thomas Kinkade and the Conversion of American Culture." W&M ScholarWorks, 2005. https://scholarworks.wm.edu/etd/1539720286.

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Hookom, Andrew L. "But What Kind of Badness?: An Inquiry into the Ethical Significance of Pain." Digital Archive @ GSU, 2011. http://digitalarchive.gsu.edu/philosophy_theses/96.

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Abstract:
In this thesis, I argue against a claim about pain which I call the "Minimization Thesis" or MT. According to MT, pain is objectively unconditionally intrinsically bad. Using the case of grief, I argue that although MT may be true of pain as such, it is not true of particular pains. I then turn to an examination of the justification provided by Thomas Nagle for offering the MT and find that his argument is inadequate because it depends on an implausible phenomenology of pain experience. I argue it is more plausible to claim, as Kant does, that pain has desire-conditional badness. Finally, I present a Nietzschean argument for the irreducible complexity of badness. I suggest we may be willing to concede pain's badness so readily only because it has not been specified what kind of badness it actually has.
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Pinheiro, Mauricio Mota Saboya. "A abordagem das práticas doxásticas à epistemologia de William Payne Alston: uma interpretação a partir da leitura de Thomas Reid." Universidade de São Paulo, 2011. http://www.teses.usp.br/teses/disponiveis/8/8133/tde-23052012-145104/.

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Abstract:
Esta tese analisa a relação entre a abordagem das práticas doxásticas de William Payne Alston e a teoria dos poderes intelectuais do ser humano, de Thomas Reid. Após passar em revista os conceitos da epistemologia de Alston e de Reid, examinam-se em profundidade os argumentos de ambos em defesa da confiabilidade dos modos básicos de formar crenças para, em seguida, serem comparados esses autores. A análise comparativa Alston-Reid sugere fortes indícios de que os elementos essenciais das práticas doxásticas básicas, sobretudo a percepção sensorial, encontram-se na doutrina dos poderes intelectuais de Reid. Além disso, a luta contra o ceticismo quanto à confiabilidade dos modos de formação de crenças nos quais tipicamente nos engajamos parece ter sido uma motivação para o desenvolvimento dos projetos de ambos os filósofos. Mas, constataram-se diferenças importantes entre eles no que se refere ao papel desempenhado pelo ceticismo, realismo e teísmo como condições gerais à construção das teorias epistemológicas de Alston e Reid.
This thesis aims at analyzing the bearings between William Payne Alstons doxastic practice approach and Thomas Reids theory of the intellectual powers of men. After surveying the epistemological concepts of Alston and Reid, one deeply examines the arguments of each other for the reliability of the basic modes of forming beliefs and, after that, one compares both authors. The comparative analysis suggests strong evidence for the claim that the essential elements of basic doxastic practices are rooted in Reids doctrine of intellectual powers. Also, fighting against skepticism concerning the reliability of the belief forming processes we are typically engaged in seems to have been a motivation for the development of both philosophical projects. But we have found important differences between them, especially concerning the role of skepticism, realism and theism as general conditions under which Alstons and Reids epistemological theories were built.
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Mowbray, Donald Crawford. "The development of ideas about pain and suffering in the works of thirteenth-century masters of theology at Paris, c.1230-c.1300." Thesis, University of Bristol, 1999. http://hdl.handle.net/1983/fde4cad9-3a19-418c-8d19-3c2008ef7834.

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Ryll, Thomas [Verfasser], Klaus [Akademischer Betreuer] Rademann, and Ulrich [Akademischer Betreuer] Panne. "Reaktionen gesättigter Kohlenwasserstoffe in der Gasphase und an Oberflächen / Thomas Ryll. Gutachter: Klaus Rademann ; Ulrich Panne." Berlin : Mathematisch-Naturwissenschaftliche Fakultät, 2015. http://d-nb.info/1068255277/34.

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Niewalda, Thomas [Verfasser], and Bertram [Akademischer Betreuer] Gerber. "Neurogenetic analyses of pain-relief learning in the fruit fly / Thomas Niewalda. Betreuer: Bertram Gerber." Würzburg : Universitätsbibliothek der Universität Würzburg, 2011. http://d-nb.info/1017451532/34.

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Scotti, Duane Michael. "Iliotibial Band Length and Patellofemoral Pain Syndrome: Relationship Between Two Measurement Techniques." Diss., NSUWorks, 2017. https://nsuworks.nova.edu/hpd_pt_stuetd/60.

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Abstract:
Purpose: To determine the relationship between iliotibial band (ITB) length and the presence of patellofemoral pain syndrome (PFPS), compare the difference in ITB length between the painful knee and the non-painful knee in subjects with unilateral PFPS, determine the test-retest reliability, standard error of measurement, and minimal detectable change (MDC) of the Ober test and modified Thomas test, and explore the relationship between the Ober test and the modified Thomas test in measuring ITB length. Subjects: Forty-eight subjects were recruited (PFPS group n=24, control group n=24) from three different outpatient physical therapy clinics. Methods: The Ober test and modified Thomas test was conducted on both legs of each subject to determine ITB length with the use of a digital inclinometer. Examiners were blinded to group assignment and an independent observer recorded all the results. Results: The mean values for hip adduction during the Ober test was 7.2 degrees in the control group and 2.3 degrees in the PFPS group. One way ANOVA revealed a significant difference between groups (p= .011). There were no differences in ITB length comparing the painful knee to the non-painful knee for both the Ober test and modified Thomas test. The ICC values calculated for the test-retest reliability were .95 for the Ober test and .86 for the modified Thomas test. Pearson correlational analysis revealed a weak negative correlation (r=-.40, p=.005) between the Ober test and modified Thomas test on the left side and no correlation on the right side. Discussion and Conclusion: The Ober test is better at distinguishing between a PFPS group and a control group than the modified Thomas test supporting the clinical utility of the Ober test. The use of a digital inclinometer for both the Ober test and modified Thomas test appears to be a reliable method for the measurement of ITB length. However, given the lack of relationship found between the two tests, the two examination procedures should not be used interchangeably for the measurement of ITB length.
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Schlichthärle, Thomas [Verfasser], and Karl-Peter [Akademischer Betreuer] Hopfner. "Expanding the toolbox of DNA-PAINT microscopy: from method development to cellular applications / Thomas Schlichthärle ; Betreuer: Karl-Peter Hopfner." München : Universitätsbibliothek der Ludwig-Maximilians-Universität, 2020. http://d-nb.info/1233600605/34.

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Rothaug, Judith [Verfasser], Bernhard [Akademischer Betreuer] Strauß, and Thomas [Akademischer Betreuer] Weiss. "Schmerzerfassung in der postoperativen Schmerztherapie : psychometrische Qualität von QUIPS und PAIN OUT / Judith Rothaug. Gutachter: Bernhard Strauß ; Thomas Weiss." Jena : Thüringer Universitäts- und Landesbibliothek Jena, 2013. http://d-nb.info/1036873269/34.

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Phukphatthanachai, Pranee [Verfasser], Ulrich [Gutachter] Panne, Wolfgang [Gutachter] Frenzel, and Thomas [Gutachter] Meisel. "Development and Application of IDMS Based Procedure for total Sulphur in Copper Metals and Its Alloys / Pranee Phukphatthanachai ; Gutachter: Ulrich Panne, Wolfgang Frenzel, Thomas Meisel." Berlin : Humboldt-Universität zu Berlin, 2019. http://d-nb.info/1189070359/34.

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Karl, Franziska [Verfasser], Claudia Gutachter] Sommer, and Thomas [Gutachter] [Dandekar. "The role of miR-21 in the pathophysiology of neuropathic pain using the model of B7-H1 knockout mice / Franziska Karl ; Gutachter: Claudia Sommer, Thomas Dandekar." Würzburg : Universität Würzburg, 2017. http://d-nb.info/114951034X/34.

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Sipahi, Nihat Firat [Verfasser], Nestoras [Gutachter] Papadopoulos, and Thomas [Gutachter] Schmitz-Rixen. "Pain intensity and graft patency following minimally invasive coronary artery bypass grafting. A comparison of three different approaches / Nihat Firat Sipahi ; Gutachter: Nestoras Papadopoulos, Thomas Schmitz-Rixen." Frankfurt am Main : Universitätsbibliothek Johann Christian Senckenberg, 2019. http://d-nb.info/1178790797/34.

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Plaga, Ann-Christin [Verfasser], Oliver [Gutachter] Höffken, and Thomas [Gutachter] Müller. "Vergleichende Untersuchungen zur Conditioned Pain Modulation (CPM) mit Painful Cutaneous Electrical Stimulation (PCES) und Hitzeschmerz als Teststimuli an gesunden Probanden / Ann-Christin Plaga ; Gutachter: Oliver Höffken, Thomas Müller ; Medizinische Fakultät." Bochum : Ruhr-Universität Bochum, 2020. http://d-nb.info/1224683544/34.

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Feige, Thomas [Verfasser], Jochen [Akademischer Betreuer] Neuhaus, Jens Uwe [Gutachter] Stolzenburg, and Frank [Gutachter] Gaunitz. "Die Expression muskarinerger und purinerger Rezeptoren in Urothelzellen und suburothelialen Myofibroblasten im Rahmen des Bladder Pain Syndrom/Interstitielle Zystitis (BPS/IC) / Thomas Feige ; Gutachter: Jens Uwe Stolzenburg, Frank Gaunitz ; Betreuer: Jochen Neuhaus." Leipzig : Universitätsbibliothek Leipzig, 2017. http://d-nb.info/1240315430/34.

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Wenge, Matt. "Fearlessness the seventh element of drama." Master's thesis, University of Central Florida, 2011. http://digital.library.ucf.edu/cdm/ref/collection/ETD/id/5082.

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Abstract:
Aristotle proclaimed in his Poetics that there were six elements to drama: spectacle, music, diction, thought, character, and plot. This paper will analyze the play Thom Pain (based on nothing) against these six elements. I will discuss the aspects of each element that are present in the show as well as the ideas and concepts my director, Tad Ingram, and I brought to the show. Through the rehearsal and performance process I discovered a seventh element; the element of fearlessness. In his Poetics, Aristotle does not fully address what the actor brings to the performance and this aspect is just as important as what the script and staging bring to the performance.
ID: 029810021; System requirements: World Wide Web browser and PDF reader.; Mode of access: World Wide Web.; Thesis (M.F.A.)--University of Central Florida, 2011.; Includes bibliographical references (p. 50).
M.F.A.
Masters
Theatre
Arts and Humanities
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Parsons, William Bruce. "Thomas Paine: Conscience of liberalism. A comparison of the political philosophy of Paine and Locke." 2008. http://link.library.utoronto.ca/eir/EIRdetail.cfm?Resources__ID=742273&T=F.

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Hunt, Jocelyn B. "Understanding the London Corresponding Society: A Balancing Act between Adversaries Thomas Paine and Edmund Burke." Thesis, 2013. http://hdl.handle.net/10012/7273.

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Abstract:
This thesis examines the intellectual foundation of the London Corresponding Society’s (LCS) efforts to reform Britain's Parliamentary democracy in the 1790s. The LCS was a working population group fighting for universal male suffrage and annual parliaments in a decade that was wrought with internal social and governmental tension. Many Britons, especially the aristocracy and those in the government, feared the spread of ideas of republicanism and equality from revolutionary France and responded accordingly by oppressing the freedom of speech and association. At first glance, the LCS appears contradictory: it supported the hierarchical status quo but fought for the voice and representation of the people; and it believed that the foundation for rights was natural but also argued its demands for equal rights were drawn from Britain’s ancient unwritten constitution. This thesis contextualizes these ideas using a contemporary debate, the Burke-Paine controversy, as Edmund Burke was the epitome of eighteenth century conservative constitutionalism in Reflections on the Revolution in France while Thomas Paine’s Rights of Man represented a Lockean interpretation of natural rights and equality. Thus using Reflections and Rights of Man as a framework, this thesis demonstrates that the LCS thoroughly understood its demands for parliamentary reform and uniformly applied its interpretation of natural rights and equality to British constitutionalism and the social and governmental hierarchies.
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Borodáčová, Jana. "Angličtí intelektuálové ve víru revoluční Francie: Interpretace politických událostí z pohledu součastníků." Master's thesis, 2014. http://www.nusl.cz/ntk/nusl-337342.

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Abstract:
This Diploma thesis focuses on the investigation of impact of French Revolution into the development of political views of three Englishmen who represent three levels of view of revolutionary events: idealistic, radical and critical. Helen Maria Williams (1761-1827) represents an idealistic school of thought especially within the idea on universal citizenship and messianism of French Revolution. Simultaneously, she also represents some opinions of female population and their expectations relating to the status of women. Thomas Paine (1737-1809), a member of Convention and a supporter of the Girondists is an example of a radical religious view. The last of the trio is a physiocrat and a writer Arthur Young (1741-1820) who visited France before the Revolution. He became a witness and also a critic of the early revolutionary events. Key Words Helen Maria Williams, Thomas Paine, Arthur Youn, The French Revolution.
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GREGOROVÁ, Markéta. "Polemika o lidských právech mezi E. Burkem a T. Painem." Master's thesis, 2016. http://www.nusl.cz/ntk/nusl-254067.

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Abstract:
This diploma thesis deals with the famous controversy concerning interpretation of the French Revolution between Thomas Paine and Edmund Burke. This controversy is put into context with English debate on the revolution, which commenced with Price´s sermon (On the Love of our Country, 1789). Burke responded with his work Reflections on the revolution in France to that and subsequently Paine reacted with a text Rights of Man, in which he expounded his philosophy of the rights of man. The focus concentrates in the diverse interpretation of the concept of human rights with both authors.
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McHugh, Meadhbh. "Black Lyric: Trauma and Poetic Voice in Contemporary Irish Drama." Thesis, 2021. https://doi.org/10.7916/d8-x20m-ys55.

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Abstract:
I argue that lyricism, prevalent on the Irish stage from the inception of the national dramatic theatre tradition, is invoked, subverted, and exhausted by contemporary Irish playwrights. Lyric art had an evident nation-building function on the Irish stage, but the capacities of lyric language also included the expression and containment of painful material that otherwise could not easily be represented or voiced, but which, by the second half of the twentieth century, could not be comfortably repressed. In the period 1960-2010 (from Tom Murphy to Mark O’Rowe), playwrights of national significance—Murphy, Marina Carr, Martin McDonagh, Enda Walsh, and O’Rowe—increasingly associate the Hiberno-English lyric register with social fracture, emotional and psychic disturbance, and loss, until the lyric mode itself is exposed as inherently traumatized. I call this later mode, at the close of the twentieth century, “black lyric.” Black lyric operates as a travesty of lyric expression. Black lyrical writing is lyrical text containing, but also produced by, pain, and at its fullest power, it operates as a grotesque parody of poetic expressiveness. It confronts the audience with trauma and psychic suffering attached to national expression rather than offering sonorous comfort. This project uses a combination of close reading, historical research, and theoretical analysis to argue that the playwrights who deploy heightened Hibernicized English at the end of the twentieth century are commenting upon and challenging the canon of Irish drama, which depended on a lyric register not only to console but to conceal. Commentators of twentieth-century Irish drama routinely remark on the dramatic tradition’s visceral poetry, yet it is rarely the subject of any sustained analysis outside of considerations of “language” or “style” generally. This dissertation seeks to partly address that omission.
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