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Dissertations / Theses on the topic 'Tutela multilivello dei diritti umani'

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Mazzoni, Nicoletti Marco. "La tutela dei diritti umani tra Italia ed Europa. Il fenomeno della multilevel protection." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2011. http://hdl.handle.net/11577/3422974.

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Abstract:
With this doctoral thesis entitled “The protection of human rights in Italy and Europe. The phenomenon of multilevel protection”, it intends to carry out an examination of the “multilevel” system of protection of human rights in the European context. This field of research, known under the term of “judicial area”, contains the single national law, the European Union, and the system created by the European Convention of Human Rights and Fundamental Freedoms (ECHR). In particular, the work is structured in three chapters, of which, the first, dedicated to a reflection on the history and general theory of human rights, is the necessary starting point from which to take as a basis for a discussion of fundamental rights and the tools provided for their protection. The second chapter analyzes analytically those acting in the “European legal space” of protection of fundamental rights and, therefore, constitute the main characters. This analysis moves from an examination of the forms and tools provided to protect human rights by the Italian Constitution, in particular the investigation focuses on Article 2 of the Constitution and the arguments aimed at providing an answer to the question - which is renewed through the multilevel protection - whether this provision constitutes a formula summary of individual rights enumerated by the Constitution, which would thus form a closed set, or if it permits, through interpretations of the extensive type, the opening of the catalog to other rights not enumerated. Then the analysis moves to the order created by the Convention, built as a system of protection of rights against the States as a result of the tragic experiences of the thirties and forties, has assumed the role from the beginning of a true “bulwark “the protection of human rights. The close examination of the Community Law and the European Court of Justice ends the second chapter. Infact, since the famous cases of Stauder in 1969 and of Internationale Handellsgesellschaft in 1970, the European Court of Justice, has expressly declared its jurisdiction over fundamental rights even assuming, thus, the additional role of guarantor of fundamental rights in the silence of the Community Treaties, at least until the approval of the Charter. Finally, the third chapter deals with the evolution of relations between the laws “protagonists” of mutilevel protection in light of the Lisbon Treaty, which entered into force on 1 December 2009, has introduced two key reforms in the field of fundamental rights : the awarding of a full legislative effect to the Charter of fundamental Rights, under the call made to her in the new Art. 6, par. 1 TUE, and the Union for accession to the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms. At the conclusion of the research conducted in the present study is seen as the next EU accession to the ECHR represents both a fallacy and a goal depending on your point of view from which to observe: national or supranational. Membership as an aporia, recording on the old problem of the status and effectiveness of the ECHR with respect to the system of sources of law, could lead to the possibility of the direct applicability of the Convention, with the consequent recognition on the part of ordinary judges a diffuse power to disapply the national standard in conflict with the provisions of agreements. In this sense, art. 6, co. 2 of the TEU (although membership is a process still in progress), has already begun to produce its first effects “destabillizzanti” on the Italian case law (C.d.S. n. 1220 del 2010 e T.A.R. Lazio n. 11984 del 2010) that showed renewed tendencies to carry out the non-application of internal rules contrary to the ECHR, contrary to what had been the precise indications set out by the Constitutional Court in the famous judgments nos. 348 and 349, 2007. A rather different conclusions was reached by analyzing the consequences that could result in the planned accession to the relationship between the ECHR and the EU. The European Union accession to Council of Europe’s system constitutes an ideal tool, the “missing link” to achieve an important and complex goal: to raise the standard of protection of human rights in the “European constitutional space”
Con la presente tesi di dottorato dal titolo “La tutela dei diritti umani tra Italia ed Europa. Il fenomeno della multilevel protection”, si intende svolgere una disamina del sistema “multilivello” di tutela dei diritti umani nel contesto europeo. Tale ambito di indagine, noto sotto la locuzione di “spazio giuridico europeo”, racchiude i singoli ordinamenti nazionali, l’Unione europea, nonché il sistema creato con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). In particolare, il lavoro si struttura in tre capitoli, dei quali, il primo, dedicato ad una riflessione sulla storia e sulla teoria generale dei diritti dell’uomo, costituisce il necessario punto di partenza dal quale prendere le mosse per un approfondimento sui diritti fondamentali e gli strumenti preposti alla loro tutela. Il secondo capitolo intende analizzare analiticamente i soggetti che agiscono nello “spazio giuridico europeo” di tutela dei diritti fondamentali e ne costituiscono, pertanto, i protagonisti. Tale analisi muove dall’esame delle forme e degli strumenti preposti a tutela dei diritti umani dalla Costituzione italiana; in specie l’indagine si concentra sull’art. 2 Cost. e sulle argomentazioni tese ad offrire una risposta al quesito – che attraverso la multilevel protection si rinnova – se tale disposizione configuri una formula riassuntiva dei diritti singolarmente enumerati dal testo costituzionale, i quali costituirebbero pertanto una serie chiusa, ovvero se esso consenta, attraverso interpretazioni di tipo estensivo, l’apertura del catalogo ad altri diritti non enumerati. Successivamente l’analisi si sposta verso l’ordinamento nato dalla Convenzione che, sorta quale sistema di protezione dei diritti nei confronti degli Stati a seguito delle tragiche esperienze degli anni Trenta e Quaranta, ha sin da principio assunto il ruolo di vero e proprio “baluardo” della tutela dei diritti umani. Chiude il secondo capitolo l’approfondimento dell’ordinamento comunitario e della giurisprudenza della Corte di Giustizia. Quest’ultima, infatti, sin dai celebri casi Stauder del 1969 e Internationale Handellsgeselschaft del 1970, ha espressamente dichiarato la propria competenza a giudicare anche in materia di diritti fondamentali assumendo, in tal modo, l’ulteriore ruolo di garante del rispetto dei diritti fondamentali nel silenzio dei trattati comunitari, almeno sino all’approvazione della Carta di Nizza. Da ultimo, il terzo capitolo, affronta l’evoluzione dei rapporti fra gli ordinamenti “protagonisti” della mutilevel protection anche alla luce del Trattato di Lisbona che, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha introdotto due riforme essenziali in tema di diritti fondamentali: l’attribuzione di una piena efficacia normativa alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in virtù del richiamo ad essa fatto nel nuovo art. 6, par. 1 TUE, nonché la previsione dell’adesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. A conclusione dell’attività di ricerca condotta nel presente elaborato si osserva come la prossima adesione dell’Ue alla CEDU rappresenti insieme una aporia ed un traguardo a seconda del punto di vista dal quale la si osservi: nazionale ovvero sovranazionale. Una aporia in quanto l’adesione, incidendo sull’annoso problema del rango e dell’efficacia della CEDU rispetto al sistema delle fonti del diritto interno, potrebbe comportare la possibilità dell’applicabilità diretta della Convenzione, con il conseguente riconoscimento in capo ai giudici comuni di un potere diffuso di disapplicazione della norma nazionale in contrasto con le disposizioni convenzionali. In tal senso l’art. 6, co. 2, del TUE (nonostante l’adesione sia un processo ancora in fieri), ha già cominciato a produrre i primi effetti “destabillizzanti” sulla giurisprudenza italiana (cfr. C.d.S. n. 1220 del 2010 e T.A.R. Lazio n. 11984 del 2010) che ha evidenziato rinnovate tendenze a procedere alla disapplicazione delle norme interne contrarie alla CEDU, contravvenendo a quelle che erano state le precise indicazioni enunciate dalla Corte costituzionale nelle celebri sentenze nn. 348 e 349 del 2007. A tutt’altre conclusioni si è giunti invece analizzando le conseguenze che potrebbero derivare della prevista adesione ai rapporti fra CEDU e UE. L’accessione dell’Unione europea al sistema del Consiglio d’Europa costituisce infatti lo strumento ideale, l’”anello mancante”, per conseguire un importante e complesso obiettivo: elevare lo standard di tutela dei diritti dell’uomo nello “spazio costituzionale europeo”
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FERRI, Marcella. "La tutela dei diritti culturali nel diritto internazionale dei diritti umani." Doctoral thesis, Università degli studi di Bergamo, 2013. http://hdl.handle.net/10446/28977.

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Nardocci, C. "LE DISCRIMINAZIONI ETNICO-RAZZIALI NEL SISTEMA MULTILIVELLO DI TUTELA DEI DIRITTI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2015. http://hdl.handle.net/2434/261871.

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Abstract:
ABSTRACT Discrimination based on race or ethnic origin is a deep-rooted problem of contemporary multicultural societies. The coexistence of a plurality of groups which differ for race, ethnic origin, language and culture within the same state entity may be likely to trigger discrimination as a result of ethnic groups conflicts and prejudice. Thus, discrimination has primary a social meaning, which reveals how differences in treatment often come from a hierarchical system of social structure – named social stratification – that distinguishes among a dominant group and one or more minority or subordinated groups. Discrimination, as a both social and anthropological phenomenon, covers the very first part of the study, aimed at introducing the overall theoretical context throughout an insight of several of the implications hidden underneath. The investigation of the role of Law in addressing racial and ethnic discrimination, on which focus the second, along with the third and the fourth parts, is based on a multilevel approach, according to the cross-border nature of racial and ethnic discrimination. Along with a multilevel approach, the study chooses to examine the issue related to racial and ethnic discrimination from a dual perspective. More specifically, it moves from an individual to a group-based approach to non discrimination, in order to challenge the liberal path of human right as individual rights only and to assess new ways of balancing individual and collective rights From a constitutional viewpoint, the study aims at exploring new mechanisms to tackle racial and ethnic discrimination, that goes beyond Article 3 of the Constitution, through the development of the principle set out in Article 6 of the Constitution, which protects linguistic minorities.
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De, Vittor Francesca. "Immunità degli stati dalla giurisdizione e tutela dei diritti umani fondamentali." Université Robert Schuman (Strasbourg) (1971-2008), 2004. http://www.theses.fr/2004STR30002.

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Abstract:
La thèse proposée est une analyse des effets que l'exigence d'une protection effective des droits de l'Homme peut produire sur les règles du droit international coutumier concernant les moyens pour faire valoir la responsabilité de l'Etat. Suite à la violation des droits fondamentaux, la solution plus accessible aux individus est la saisie des tribunaux internes pour obtenir des dommages-intérêts de la part d'Etat étranger. Ces recours sont refusés en application de la règle de l'immunité juridictionnelle. Nous analysons les théories qui proposent une exception à la règle de l'immunité applicable en cas de violation des droits fondamentaux. Nous soulignons les raisons pour lesquelles ces théories ne sont pas convaincantes. Dans la deuxième partie, nous remarquons, que la solution juridictionnelle de ces questions qui relèvent des rapports diplomatiques peut être inopportune. Nous cherchons une solution alternative, susceptible de concilier l'exigence d'une protection des droits de l'Homme avec le maintien de l'immunité juridictionnelle, nous proposons une adaptation de la protection diplomatique aux exigences contemporaines
We propose an analysis about the effects that the necessity of an effective protection of human right can produce on the international customary law concerning State accountability and responsability. In case of violations of fundamental rights, the easiest solution for the individual is to hold internal courts in order to obtain financial compensations from the foreign State. These recours are refused in application of the State immunity rules. We analyse theories which propose an exception to the immunity rule in case of fundamental human rights violations. We underline the reasons why these theories are not convincing. In the second part, we note that the jurisdictional solution of these questions, which are usually relevant for diplomatic relations, can be inopportune. We look for an alternative solution which could make a conciliation between human rights and jurisdictionnal immunity of foreign State, we propose an adaptation of diplomatic protection to actual exigencies
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Zaru, Davide. "La tutela internazionale dei diritti umani: verso la "costituzionalizzazione" dell'ordine internazionale?" Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2010. http://hdl.handle.net/11577/3427421.

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Abstract:
As a first step, the present research took into consideration the doctrinal debate between 1930s and today related to the possible emergence of a ‘constitution’ in the international legal system. On this basis, the ‘international constitutionalisation’ was defined in the following terms: The process of development of a legal theory which aims at the identification and institutionalisation of the relevant legal devices in charge of performing two main constitutional functions. First, the function of establishment of rules related to the production and enforcement of norms, to the definition of subjectivity as well as to the allocation of spheres of jurisdiction. Second, the function of control of the public power as well as of the orientation of this power towards the promotion of public goals and values. The consequent research option could have been to assume that an “international constitution” is already embedded in a single legal instrument, e.g. the UN Charter, or in other “world treaties”, and thereafter to carry out a comparison of this international constitution with domestic constitutions. However, we noted that a similar exercise had already been extensively dealt by the doctrine. This led us to frame differently the present work, and to decide to compare the regime of human rights law with the interpretive framework of the constitutional functions of the international legal system. This comparison was undertaken from both from a material perspective as well as from an institutional one. From a material perspective, the statement that human rights law performs a constitutional role can be justified with reference to the peculiarities that characterize the formation and resistence of the human rights norms, as well as with reference to the use of many innovative solutions in the field of human rights law – in relation for instance to the regime of reservations or State succession. These innovations are deemed necessary in consideration of the fact that the final beneficiaries of this human rights law are individuals and communities. In addition, we underlined the capacity of human rights law to establish objective regimes,and the related possible emergence of a legitimate interest and a duty, if not an obligation, of each State participating in human rights regimes to protect their integrity. In the analysis of the possible impact of human rights onto the constitutionalization of the international legal system from an institutional perspective, we emphasised the complex modalities governing the implementation of this corpus of law. Our analysis went beyond the formal effects of control, and outlined the effectivess also of non-judicial control mechanisms of this body of law. Jurisdictional and quasi-jurisdictional human rights bodies carry out substantially the same mission, as both are expected first to determine the relevant facts, then to subsume the facts under the applicable norms and finally to assess whether the conduct corresponded to a violation of the law. In spite of the lack of binding powers vis-à-vis the State, non-jurisdictional human rights bodies have the capacity to detect a wrongful conduct, and therefore to establish a dialogue with the State with a view to request the cessation and reparation. The authoritative role played by human rights bodies could also justify the claim of other actors to invoke the responsibility of a State for the violation of human rights obligations. In the course of our analysis, we insisted on the applicability to human rights law of the general regime of the law of state responsibility. In this sense, we believe that a constitutional approach to international law provides for a useful interpretive framework that is instrumental to the enhancement of the enforcement of international law. This approach clarifies the legal significance of the all forms of monitoring of implementation of human rights law. It provides for a framework that helps assessing the respective profiles of responsibility and accountability of duty bearers and rights holders. In a nutshell, a constitutional approach to international law is opposite to the understanding that human rights, in spite of their inclusion in legal instruments, remain ethical values that the public power should duly consider to mainstream. In conclusion, the claim that human rights law already performs a series of constitutional functions is supported with a series of additional considerations. First, the capacity of this body of law to facilitate an effective ‘osmosis’ between the international legal system and domestic legal systems; second, the significant degree of compliance of States with the decisions of monitoring bodies established by human rights treaties, which reflects the importance attached by States and by the international community s such to the promotion and protection of human rights; third, the capacity of human rights law to put into place objective regimes aiming at the protection of community interests; fourth, the capacity of human rights law to foster a cooperative framework for the promotion and protection of a series of guaranteed rights; fifth, and finally, the capacity of human rights law to radically change the objectives of international law.
La presente ricerca si è proposta anzitutto di ricostruire il dibattito in dottrina teso ad indagare l’emergenza nell’ordine internazionale di una costituzione internazionale. Sulla base di tale indagine, abbiamo ricavato una definizione di costituzionalizzazione che riteniamo trasversale e applicabile ai diversi approcci presi in considerazione. Sarebbe da intendersi per costituzionalizzazione dell’ordine internazionale quel processo di creazione di una teoria tendente alla clarificazione/istituzionalizzazione dei meccanismi per lo svolgimento delle seguenti funzioni costituzionali: da una parte, la creazione delle regole che disciplinano la produzione ed esecuzione delle norme, la definizione della soggettività e della giurisdizione, così come la struttura, la divisione e la distribuzione delle sfere di giurisdizione, nonché – in secondo luogo – la funzione di controllo del potere pubblico e orientamento delle sue finalità, attraverso la definizione e attuazione dei valori giuridici fondamentali della Comunità internazionale. Non abbiamo scelto di aderire a quelle posizioni che vedono allo stato la possibilità di rintracciare nell’ordinamento internazionale un unico strumento che integri adequatamente le soprammenzionate funzioni, si tratti della Carta delle Nazioni unite, o in aggiunta ad esso di una serie di “trattati dell’ordine mondiale”, e che pertanto concentrano la loro analisi in una comparazione tra tali strumenti e le costituzioni al livello nazionale. La nostra ipotesi di lavoro è invece consistita nel confrontare il regime del diritto dei diritti umani, tanto da una prospettiva materiale quanto istituzionale, con la griglia interpretativa delle funzioni costituzionali. Da una prospettiva materiale, l’affermazione per cui il diritto dei diritti umani svolge un ruolo costituzionale si giustifica attraverso le peculiarità che caratterizzano la formazione e la resistenza delle norme sui diritti umani di diritto generale, ed il ricorso alle numerose soluzioni innovative integrate nell’ambito di produzione e attuazione di tale diritto convenzionale, le quali mirano ad un efficace adattamento di tali norme alla situazione speciale della tutela di individui. Inoltre, abbiamo sottolineato la predisposizione del diritto dei diritti umani a dare origine a regimi oggettivi il rispetto della cui integrità costituisce un interesse legittimo ed un dovere morale di ciascuno Stato partecipante a tale regime, se non addirittura un obbligo. Nell’analisi dell’influenza positiva del diritto dei diritti umani sulla costituzionalizzazione dell’ordine internazionale anche da un punto di vista istituzionale, si è messo l’accento sulle complesse modalità di garanzia di tale diritto, non limitandosi ad una considerazione degli effetti formali dell’atto finale del controllo, ma riconoscendo che meccanismi di controllo non-giurisdizionali, possono avere effetti altrettanto efficienti e funzionali. Gli organi giurisdizionali di garanzia, come quelli non-giurisdizionali di tutela dei diritti umani, svolgono la medesima attività sostanziale, in quanto entrambi determinano anzitutto i fatti rilevanti, sussumono poi tali fatti sotto le norme pertinenti, per valutarli e determinare quindi se quei fatti si concretano o meno nella violazione delle norme alle quali sono stati ragguagliati. Nonostante non si rivelino in grado di portare all’adozione, contro lo Stato responsabile, di provvedimenti atti a vincolare giuridicamente la condotta di tale Stato, gli organi di controllo non-giurisdizionale sono idonei ad individuare le infrazioni delle norme internazionali cui attengono, ad instaurare un dialogo con lo Stato al fine di determinare la cessazione dell’illecito ed eventualmente giustificano l’attivarsi di altri soggetti nell’attuazione della responsabilità. Nella dimostrazione della valenza costituzionale del diritto dei diritti umani da un punto di vista sia materiale che istituzionale, si è di fatto insistito sull’esigenza di applicare in maniera rigorosa ma piena al diritto dei diritti umani gli istituti esistenti del diritto internazionale, come ad esempio il regime della responsabilità dello Stato. In questo senso, riteniamo che un approccio costituzionale offra una griglia interpretativa utile a valorizzare la forza giuridica di tale diritto, come la pregnanza giuridica dei momenti diversi dell’accertamento e del controllo del diritto dei diritti umani, nonché i gradi diversi di accountability di ciascun attore che partecipa alle attività di controllo o accertamento dell’esecuzione dei diritti umani, contrastando pertanto quegli approcci che vedono nei diritti umani dei valori etici che occorre prendere in considerazione, o ‘mainstream’, nell’azione governativa. In conclusione, l’incisività delle funzioni costituzionali promosse dal diritto dei diritti umani risulta chiara se si prendono in considerazione con maggiore dettaglio le seguenti considerazioni: la capacità di tale diritto di facilitare un’osmosi materiale tra ordinamento internazionali e ordinamenti interni e ordinamenti sui generis; l’alto grado di osservanza spontanea degli Stati alle decisioni degli organi di controllo, che si giustifica con l’importanza attribuita a tale corpus giuridico; la capacità di tale diritto di porre in essere regimi oggettivi caratterizzati dalla tutela di interessi comunitari, e di garantirne l’integrità; la capacità di alimentare una logica cooperativa per la promozione e protezione dei diritti garantiti; la capacità di modificare radicalmente le finalità del diritto internazionale.
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Scuto, F. "La tutela dei diritti degli immigrati irregolari in un'ottica di costituzionalismo multilivello." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2008. http://hdl.handle.net/2434/43560.

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Iosia, Davide. "La tutela dei diritti umani nel partenariato euro-mediterraneo. Focus sul Maghreb." Doctoral thesis, Università di Catania, 2013. http://hdl.handle.net/10761/1370.

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Abstract:
Le clausole di condizionalità degli Accordi di Associazione con i quali l'UE gestisce i propri rapporti con i Paesi del bacino mediterraneo comportano un certo grado di tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte di questi ultimi. La collocazione di tali Paesi nell'orbita dei Paesi islamici rende necessaria una riflessione circa la compatibilità tra il diritto islamico e i moderni standards occidentali di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino. In tal senso, la ricerca procede nell'analisi della situazione giuridica della tutela di tali diritti in Algeria, Tunisia e Marocco.
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COCCO, Annalisa. "La sharing economy, fra esigenze di mercato e tutela dei diritti umani." Doctoral thesis, Università degli studi del Molise, 2020. http://hdl.handle.net/11695/97989.

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Abstract:
Il lavoro analizza la c.d. economia della condivisione e le sue implicazioni nel diritto civile, delineandone lo sviluppo nel tempo e i caratteri salienti attraverso l’originario inquadramento proposto dalla Commissione europea – nel parere esplorativo sui ‘nuovi modelli economici sostenibili’ – e dall’Intergruppo Parlamentare per l’innovazione tecnologica, creatore dello Sharing Economy Act. Lo studio si concentra sull’esame di alcune note piattaforme elettroniche, dedicando particolare attenzione ai profili di meritevolezza enfatizzati dal legislatore per incentivare le attività che contribuiscano realmente ad un consumo più sostenibile mediante la condivisione di beni. L’approccio funzionale al fenomeno consente di fondare sulla solidarietà fra gli utenti la ratio di un trattamento legislativo di favore per le operazione rientranti nella ‘economia della condivisione’, ancor oggi invocata senza reali uniformità di vedute. Si analizza il ruolo della piattaforma elettronica nell’àmbito della negoziazione fra gli utenti, rapportando l’effettivo grado di incidenza sull’accordo alle forme di responsabilità normativamente previste secondo il noto principio di ‘neutralità della rete’. Volgendo lo sguardo all’accordo concluso fra gli utenti nell’àmbito della piattaforma, se ne sostiene la qualificabilità come «contratto» ai sensi degli artt. 1321 ss. cc., discostandosi dalle opzioni dottrinali che li ritengono accordi meramente amichevoli o “di pura cortesia”. Ne discende l’applicabilità della relativa disciplina nonché la valorizzazione del profilo sostanziale che implica l’individuazione di collegamenti funzionali fra contratti, determinandone la regolamentazione e i profili di responsabilità. Entro il quadro della c.d. economia delle piattaforme digitali, si pone in luce il valore della relazione personale fra gli utenti, la quale assume importanza cruciale ai fini della validità e della regolamentazione diacronica dei rapporti individuali. Operando un raffronto fra i c.dd. relational contracts, di matrice americana, e i contratti di durata, si pongono in luce le analogie e le differenze rispetto ai contratti di condivisione, autonomamente connotati da propri elementi distintivi che li riconducono ad una economia nella quale le peculiarità degli operatori hanno assunto una nuova importanza, avvicinando la Sharing Economy ad una c.d. Intimate Economy. Alla luce del valore assunto dal rapporto personale fra gli utenti, si discute anche del grado di libertà accordabile ai soggetti nella scelta della controparte, stante la ferma operatività dei principi di eguaglianza e di pari trattamento anche nell’àmbito delle comunità virtuali. In relazione alla piattaforma di AirBnb, si ricostruiscono gli episodi discriminatori denunciati da alcuni utenti per esaminare le disposizioni della disciplina antidiscriminatoria e valutarne il raggio di applicazione, nel bilanciamento con il diritto di individuazione della controparte contrattuale. Infine, valorizzando il profilo fattuale delle operazioni concluse in rete, viene proposta una distinzione fondata sulla valutazione delle circostanze concrete dipendenti sia dalle modalità di negoziazione fissate dalla piattaforma sia dal godimento del bene immobiliare da parte degli utenti. Si riconosce, cosí, l’applicabilità del divieto di discriminazione – e la conseguente invalidità del contratto stipulato – in tutte le ipotesi nelle quali non si instauri una ‘condivisione effettiva’ del bene offerto e si verifichi un ingiustificato effetto discriminatorio per l’utente. Seguendo l’espressa previsione dell’art. 3, dir. 2000/113/CE, si depone invece per l’inapplicabilità del divieto alle transazioni concernenti l’àmbito della vita privata e familiare, coinvolto soltanto là dove un utente ospiti l’altro nel proprio immobile abitativo.
The work analyses the so-called Sharing Economy and its implications in civil law, outlining the development over time and its salient features through the original framework proposed by the European Commission – in the exploratory opinion on New Sustainable Economic Models – and by the Parliamentary Intergroup on Technological Innovation, who wrote the Sharing Economy Act. The study examines several well-known electronic platforms, paying particular attention to the ‘worthiness’ profiles emphasized by the legislator to encourage activities that contribute to a more sustainable consumption through the sharing of goods. The functional approach to the phenomenon bases on solidarity among users the rationale of special treatment for operations falling within the ‘Sharing Economy’, still invoked without real uniformity of views. The role of the electronic platform in the context of negotiation between users is analyzed by relating the actual impact on their agreement to its liability provided by law according to the principle of Net Neutrality. Looking at the agreement concluded between users in the context of the platform, it is supported the qualification as a ‘contract’ according to Articles 1321 et seq of the Civil Code, differing from the doctrinal options that consider them merely friendly or ‘pure courtesy’ agreements. It implies the applicability of contract law and the enhancement of the substantial profile which identifies functional links between contracts, determining their regulation and liability issues. Within the framework of the so-called Digital Economy, it is highlighted the value of the personal interaction between users, making it crucial for the validity and the diachronic regulation of individual relationships. Making a comparison between the American ‘Relational Contracts’ and the Italian ‘Long-term Contracts’, it is underlined the similarity and the differences concerning the ‘Sharing Contracts’, connoted by own distinctive features which link them to an economy in which the peculiarities of the operators have assumed new importance, bringing the Sharing Economy closer to an ‘Intimate Economy’. In light of the value assumed by the personal relationship between users, it is also discussed the degree of freedom given to the subjects in the choice of the counterparty, considering the principles of equality and equal treatment in the context of virtual communities. Concerning the AirBnb platform, there is a reconstruction of some discriminatory episodes reported by users to examine provisions of the anti-discrimination legislation and its application in balance with the right to choose the contractual counterparty. Lastly, by enhancing the factual profile of the transactions concluded online, it is proposed a distinction based on the evaluation of the concrete circumstances depending both on the trading methods set by the platform and on the users’ sharing of goods. Thus, the applicability of the prohibition of discrimination – and the consequent invalidity of the contract – is recognized in all the cases in which there is not effective sharing of goods with an unjustified discriminatory effect for the user. Following the express provision of Article 3 of Directive 2000/113/CE, the prohibition of discrimination is inapplicable to transactions concerning private and family life, which is involved exclusively in cases where users share their residential property with others.
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VARESANO, BRIGIDA. "I CRIMINI CONTRO IL PATRIMONIO CULTURALE: NUOVE PROSPETTIVE DI TUTELA DEI DIRITTI UMANI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2020. http://hdl.handle.net/2434/791194.

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Abstract:
Tra le strategie di contrasto ai multiformi fenomeni criminosi afferenti al patrimonio culturale, riveste un ruolo cruciale l’affermarsi, a livello internazionale, del principio della responsabilità penale individuale. A fronte dell’attuale scenario internazionale, in cui i beni culturali sono stati sovente oggetto della furia iconoclasta di gruppi estremisti, la presente ricerca si propone di acclarare quale rilevanza penale sia riconosciuta dal diritto internazionale, in una prospettiva de iure condito, alla distruzione intenzionale del patrimonio culturale quand’anche questa sia svincolata dai conflitti armati. Onde risolvere tale queastio iuris, la ricerca adotta quel preciso ragionamento giuridico, sviluppato dai tribunali internazionali penali, al fine di affermare la responsabilità penale individuale per la violazione di norme internazionali. In specie l’indagine si occupa di verificare la sussistenza dei tre requisiti che, in ossequio alla giurisprudenza internazionale penale, sono necessari affinché un individuo possa ritenersi penalmente responsabile a livello internazionale per la distruzione di beni culturali: ovverosia, (a) l’esistenza di una norma internazionale che imponga un determinato obbligo di tutela dei beni culturali; (b) la produzione di serious conseguenze in seguito alla violazione della suddetta norma; (c) la generalizzata comminatoria della sanzione penale negli ordinamenti nazionali. Ciò posto, la prima parte del lavoro – avente perlopiù carattere introduttivo – è volta a fornire un inquadramento sistematico del corpus normativo posto a tutela del patrimonio culturale all’interno del sistema di garanzia dei diritti umani. In questo contesto, viene in evidenza come l’interesse del legislatore internazionale in materia si sia declinato in diversi approcci connotati, sia da una progressiva estensione della nozione di bene giuridico protetto, che dall’evoluzione della ratio di tutela perseguita. Al fine di dimostrare quanto detto, si analizza: in primo luogo il diritto internazionale umanitario, le cui disposizioni hanno riconosciuto un’immunità al patrimonio culturale nella sua consistenza materiale, salvaguardandolo dai danni, seppur collaterali, derivanti dalle ostilità armate; e in secondo luogo, la normativa di più ampio respiro che, abbracciando la più estesa nozione di cultural heritage, ha inteso la tutela del bene culturale quale componente essenziale del rispetto dei diritti umani. Una volta chiarita la genesi del sistema normativo, ci si sofferma funditus sulla evoluzione dello stesso, prestando particolare attenzione all’emersione di nuove finalità di tutela. Tramite l’analisi del law enforcement attuato dalla Corte di Strasburgo e dalla Corte interamericana dei diritti umani, in materia di diritti culturali dell’uomo, si provvede ad inquadrare gli obblighi internazionali a protezione dei beni culturali sotto la lente dei diritti umani. Passaggio, questo, che appare centrale onde comprendere la reale portata del divieto di distruggere il patrimonio culturale in qualsivoglia contesto, e non solo in quello bellico. Esaurita la trattazione concernente le norme primarie, ed individuata dunque la sussistenza di specifici obblighi internazionali, l’indagine si concentra poi sulle conseguenze scaturenti, sul piano secondario, in caso di violazioni. Avendo riguardo alle reazioni poste in essere nella Comunità internazionale, essenzialmente realizzate tramite forme istituzionalizzate, quali quelle dell’UNESCO e delle Nazioni Unite, ci si occupa di appurare il grado di gravità riconosciuto alla rottura della legalità in materia. Sicché, guardando al dato fattuale, cioè all’azione solidale ed istituzionale attuata dagli omnes in risposta alla distruzione iconoclasta, si ricostruisce la natura erga omnes del divieto di distruggere il patrimonio culturale, e più in generale degli obblighi protettivi a questo relativi. Acclarato che la distruzione deliberata del patrimonio culturale integra una violazione grave del diritto internazionale, l’ultima parte dell’indagine – che rappresenta forse quella più innovativa – è volta ad accertarne la rilevanza penale nell’ambito dei sistemi giuridici nazionali. Infine, seguendo un ragionamento induttivo, che muove quindi dalle esperienze nazionali, e che si colloca comunque in una prospettiva de iure condito, potrà evincersi l’esistenza o meno di un principio generale, comune agli ordinamenti interni, volto a responsabilizzare penalmente l’individuo per la distruzione deliberata del patrimonio culturale in tempo di pace.
The principle of individual criminal responsibility plays a crucial role among all the different strategies to face the manifold criminal phenomena which currently undermine cultural heritage. Against the recent historical background, where the cultural heritage has been intentionally injured because of iconoclastic waves, the present research pursues a main objective, which can be summarized into the following query: is it possible to affirm the consolidation of the principle of the individual criminal responsibility vis-à-vis the intentional destruction of cultural property committed during peace time? In order to solve this question, the research follows the reasoning adopted by international criminal courts in order to affirm the principle of individual criminal responsibility for violations of international law. In particular the present work, which consists of two parts, aims to ascertain the fulfillment of the three criteria enunciated by the international criminal courts: (a) the existence of rules of international law laying down a specific obligation to protect cultural property; (b) the production of serious consequences in case of violation of such rules; (c) the generalized criminalization, into national legal systems, of a such offence. Consequently, the first part of the work – of an introductive character – is addressed to a systematic overview of the relevant legal framework, whose evolution highlights how the international tools have been characterized by either a progressive extension of cultural good notion, or an evolution of the pursued ratio legis. Therefore, the analysis takes moves from the ius in bello norms which have granted an immunity to cultural property, based on its civilian character and aiming to prevent those damages which are typically caused by armed conflicts. Finally, and especially, it considers those norms of a wider scope which – embracing the broader notion of cultural heritage – have interpreted the cultural property protection as a constituent part of the human rights protection system. Thus, addressing the attention on the most recent achievements of this evolutional process, the research turns to those legal instruments – such as Article 27 of the Universal Declaration of Human Rights (1948) and Article 15 of the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights (1966) – whereby the international obligations related to cultural property could be interpreted as tools to defend a humankind interest, namely the peaceful enjoyment of the cultural rights: i.e. the right to take part to cultural life, as well as the right to have a cultural identity. However, the pivot of the present research is its second part, which is focused on the consequences deriving from the violations of the relevant international rules protecting cultural property and, consequently, from the cultural rights infringements. Indeed, the second part intends to establish whether the Rome Statute provisions has been overtaken by new rules of customary international law, according to which the intentional destruction of cultural heritage constitutes, besides a war crime, even a crime against humanity. To this scope, the analysis deals with the reactions that international actors have implemented for facing the iconoclasm plague. In order to ascertain the criminalization degree, the work firstly focuses on the pertinent case-law of the international criminal tribunals: indeed it is known that the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia before, and the Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia then, have already condemned the intentional attacks directed against cultural sites as crimes against humanity sub specie of persecution. Ultimately, the object of the last part is represented by the national legal systems, whereby it is given to retrace the criminal relevance degree which is recognized to the destruction of cultural heritage.
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SICCARDI, ILENIA. "DELITTO DI TORTURA: UN PASSO IN AVANTI NELLA TUTELA DEI DIRITTI UMANI IN ITALIA?" Doctoral thesis, Università degli studi di Genova, 2021. http://hdl.handle.net/11567/1046415.

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Abstract:
Parlare di tortura, oggi, sembra anacronistico. Rievoca le battaglie intraprese contro la stessa nel periodo dell’Illuminismo. Tuttavia, si tratta di un fenomeno che «affiora prepotentemente dal passato e minaccia di avere un futuro». Essa ricompare nelle guerre, nelle dittature nelle carceri e come strumento di lotta al terrorismo internazionale. E’ dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 che è tornato in auge il discorso in ordine alla legittimità o meno delle pratiche di tortura, scoperchiandosi completamente quel vaso di Pandora che sembrava essere stato chiuso in maniera definitiva dall’Illuminismo. In questo delicato momento storico governato dall’insicurezza e dalla paura a causa dei dilaganti fenomeni terroristici, riaffiorano diversi temi quale quello della sicurezza, dello stato di emergenza, del diritto penale del nemico. Sono proprio questi i temi che rischiano di far perdere di vista i diritti fondamentali della persona umana, i quali vengono sacrificati di fronte al bisogno della sicurezza e di forme di ricerca della prova sempre più pervasive. Solo tardivamente, su impulso delle non rare condanne della Corte di Strasburgo per violazione dell’art. 3 CEDU, l’Italia si è adeguata alla Convenzione ONU contro la tortura del 1984 introducendo, con la legge n. 110 del 2017, una (già) controversa fattispecie incriminatrice all’art. 613-bis (tortura), il cui drafting legislativo ha fatto molto discutere fin da subito. Di fronte alla nuova fattispecie ed ai suoi difetti di formulazione, pare opportuno domandarsi se sarebbe stato auspicabile rimanere nella situazione pregressa o se la sua approvazione rappresenti, comunque, un passo in avanti per la tutela dei diritti umani. L'elaborato muoverà da una ricognizione dell’ordinamento sovranazionale, per poi analizzare le soluzioni adottate nelle legislazioni penali di tutti i Paesi europei che saranno suddivisi per modelli a seconda di una maggiore o minore corrispondenza del reato di tortura introdotto nei rispettivi Codici penali alla definizione del termine contenuta nell’art. 1 della Convenzione ONU del 1984. La comparazione «verticale» ed «orizzontale» consentirà di individuare quali caratteristiche dovrebbe avere, da un punto di vista normativo, un «buon reato di tortura», di stabilire alcune linee guida che tentino di risolvere i numerosi problemi interpretativi posti dall’infelice formulazione dell’art. 613-bis c.p. e di rispondere al quesito sul quale la dottrina si sta interrogando: «meglio una brutta legge che nessuna legge?».
Talking about torture seems anachronistic today. It recalls the battles waged against it in the period of the Enlightenment. However, it is a phenomenon that «emerges forcefully from the past and threatens to have a future». It reappears in wars, in dictatorships in prisons and as an instrument in the fight against international terrorism. It is after the terrorist attacks of 11 September 2001 that the discourse regarding the legitimacy or otherwise of torture practices has returned, completely uncovering that Pandora's box that seemed to have been closed definitively by the Enlightenment. In this delicate historical moment governed by insecurity and fear due to the rampant terrorist phenomena, various issues resurface such as that of security, the state of emergency, the criminal law of the enemy. These are precisely the issues that risk losing sight of the fundamental rights of the human person, which are sacrificed in the face of the need for security and ever more pervasive forms of seeking proof. Only belatedly, on the impulse of the not rare convictions of the Strasbourg Court for violation of art. 3 of the ECHR, Italy has adapted to the 1984 UN Convention against torture by introducing, with law no. 110 of 2017, an (already) controversial offending case under art. 613-bis (torture), whose legislative drafting caused a lot of discussion right away. Faced with the new case and its defects in formulation, it seems appropriate to ask whether it would have been desirable to remain in the previous situation or whether its approval represents, in any case, a step forward for the protection of human rights. It will therefore be appropriate to start from a survey of the supranational order and then analyze the solutions adopted in the criminal laws of all European countries which will be divided by models according to a greater or lesser correspondence of the crime of torture introduced in the respective Criminal Codes to definition of the term contained in art. 1 of the 1984 UN Convention. The "vertical" and "horizontal" comparison will make it possible to identify which characteristics a "good crime of torture" should have, from a regulatory point of view, to establish some guidelines that attempt to solve the numerous interpretative problems posed by the unfortunate formulation of art. 613-bis of the Criminal Code and to answer the question on which the doctrine is wondering: "better a bad law than no law?".
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Gravagno, Valeria. "La tutela dei diritti umani nelle clausole di condizionalità dell' UE e delle istituzioni finanziarie multilaterali." Thesis, Università degli Studi di Catania, 2011. http://hdl.handle.net/10761/472.

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Abstract:
In anni recenti molta attenzione è stata dedicata al binomio diritti umani/sviluppo.La clausola di condizionalità utilizzata tanto dall'Ue che dalle Istituzioni finanziarie multilaterali risponde all'esigenza di subordinare l'aiuto allo sviluppo al rispetto dei diritti fondamentali. La comparazione tra il piano europeo e quello internazionale, rivelera' l'esistenza di un fondamentale gap. Da un lato, la maggiore efficacia della condizionalità applicata nel contesto regionale dell'Ue rispetto a quella attuata dalle Istituzioni finanziarie internazionali. Dall'altro,l'assenza di meccanismi giuridici utili a sanzionare eventuali violazioni dei diritti umani nell'ambito del FMI, della Banca Mondiale e dell'OMC.
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Barbieri, Claudia <1986&gt. "Le mutilazioni genitali femminili: tra la tutela dei diritti umani e lo "scontro tra culture"." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2014. http://hdl.handle.net/10579/4383.

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Abstract:
Il presente lavoro approfondisce il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili (MGF), evidenziandone i molteplici aspetti che richiamano uno “scontro tra culture”, che non solo è presente ma ha anche una valenza fondamentale per riuscire a comprendere come poter tutelare davvero i diritti di bambine e donne. È presentato il fenomeno delle MGF, nei suoi diversi elementi di complessità. A partire dalle 4 tipologie in cui sono generalmente suddivise le MGF è già evidente come esse comprendano interventi sui genitali femminili molto differenti tra loro in termini di invasività. Sono descritte poi alcune caratteristiche che accumunano la maggior parte delle MGF, tra cui i “significati” di appartenenza alla propria comunità che esse rappresentano. Inoltre è analizzata l’evoluzione della terminologia, che ha coinvolto anche le istituzioni, ovvero il passaggio da “circoncisioni” a “mutilazioni”. La ricerca prosegue approfondendo le origini incerte delle MGF, dovute anche alla diffusione in aree distanti tra loro e alla differente radicalità delle pratiche tra i paesi e all’interno degli stessi, a seconda dell’etnia di appartenenza. Particolare rilevanza hanno le motivazioni, che sono alla radice del perpetuarsi di tali pratiche, e che possono essere di tipo sessuale, culturale, estetico, religioso, morale. Le MGF sono confrontate poi con la circoncisione maschile, diffusa anche in Occidente. Attraverso l’analisi delle le fonti giuridiche (internazionali a carattere universale e regionale, e nazionali) relative alle mutilazioni genitali femminili, è quindi approfondita la disciplina giuridica delle MGF evidenziando gli elementi delle fonti passibili di interpretazioni non univoche, e ricostruendo il percorso giuridico internazionale e regionale (in particolare europeo) di tutela di bambine e donne contro le mutilazioni genitali femminili. Sono descritte le campagne contro le MGF, portate avanti da persone, organizzazioni e associazioni, e sottolineate le caratteristiche dei progetti realizzati e gli approcci utilizzati per contrastare tali pratiche nei paesi ove queste sono diffuse. Inoltre sono riportati i risultati di un’inchiesta realizzata nel 2005 da Waris Dirie, una donna somala vittima di infibulazione, che con alcune collaboratrici, ha cercato di analizzare le modalità utilizzate da alcuni paesi europei per affrontare il problema delle MGF. È proposta successivamente una riflessione sullo “scontro tra culture” che pervade diversi aspetti delle MGF: a partire dalla terminologia utilizzata e dal confronto con la circoncisione maschile, per passare agli interventi sul corpo delle donne che avvengono anche in Occidente; si analizza inoltre l’esercizio del potere sul corpo delle donne, sotteso a diverse pratiche nelle varie culture, per concludere con un’analisi su alcuni vissuti delle donne con MGF in un contesto di immigrazione. Sono infine affrontate le mutilazioni genitali femminili in Italia; innanzitutto descrivendo il “caso” italiano nato dalla proposta avanzata da un medico somalo, che prevedeva l’introduzione di un rito simbolico alternativo, che ha creato molto scalpore, anche mediatico, nel 2003, il cui dibattito ha portato alla presentazione della legge 7/2006 contro le MGF. E in seguito analizzando le linee guida per le figure professionali, previste dalla legge stessa, il lavoro degli ultimi anni del Ministero delle Pari Opportunità, relativo al lotta contro le MGF, e le sentenze italiane riguardanti le mutilazioni genitali femminili, antecedenti e successive la legge specifica del 2006.
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Bonetalli, P. "Le sanzioni economiche del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la tutela dei diritti umani." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2006. http://hdl.handle.net/2434/60528.

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Abstract:
A partire dalla fine della guerra fredda, le misure non comportanti l’uso della forza sono diventate il normale strumento per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (cap. I). Dalla guerra del Golfo ad oggi i presupposti, il contenuto e le modalità di applicazione delle misure ex art. 41 hanno conosciuto una serie di cambiamenti. Se, inizialmente, la misura dell’embargo generale sembrava lo strumento più idoneo ad indurre i governi recalcitranti a desistere dai comportamenti contrari alla pace e alla sicurezza internazionale, le gravi conseguenze umanitarie che ne sono derivate e che si sono ripercosse sulla popolazione civile hanno indotto ad una riflessione sulla sua moralità, sulla sua efficacia e, soprattutto, sulla sua legittimità. Le critiche che, in particolare attorno alla metà degli anni Novanta, hanno investito l’operato del Consiglio di sicurezza, hanno rappresentato un utile spunto d’interesse per il presente lavoro poiché, alla luce dei dati relativi all’impatto umanitario delle misure ex art. 41 sulla popolazione civile dello Stato sanzionato (cap. II), si è valutata l’eventuale rispondenza delle medesime agli impegni che sorgono in capo al Consiglio in forza della Carta, del diritto cogente e del diritto internazionale umanitario (cap. III). Infine, si è dato conto del dibattito intorno alle cosiddette smart sanctions, misure destinate a colpire i diretti responsabili dei comportamenti contrari alla Carta, senza coinvolgere le persone innocenti (cap. IV).
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FANFARILLO, SARA. "La tratta di esseri umani nel diritto internazionale: tra lotta al crimine transnazionale organizzato e tutela dei diritti fondamentali." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2009. http://hdl.handle.net/2108/1088.

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ARTARIA, RICCARDO. "La proprietà fra Costituzione e carte europee." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2012. http://hdl.handle.net/10281/45606.

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Abstract:
La proprietà, al pari degli altri diritti costituzionalmente tutelati, si apre oggi ad una tutela articolata su molteplici livelli: in particolare, l’elaborato approfondisce lo studio della Costituzione italiana, della Cedu e del diritto comunitario (nel quale ha di recente assunto forza normativa la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione). Queste Carte compongono un sistema complesso di tutela della proprietà che, se contribuisce a incrementare le garanzie di effettività per il singolo, impone nuove riflessioni: può infatti creare problemi con riguardo tanto alla composizione delle varie fonti concorrenti quanto ai rapporti fra le relative giurisdizioni esclusive di legittimità e più in generale, impegna a ripensare al ruolo della dimensione sociale della proprietà. Lo studio è infatti stato condotto secondo la logica del rapporto fra prospettiva individuale e sociale nella configurazione della proprietà, al fine di verificare come il sapiente bilanciamento fra queste due dimensioni cristallizzatosi nella disciplina costituzionale si sia aperto alla europeizzazione dei diritti vivendo una profonda trasformazione. Partendo dallo studio dell’evoluzione storico-politica delle concezioni relative alla proprietà, l’elaborato si sofferma sull’analisi dell’art. 42 Cost. evidenziando come l’imprescindibile rapporto fra proprietà e comunità politica sia svolto dallo Stato sociale disegnato in Costituzione secondo un disegno singolare, che determina la perdita di centralità della proprietà in favore del valore della persona umana sintetizzato nel principio personalista e in quello solidarista, cristallizzato nella formula della “funzione sociale”: la Costituzione supera così la naturale tensione fra il principio di eguaglianza e il riconoscimento del diritto di proprietà, prescrivendo che l’integrazione sociale sia costruita anche attraverso una disciplina della proprietà capace di armonizzare l’interesse individuale con quello della comunità, secondo la prospettiva tipica dello Stato sociale. Per questo, su un diverso piano, si è considerato che in virtù della “funzione sociale” nemmeno può dirsi che l’art. 42, comma 2, Cost. intenda costituzionalizzare un diritto fondamentale dell’individuo. A chi scrive è quindi sembrato difficile accedere all’idea, che anima il diritto di matrice europea ed ora anche la nostra giurisprudenza costituzionale, della massimizzazione della tutela della proprietà, proprio in ragione della finalità redistributiva della ricchezza che è imprescindibile per lo Stato sociale In tale ottica, si è approfondito lo studio della tutela della proprietà disegnata dalla Cedu e dal diritto dell’Unione europea; per conseguenza, si è delineata la dimensione della distanza fra il modello sociale della nostra Costituzione e il modello liberale del diritto europeo, orientato verso la maggior soddisfazione delle ragioni della proprietà. Si è quindi affrontato il problematico nodo della composizione dei diversi livelli normativi alla luce dell’art. 117, comma 1, Cost. e della relativa giurisprudenza costituzionale, rilevando che la tutela multilivello della proprietà sembra ruotare in particolare attorno alla garanzia scolpita nell’art. 1 del Prot. n. 1 alla Cedu e nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Tuttavia, se la prospettiva che si adotta nel pensare alla tutela dei diritti è quella dell’ampliamento della tutela stessa, come vorrebbe la Corte costituzionale, l’elemento della «funzione sociale» che innerva lo statuto costituzionale della proprietà non può che trovarsi corrispondentemente dimidiato. A dimostrazione di ciò si è approfondita la rilevante influenza del diritto sovranazionale con riguardo a taluni temi specifici: la determinazione dell’indennizzo per l’espropriazione; l’espropriazione indiretta; il bilanciamento fra diritto all’abitazione e proprietà espresso dalla disciplina in materia di sfratti. In conclusione, si è rilevato che la recente giurisprudenza costituzionale sembra trascurare il necessario bilanciamento fra interessi costituzionalmente protetti: ad avviso di chi scrive, infatti, la prevalenza della norma internazionale, sul piano interpretativo o applicativo, non è assoluta, ma trova un limite nel bilanciamento fra il principio internazionalista e gli altri princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale, fra i quali la funzione sociale della proprietà.
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Violi, F. "LA SOVRANITA' PERMANENTE DEGLI STATI SULLE RISORSE NATURALI ED IL FENOMENO DEL LAND GRABBING." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2015. http://hdl.handle.net/2434/251304.

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Abstract:
In seguito alla crisi dei prezzi dei prodotti alimentari tra il 2007 ed il 2008, é emersa sul panorama internazionale una nuova pratica, definita sinteticamente "land grabbing" (letteralmente accaparramento delle terre). Con tale espressione si indica, in prima approssimazione, l'acquisizione o l'affitto in larga scala di terre destinate ad uso agricolo, da parte di investitori stranieri pubblici e privati. Il fenomeno è concentrato prevalentemente nei Paesi in via di sviluppo e, in modo particolare, in Africa. I Pvs, spinti dalla necessità di liquidità ed infrastrutture, hanno posto in essere un politica favorevole agli Investimenti Diretti Esteri, consentendo l’acquisto o l’affitto di terra fertile, per corrispettivi o canoni piuttosto esigui e termini contrattuali particolarmente estesi (generalmente ricompresi in un range temporale tra i trenta e novantanove anni). La conclusione di tali contratti di investimento è formalmente indirizzata alla produzione di materie prime per il fabbisogno alimentare ed energetico dei Paesi d’origine. Prima facie, essi sembrerebbero un “normale” esercizio della sovranità permanente dello Stato di destinazione sulle proprie risorse naturali, che detiene il pieno diritto di regolarne lo sfruttamento. Nella fattispecie, emerge, infatti, in modo preponderante il ruolo degli Stati ospite. Le transazioni si svolgono in maniera formalmente legittima e vengono veicolate dallo Stato recipiente, le cui autorità nazionali o regionali concludono leciti accordi con gli investitori. Numerose perplessità sorgono, però, in merito alla compatibilità di tale pratica con il diritto internazionale vigente. Simili investimenti presentano, infatti, un alto potenziale di rischio a carico delle popolazioni del Paese ospite, in particolare sotto il profilo dell’accesso alla terra, e quindi dell’approvvigionamento alimentare. È possibile che sulle terre oggetto d'investimento insistano già coltivazioni o allevamenti di comunità rurali, che utilizzano la terra in virtù di consuetudini o diritti d'uso, cui solitamente é collegato un minor livello di tutela rispetto ai titoli formali di proprietà, peraltro piuttosto rari. In alcune regioni del mondo, i soggetti titolari risultano quindi particolarmente vulnerabili, considerata la difficoltà di azionare i loro incerti diritti sulla terra e di ottenere, di conseguenza, un’adeguata protezione giurisdizionale. Egualmente preoccupante, sotto il profilo ambientale, é la tendenza, nell'implementazione di questo tipo d'investimenti, a sfruttare la terra per la coltivazione di biocarburanti o la realizzazione di vasti appezzamenti di monoculture, che riducono, evidentemente, la possibilità di mantenere una diversificazione ambientale adeguata. Una volta accertata la rilevanza giuridica del fenomeno della corsa alle terre ed averne individuato una qualificazione autonoma, il lavoro si propone, quindi, di valutare la questione della legittimità dell’esercizio della sovranità permanente da parte del Paese di destinazione, quando l’alienazione di porzioni di territorio oggetto d’investimento si esplichi in modalità tali da generare le esternalizzazioni negative brevemente accennate: l’esercizio della sovranità da parte dello Stato non può, infatti, prescindere da precisi obblighi che su di esso gravano ai sensi del diritto internazionale, inerenti alla tutela dei diritti umani, da una parte, ed alla protezione dell’ambiente, dall’altra.
After the outbreak of the food price crisis in 2007 – 2008 a new practice, known as land grabbing, has emerged on the international scene. The race to land is generally understood as the phenomenon of large-scale investments in land by foreign investors, which include both States and private companies, especially in developing countries. Driven by the necessity to attract foreign capital and finance infrastructure projects, developing countries have implemented favorable Foreign Direct Investment (FDI) policies, thus allowing the purchase or lease of fertile land lots, for rather meager rental prices and long terms (usually ranging from thirty to ninety-nine years) . Formally, these investments are directed towards the production of raw materials, necessary to address food and energy requirements, in particular for those countries which are net importers of agricultural products. The host State may well then decide to conclude lawful deals with the investors towards this aim. Prima facie, therefore, the conclusion of investment contracts in land apparently reflects the host country’s exercise of permanent sovereignty over its natural resources, which has the full right to regulate the exploitation thereof. Nevertheless the analysis of the phenomenon of land grabbing raises some doubts in relation to the compatibility of this practice with current international law norms. Such investments potentially carry a number of high risks to the population of the host country, in particular in terms of access to land and food supply. It is likely, in fact, that on the land subject to a given investment, there may already exist crops or herds of rural communities, who use the land by virtue of custom or usage rights, usually granted a lower level of protection if compared to the formal titles of ownership, rare at best in most developing countries. In some regions of the world, the holders are therefore particularly vulnerable to displacement, given the difficulty to exercise their uncertain land rights and to obtain, as a result, adequate judicial protection. Equally worrying, environmentally, is the implementation of investment contracts aimed at exploiting land to farm biofuels or realize large plots of monoculture, thus reducing the possibility to keep adequate land biological diversity. After the analysis of the juridical significance of land grabbing and the identification of its autonomous legal characterization, the thesis examines the question of the legitimacy of the race to land with regards to the exercise of permanent sovereignty over natural resources by the host country, especially in those cases where the alienation of land generates considerably negative externalities on the local population: sovereignty cannot, in fact, be exercised without due regard to the specific obligations incumbent upon States under international law, related, in particular, to the protection of human rights and the environment.
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Fornaciari, B. "LA DIRETTIVA 2012/13/UE SUL DIRITTO ALL'INFORMAZIONE.LA CONOSCENZA NEL PROCESSO PENALE FRA UNIONE EUROPEA E ORDINAMENTO INTERNO." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2016. http://hdl.handle.net/2434/369477.

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Abstract:
La presente ricerca si propone di analizzare la Direttiva 2012/13/UE sul diritto all'informazione nei procedimenti penali ed il suo impatto sul sistema processuale italiano. L'analisi prende le mosse da un primo capitolo dedicato al sistema multilivello delle fonti: sul panorama nazionale e sovranazionale, infatti, la direttiva è solo l'ultima norma, in ordine di tempo, a disciplinare il diritto fondamentale alla conoscenza dell'indagato e dell'imputato. Necessario quindi apprestare una panoramica delle fonti che garantiscono la protezione multilevel dei diritti, e descrivere le loro reciproche interazioni. Imprescindibile, poi, un approfondimento sulla tutela dei diritti nello Spazio di Libertà Sicurezza e Giustizia dell'UE, con un'attenzione particolare all'era post-Lisbona ed al valore aggiunto che le direttive ex art. 82 co. 2 TFUE possono portare sul sistema multilevel. Il secondo ed il terzo capitolo sono dedicati all'analisi normativa della fonte europea. La trattazione si muove lungo le tre visuali prospettiche che la norma europea attribuisce al diritto all'informazione: diritto alla conoscenza dei propri diritti; diritto alla conoscenza dell'accusa; diritto alla conoscenza degli atti di indagine. Le disposizioni europee vengono continuamente integrate con la giurisprudenza della Corte EDU, che inietta di significato le norme della direttiva e fornisce gli standards di tutela laddove non specificati. Vengono messe in rilievo le disposizioni più innovative, che consentono alla direttiva di non essere solo “codificazione” del case law di Strasburgo, ma fonte autonoma e progredita di diritti. Il capitolo finale è infine focalizzato sull'impatto che la direttiva ha prodotto sul sistema processuale interno. La trattazione è suddivisa tra l'analisi delle modifiche apportate dalla normativa di attuazione italiana, d. lgs. 101/2014, e la disamina delle sue lacune: il legislatore ha dato luogo ad un intervento minimalista, omettendo di dare esecuzione proprio alle disposizioni europee più innovative che avrebbero permesso al nostro sistema di essere in linea con i dettami sovranazionali. Particolare attenzione è data al tema delle modifiche all'imputazione e al principio Iura novit curia, sulla scorta dei punti saldi elaborati dalla Corte EDU nel noto caso Drassich. In conclusione, vengono proposti gli scenari futuri che potrebbero conseguire all'efficacia diretta della direttiva e alla penetrazione, per il suo tramite, delle norme CEDU nell'ordinamento giuridico nazionale.
The present research examines the European Directive on the right to information in criminal proceedings (Directive 2012/13/EU, hereinafter ‘the Directive’), assessing the impact that it is likely to have on the Italian legal system. Before analyzing the legislation, the thesis provides an historical overview of the status of human rights safeguards in the EU and a description of its multi-layered system of protection. Starting from the early ECJ case law setting out a ‘human rights theory’, the research moves on to consider the Charter of Nice and the development of a European Area of Criminal Justice, until the Stockholm Program and the entry into force of the Lisbon Treaty. In addition, it addresses the question as to whether and to what extent the directives ‘of new generation’ based on art. 82 par. 2 TFEU bring an added value to the aforementioned human rights protection system. Chapters 2 and 3 of the research focus on the analysis of the legislation and on the three meanings that the Directive attaches to the right to information in criminal proceedings, namely, the right to information about rights, the right to information about accusation, and the right to information about case file. The effort is shedding some light on the most innovative prescriptions, while at the same time highlighting how much the EU legislation owes to the ECtHR case law, which is used as a yardstick for the evaluation and interpretation of the Directive. Finally, Chapter 4 addresses the Italian implementing legislation (d. lgs. 101/2014) and the impact of the Directive on our legal system. It finds that the NIM is highly unsatisfactory, as the Italian legislator has failed to comply with the most innovative EU standards. In this regard, the research illustrates the impact of EU prescriptions on the jurisdiction of national judges, in particular, the impact of the ‘new’ right to information about accusation. It concludes that Italian judges can (in)directly apply ECtHR case law standards due the direct effect of the Directive (which can be regarded as an ‘ECtHR case-law codification’).
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Ricciuti, Novella. "I respingimenti e la tutela dei diritti umani." Doctoral thesis, 2012. http://hdl.handle.net/10447/94895.

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PENSABENE, LIONTI Tommaso. "RICONOSCIMENTO E TUTELA MULTILIVELLO DEI DIRITTI FONDAMENTALI: ASPETTI PROBLEMATICI E IPOTESI COMPOSITIVE." Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/10447/95504.

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ESPOSITO, MARCO. "La tutela multilivello dei diritti sociali in Europa alla prova delle crisi economiche." Doctoral thesis, 2021. http://hdl.handle.net/11573/1559561.

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Abstract:
I diritti sociali e la loro tutela multilivello nei periodi di crisi economiche sono i principali temi su cui verte la tesi. Dopo aver fatto un’analisi dei diritti fondamentali nel sistema euro-unitario e delle conseguenze in termini di riduzione dei livelli di garanzia a seguito di politiche economiche restrittive adottate dai governi europei in occasione della crisi economico-finanziaria del 2008, lo studio passa ad esaminare i diritti sociali dapprima nel sistema dell'Unione europea con un approfondimento del cd. Pilastro europeo dei diritti sociali e successivamente nell’ordinamento italiano. La ricerca approfondisce il ruolo delle corti nazionali che attraverso l’utilizzo del bilanciamento di interessi e diritti coinvolti e del principio di proporzionalità hanno cercato di contemperare i diritti sociali con i vincoli di bilancio imposti dall’Unione europea. Viene inoltre dato molto rilievo all’analisi dell’evoluzione del “dialogo tra le Corti” che si è rivelato un potente strumento non solo nell’interpretazione uniforme del diritto nello spazio europeo ma anche nel sistema di tutela multilivello dei diritti sociali. Particolare attenzione è dedicata all’ordinamento italiano e al ruolo della Corte costituzionale quale garante della legittimità dell’attività del decisore politico in materia di diritti sociali che non possono essere compressi al di sotto del loro contenuto minimo essenziale pur essendo dei diritti finanziariamente condizionati. Il quadro che emerge dalla ricerca conferma l’esistenza di una tutela multilivello dei diritti sociali in Europa dove gli strumenti a tutela di tali diritti non si esauriscono al livello nazionale del singolo Stato.
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MUSMECI, DANIELE SEBASTIANO. "Sulla tutela dei diritti umani nel quadro dei regimi sanzionatori mirati dell'ONU: il caso del terrorismo." Doctoral thesis, 2022. http://hdl.handle.net/11573/1638063.

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Abstract:
La presente ricerca si pone l’obiettivo di proporre un’analisi, il più dettagliata possibile, della tutela dei diritti fondamentali in relazione alle sanzioni individuali (smart sanctions) imposte dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti. Simile analisi verrà inizialmente condotta alla luce di una previa trattazione sul ruolo che il diritto internazionale contemporaneo assegna agli individui. È a quest’ultimi, infatti, che si deve il cambiamento del paradigma sanzionatorio predisposto dal Consiglio di sicurezza, non più avente ad oggetto un determinato Stato tout court. Seguirà un esame concernente i rimedi giurisdizionali istituiti dal medesimo organo al fine di rispondere alle critiche puntuali riguardanti la poca rispondenza delle procedure di inserimento e cancellazione dei nominativi dalle liste nere (listing e de-listing) al diritto internazionale dei diritti umani, in specie al diritto all’equo processo. Si cercherà, poi, di chiarire quali limiti incontra il Consiglio di sicurezza allorquando decide di fare uso delle prerogative che il Cap. VII della Carta ONU gli assegna, al fine di comprendere se la sua azione nel campo del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale debba essere rispettosa, oltre che della Carta stessa (limitazioni interne), delle norme di diritto internazionale generale (limiti esterni); altresì, verrà data opportuna rilevanza alle norme cogenti e all’incidenza dell’art. 103 della Carta. Da ultimo, verrà analizzato un corpus di sentenze rese in ambito europeo, con ciò intendendo sia quelle dell’ordinamento Ue che quelle afferenti al sistema della CEDU. L’importanza di tali sentenze è, almeno, duplice: a) da una parte, esse mostrano come i giudici, all’atto pratico, intendano bilanciare due interessi fondamentali che sorgono in relazione all’attuazione delle sanzioni, ossia la tutela dei diritti umani e la sicurezza nazionale/internazionale; b) dall’altra, permette di apprezzare l’evoluzione di un aspetto che, tutt’ora, è rimasto irrisolto a livello onusiano, ovverosia il risarcimento del danno derivante da listing.
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MATTEUCCI, AURORA. "La tutela dei diritti umani nel procedimento cautelare. Riflessioni su custodia cautelare e libertà personale nel dialogo tra Corte europea dei diritti dell'uomo e giurisprudenza italiana." Doctoral thesis, 2011. http://hdl.handle.net/2158/564695.

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Giannino, Domenico. "Il costituzionalismo transnazionale del sistema interamericano di tutela dei diritti umani e i federalismi 'accentratori' messicano e argentino." Thesis, 2014. http://hdl.handle.net/10955/844.

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